Libri

“Una ragazza intrattabile”

3803228-9788817087766di Erminio Fischetti

A volte Kate trovava sorprendente che le chiacchiere delle donne nella sala insegnanti somigliassero così tanto a quelle delle bambine del Gruppo 4.

L’operazione Shakespeare riscritto da grandi autori trova ampi consensi a livello internazionale tanto che Hogarth Press, la casa editrice fondata nel 1917 da Virginia e Leonard Woolf, ha deciso di adattare in chiave contemporanea le più importanti opere del Bardo – che in Italia escono per Rizzoli – affidandole agli autori più prestigiosi degli ultimi anni, autori premiati, autori che hanno vinto Pulitzer, autori importanti, autori per lo più inglesi o americani: Margaret Atwood (La tempesta), Tracy Chevalier (Otello), Howard Jacobson (Il mercante di Venezia, ovvero Il mio nome è Shylock), Jo Nesbø (Macbeth), Jeanette Winterson (Il racconto d’inverno) e, ultima ma non ultima, la strordinaria Anne Tyler con La bisbetica domata, che qui diventa Una ragazza intrattabile (traduzione di Laura Pignatti). Ognuno di questi autori ha adattato il testo in base alle proprie corde e in base anche alla propria tradizione narrativa, e Anne Tyler non è stata avulsa da questo concetto, perché la riscrittura della Bisbetica domata dà vita alla storia di una ragazza figlia di un padre ingombrante, uno scienziato, una giovane donna che ha lasciato l’università perché non trovava, essendo per l’appunto “bisbetica”, assolutamente convincente la spiegazione della fotosintesi che l’insegnante era riuscito a darle, e quindi finisce a insegnare in una scuola per l’infanzia dove è adorata dagli alunni per la sua spontaneità e soprattutto per il suo intelligentissimo modo di rapportarsi ai bambini, trattandoli come adulti, e non con quel tipico atteggiamento accondiscendente che rivolgono loro i più grandi. La storia “originale” è nota a tutti, è quella di una donna che arriva a ventinove anni senza riuscire a trovare, a causa del suo carattere, un pretendente, che qui invece incontra nel protagonista maschile, che la Tyler chiama Pëtr, scienziato immigrato assistente del padre. Un genio, a sentir lui: a cui sta per scadere il permesso di soggiorno, e quindi il padre della ragazza intrattabile, che poi non lo è affatto, vuole che lo sposi. Lei vive col padre, ne è la serva, e bisbetica, appunto, non lo è per niente, forse solo se portata all’esasperazione. Dunque la storia di questa ragazza che ha rinunciato a tante cose ricorda quella, per citare un altro autore, Henry James, della Catherine Sloper di Washington Square, la figlia un po’ dimessa che non riesce a trovare marito e il padre vuole sistemare (la situazione è lì però diversa): in questa condizione Anne Tyler ritrova la dolcezza della sua narrativa. Certo è una operazione su commissione, e quindi l’autrice ha dovuto compiere delle forzature, tra l’altro partendo da un’opera che non è proprio quella che più si adatta al vivere contemporaneo, e la questione del matrimonio per convenienza è un po’ difficile da rendere credibile nel contesto degli smartphone, ma lei ci riesce, ed è un libro assolutamente piacevole, fresco, leggero, che si legge bene. I due protagonisti della storia sono i più fedeli a Shakespeare e al tempo stesso alla sensibilità e alla tradizione narrativa di Anne Tyler, una scrittrice sempre legata alla descrizione di personaggi quotidiani, di tutti i giorni, che sembrano non dir mai nulla ma in realtà dicono tutto. Il classico mood malinconico qui è un po’ in tono minore rispetto al solito perché si tratta di una commedia, e l’accento è posto sull’aspetto più ludico della narrazione, che è una storia sopra le righe, con personaggi che comunque sono ben costruiti, come la sorella adolescente che vuole essere vegetariana – ma mangia la carne di nascosto – per seguire la moda del ragazzo che le piace, il classico fricchettone inconcludente che dopo il liceo non ha fatto nulla e che soffre, dice la madre, di quella malattia giapponese per cui i ragazzi si chiudono nella loro camera appena conseguito il diploma a non fare assolutamente niente. E anche quello del padre della protagonista, un egoista, un personaggio assolutamente privo di qualsiasi valore empatico, che pensa solo al suo tornaconto, che chiede alla figlia di sposare quest’uomo fondamentalmente perché se no perderebbe il miglior assistente che abbia mai avuto, è un ritratto assolutamente compiuto. Si crea pertanto tutta una seria di situazioni che possono risultare anacronistiche a un primo sguardo, ma che in realtà non lo sono, e viceversa sono care alla Tyler: per esempio torna il tema dell’immigrazione, dello straniero in terra americana, che lei stessa conosce perfettamente, essendo vedova di un medico iraniano e che ha trattato nello splendido La figlia perfetta. Paradossalmente possiamo quindi trovare in Shakespeare, a dimostrazione che un classico davvero non finisce mai di dire quel che ha da dire, degli aspetti autobiografici della Tyler, la cui ottica è quella di Kate Di Battista, che sposa un uomo straniero che vive nella sua città, Baltimora, la città della Tyler, e ci sono rimandi alla sua storia letteraria personale persino nella copertina di Rizzoli, quel blu che va venire alla mente Una spola di filo blu, di Guanda. E anche un po’ la noia di questi personaggi, che sembrano tutti uguali, rappresenta però in realtà lo spleen che è parte comunque importante della straordinaria quotidianità di ognuno di noi.

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