di Gabriele Ottaviani
Testa tonda come una palla di biliardo, occhi “gorgonici”, mano all’orecchio per raccogliere suoni, il poliziotto in pensione mi domandò: «Vede questo termosifone? Sono vicino a trovare la metafora con cui riscalderà ben più che il corpo». Con lui ogni parola presa dal migliore punto di percezione (esse est percipi, mi ricordava l’empirista che aveva tradotto dal tedesco la kantiana Critica del giudizio) scova concetti che si pongono al centro di una costellazione di significati che è una nuova visione. Sento che mi sta tornando il piacere della critica e lo assecondo. Quando uscì una sua raccolta di brevi prose narrative, fui messo alla prova con quella che si intitola Canadese. Uno studente mi fece all’esame: «Che senso ha? Cosa vuol dire? Io vedo solo un uomo e una donna in ascensore, per uscirne sempre in silenzio». E aggiunse qualche parola di troppo, per dimostrare che non era poi tanto sprovveduto: «Sembrano parole in libertà» forse con riferimento al futurismo di cui Pizzuto era un ammiratore, a cominciare dall’uso frequente di quell’infinito presente che serve a comunicare insieme nostalgia, constatazione e speranza. Fu una gara per dimostrare che quanto sembra oscuro difende segreti che vanno diffusi: ci aiutano a capire sia chi inconsciamente siamo sia di cosa saremmo capaci se non ci limitassimo a leggere ciò che piace perché ci solletica, come il grattare della rogna di una riflessione di Platone.
Il pallone di stoffa – Memorie di un nonagenario, Walter Pedullà, Rizzoli. Se per le generazioni successive forse la palla per eccellenza è quella di plastica arancione gonfiata alla meno peggio che svirgolava in traiettorie improbabili appena veniva sfiorata, e che una dispettosa balistica faceva di norma carambolare negli anfratti più angusti e impervi, di norma i paraurti delle auto in sosta, che fossero o meno Fiat 127, per citare una celebre canzone, o quella fatta con i rimasugli degli incarti di stagnola, il che, aggiungendo strati come cipolle, la rendeva dopo poco pesantissima, dei panini portati a scuola per ricreazione, per Walter Pedullà, da Siderno con furore, classe millenovecentotrenta, saggista, critico, giornalista, professore emerito, una delle colonne portanti della letteratura italiana, il pallone con cui giocare, il globo con cui divertirsi, oltre a quello delle cose della vita, di cui, dopo essere nei fatti letteralmente risorto da un arresto cardiaco grazie ai medici e alla tecnologia, non si può che ridere di gusto, con grazia e ironia, è quello di stoffa, morbido e colorato come l’indulgenza della, e nella, memoria. Il bilancio di un maestro, che, verrebbe da dire, si candida a pieno titolo per tutti i prossimi premi letterari (molti dei quali, per inciso, ha presieduto), è un affresco sorprendente ed elegante, che dal particolare procede verso il generale e in direzione ostinata e contraria regalando un magnifico affresco del reale.