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“Città d’argento”

di Gabriele Ottaviani

Marco le piace, maledizione: non doveva succedere, non adesso. Non qui…

Città d’argento, Marco Erba, Rizzoli. Greta non è mai stata in Bosnia, anche se metà della sua famiglia è di lì, non sa nulla di Srebrenica, di una delle pagine più nere della storia recente, non conosce una terra – chi scrive la presente recensione l’ha visitata, in parte, specialmente nei dintorni di Banja Luka, e l’ha ritrovata con lirica credibilità nelle pagine di Erba, ben scritte e ben caratterizzate sotto ogni aspetto – suggestiva e ferita: lei vive a Milano, ha la sua quotidianità. Ma si sa, da sé e dal passato non si può fuggire mai, e così… Da leggere.

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“Sabotaggio”

di Gabriele Ottaviani

La parola di moda è epurazione…

Sabotaggio, Arturo Pérez-Reverte, Rizzoli, traduzione di Bruno Arpaia. Non ha scrupoli, è al soldo dei franchisti, è un impareggiabile e insaziabile seduttore, è Lorenzo Falcó, che deve fare in modo che un pilota francese che sostiene i repubblicani spagnoli nella guerra contro il generalissimo finisca assassinato dai suoi stessi compagni, e al tempo stesso che un quadro monumentale di cui tutti parlano, un’opera deflagrante come e più del bombardamento che racconta, a cui sta lavorando nientedimeno che Pablo Picasso, non giunga mai all’esposizione universale: per questo è a Parigi, e per questo… Un capolavoro.

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“Un’amicizia”

di Gabriele Ottaviani

Mia madre continua a rovinarmi la vita…

Un’amicizia, Silvia Avallone, Rizzoli. Scrittrice dalla felice vena narrativa, dalla voce potente e raffinata, capace di indagare senza retorica le pieghe delle anime dei suoi personaggi, che si fissano indelebili nella memoria, Silvia Avallone racconta con prosa ampia e suggestiva l’irraccontabile, ovvero l’inquietudine che avviluppa ognuno di noi nel momento in cui ci si trova a chiedersi che cosa rimanga se nessuno ricorda, se nessuno testimonia, se nessuno narra. L’amicizia tra Elisa e Bea è finita ormai da tempo, ma la rimembranza emette un tragico e reboante clangore, incessante e tormentoso nel cuore della prima: perché tutti pensano di conoscere Bea, ma solo Elisa sa cosa quell’ineffabile e prestampato sorriso nasconda in realtà dietro di sé… Da leggere.

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“La ballata della Città Eterna”

di Gabriele Ottaviani

«Te lo giu… ro… Alba…» Il secondo calcio la colpì in faccia. Nella sentì un dente che scricchiolava. Il labbro che si spaccava. Il sapore dolciastro del sangue in bocca. L’Albanese la tirò su per i capelli e si voltò verso il suo compare. «Te la sei mai scopata una Contessa, Ghiozzetto?» Ghiozzetto si avvicinò e infilò una mano sotto la gonna di Nella. «È soda» rise. «Allora frolliamola un po’, questa carne» disse l’Albanese, e con fredda crudeltà colpì Nella con un pugno nello stomaco. La resse in piedi e le mollò un altro pugno sulla mascella. E un altro sullo zigomo. Quando la lasciò, Nella si accasciò a terra come un sacco vuoto. L’Albanese le tirò un calcio. «Questi te li avrei dati comunque perché mi hai preso per il culo, Contessa» ringhiò. «Ora cominciamo con quelli che ti darò per farmi dire dove sono gli altri gioielli che hai rubato… ah, no, che hai trovato, scusa.» Un altro calcio la colpì sulle costole. «Perché se non l’hai capito, ho deciso che quei gioielli sono miei.» Prese Ghiozzetto per la collottola e lo abbassò all’altezza di Nella. «E tu sei sua. Guarda come sbava…» Ghiozzetto rise e si palpò tra le gambe, oscenamente. L’Albanese lo spintonò via. «Comincia a frugare per casa» gli ordinò. «Intanto io mi diverto.» E mentre il compare si allontanava mollò un ceffone a Nella. Ghiozzetto si guardò in giro. L’arredo era misero. Non erano molti i posti dove nascondere qualcosa. Aprì i cassetti di un banchetto all’ingresso e li rovesciò per terra. Ma c’erano solo aghi e fili e scampoli di stoffe. «È una sarta!» esclamò. «Cerca, idiota!» gli urlò l’Albanese. Ghiozzetto salì sul soppalco e cominciò a rovistare nel comò. «Eccoli!» esclamò dopo un attimo. Scese con in mano tre anelli. L’Albanese li guardò ammirato. «Che meraviglia» disse.

La ballata della Città Eterna, Luca Di Fulvio, Rizzoli. Presentato anche di recente da Elena Sofia Ricci, che prossimamente incarnerà sul piccolo schermo il premio Nobel Rita Levi-Montalcini (la regia è di Alberto Negrin), il nuovo libro di uno in assoluto dei più venduti e apprezzati autori italiani all’estero catapulta i lettori in quello speciale ed esaltante istante, gravido di premesse e promesse, che è la nascita di una nazione, caratterizzata con ammaliante minuzia. Roma, anno del Signore milleottocentosettanta: l’Urbe è ancora straniera rispetto all’Italia, pontificia, non sabauda, e Pietro, fuggito da Novara, e Marta, cresciuta in un carro di circensi, si ritrovano lì, sconvolti dalla commistione d’abietto e sublime, sbigottiti dinnanzi a una magnificenza marcescente ma irresistibile, non solo moralmente. La guerra incombe, e per Marta e Pietro è il momento di decidere da che parte stare, se prendere in mano la propria vita o correre il rischio di abbandonarsi agli eventi, in loro balìa: monumentale.

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“Storia della magia”

di Gabriele Ottaviani

L’arte celtica non giocava soltanto con le distinzioni di specie, ma anche con il tempo e lo spazio. In Eurasia c’è la lunga tradizione, sopravvissuta soprattutto nell’arte rupestre, di mostrare insieme una varietà di vedute di un oggetto o una combinazione di oggetti. Dai capi opposti dell’Eurasia ci sono arrivate rappresentazioni di carri da battaglia e carri agricoli: su una pietra dei cervi di Darvi Sum, in Mongolia e in una sepoltura della prima Età del ferro a Hochdorf, vicino a Stoccarda, in Germania. Le immagini composite giocano con lo spazio nel senso che ci mostrano delle vedute da angolazioni differenti. In una certa misura, giocano anche col tempo: sarebbe infatti impossibile vedere l’oggetto da tutte quelle prospettive contemporaneamente, così che un’immagine viene di fatto a combinare dei momenti di percezione successivi in una metapercezione composita. (Se volessimo cercare un qualche equivalente di questa tecnica nei canoni artistici più moderni, potremmo citare il cubismo, con il suo interesse per la natura temporale della percezione.) Questi due esempi precedono l’arte celtica, ma costituiscono due chiari esempi di quel gioco con le dimensioni che la caratterizza. Per esempio, la piastra di bronzo con decorazione traforata rinvenuta a Cuperly (in Francia), che probabilmente era montata sulla cassetta di un carro da battaglia, mostra o una creatura a due teste (un drago?) o, forse, un singolo drago visto da destra e da sinistra. Certo, potremmo innanzitutto chiederci se sia mai possibile vedere un drago; ma, anche se lo fosse, sarebbe improbabile vederlo contemporaneamente da destra e da sinistra (anche se in un incontro del genere non potremmo escludere nulla). La piastra di bronzo di Cuperly contiene un doppio gioco: ci presenta una creatura che potrebbe o non potrebbe esistere, e ce la mostra da una prospettiva doppia, che viola i limiti di ciò che possiamo normalmente percepire. Qui ci troviamo in mondi che trascendono quelli delle nostre esperienze sensoriali e delle nostre percezioni quotidiane, mondi dove la nostra visione della realtà viene sfidata e forzata in modi magici.

Storia della magia – Dall’alchimia alla stregoneria, Chris Gosden, Rizzoli. Traduzione di Daniele Didero. Classe millenovecentocinquantacinque, archeologo britannico specializzato in archeologia dell’identità e in particolare di quella che è alla base della costruzione dell’immagianrio collettivo inglese, professore di archeologia europea, direttore dell’Istituto di archeologia dell’Università di Oxford e amministratore fiduciario del British Museum, ha un curriculum a dir poco straordinario e una maiuscola autorevolezza costruita attraverso anni di studio, passione, approfondimento, ricerca: è innato nell’uomo il desiderio di comprendere, ancor più quando le cose e le leggi che le governano paiono sfuggirgli, inducendolo a rifugiarsi in un altrove trascendente che assume i contorni della ierofania o, come in questo caso, della magia, che con leggi che sfuggono alla naturalità penetra il mistero dell’esistere. Da non perdere.

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“Desideri deviati”

di Gabriele Ottaviani

Ma anche l’attività intellettuale può somigliare a una veglia d’armi, all’attesa pura e spasmodica della battaglia, dove l’impulso in fondo giustificato a vincere l’assurdità di ciò che si sta facendo e scapparsene a casa va frenato con dosi massicce di autocontrollo e senso del dovere – quello antico, assoluto e gratuito. Gli intellettuali si mostrano così spesso vigliacchi perché a loro sarebbe in effetti richiesto il coraggio e la tenacia di un soldato: debbono tenere la posizione anche se quasi tutto intorno a loro sembra dire che non vale la pena, che la strada intrapresa è sbagliata, non porta a niente. L’utilità di ciò che fanno è tanto difficile da verificare che solo una religione un poco ottusa permette loro di restarvi fedeli, ignorando i segnali di incertezza, cancellando i dubbi appena si affacciano, ripetendo dentro di sé le formule propiziatorie imparate durante l’addestramento. Autoconvincimento e disciplina. Ma non sempre funziona. Come il soldato che si appresta a mollare il fucile e scappare pensa che in fondo non sarà mai la sua singola diserzione a far perdere la guerra al proprio esercito, così uno che sta faticosamente scrivendo un saggio o un romanzo o un sonetto, o corregge le bozze di saggi e romanzi e poesie scritti da altri, come si accingeva a fare il Coboldo, potrebbe essere scosso dal ragionevole dubbio che il mondo non verrà affatto modificato grazie alla sua opera, se questa viene portata a termine oppure no, e tale consapevolezza finisce per rivelare come derisorio persino l’atto fisico del lavoro, in realtà prossimo all’inazione, la sua solitudine priva di riscatto…

Desideri deviati – Amore e ragione, Edoardo Albinati, Rizzoli. Premio Strega per La scuola cattolica, scrittore raffinato e dalla prosa mai banale e sempre profonda e stimolante, narratore e docente, in carcere, il che gli conferisce un punto di vista senza dubbio particolare per quel che concerne anche il ruolo, la percezione e la valenza della cultura nell’accezione più ampia del termine, Albinati fotografa da sotto in su, dalle viscere fino alle aspirazioni al trascendente, che però non hanno nulla di metafisico, anzi, sono dannatamente materiali (perfetta la copertina), una città fatta di uffici, moda, industrie e una brulicante umanità, di cui fa parte Nico Quell, di nuovo protagonista, in cerca, senza nemmeno averne piena consapevolezza, del suo posto del mondo, sempre lacerata dal dissidio tra essere, avere e potere e da perversioni cui non sa neppure di soggiacere: attualissimo e solenne.

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“I segni del male”

di Gabriele Ottaviani

Non aveva voluto l’aiuto di nessuno. Doveva disporre da sola i pezzi del puzzle…

I segni del male, Simone Regazzoni, Rizzoli. Il corpo di Giulia Rakar, commissaria, è scolpito e livido. Durante gli allenamenti di MMA non si va certo per il sottile. Il corpo della donna che bagna di sangue la coltre di neve, in verità non troppo usuale, che copre Roma, invece, è sventrato. Del resto è da un po’ che un omicida seriale che ancora resta ignoto mette sotto scacco le forze dell’ordine e genera orrore e terrore rifacendosi fra l’altro nelle dinamiche dei suoi crimini ed efferati delitti al mito della fondazione della città eterna e alle sue vicende storiche e al tempo stesso leggendarie: quello che però Giulia non sa è che il peggio deve ancora venire… Ad altissima tensione.

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“Il pallone di stoffa”

di Gabriele Ottaviani

Testa tonda come una palla di biliardo, occhi “gorgonici”, mano all’orecchio per raccogliere suoni, il poliziotto in pensione mi domandò: «Vede questo termosifone? Sono vicino a trovare la metafora con cui riscalderà ben più che il corpo». Con lui ogni parola presa dal migliore punto di percezione (esse est percipi, mi ricordava l’empirista che aveva tradotto dal tedesco la kantiana Critica del giudizio) scova concetti che si pongono al centro di una costellazione di significati che è una nuova visione. Sento che mi sta tornando il piacere della critica e lo assecondo. Quando uscì una sua raccolta di brevi prose narrative, fui messo alla prova con quella che si intitola Canadese. Uno studente mi fece all’esame: «Che senso ha? Cosa vuol dire? Io vedo solo un uomo e una donna in ascensore, per uscirne sempre in silenzio». E aggiunse qualche parola di troppo, per dimostrare che non era poi tanto sprovveduto: «Sembrano parole in libertà» forse con riferimento al futurismo di cui Pizzuto era un ammiratore, a cominciare dall’uso frequente di quell’infinito presente che serve a comunicare insieme nostalgia, constatazione e speranza. Fu una gara per dimostrare che quanto sembra oscuro difende segreti che vanno diffusi: ci aiutano a capire sia chi inconsciamente siamo sia di cosa saremmo capaci se non ci limitassimo a leggere ciò che piace perché ci solletica, come il grattare della rogna di una riflessione di Platone.

Il pallone di stoffa – Memorie di un nonagenario, Walter Pedullà, Rizzoli. Se per le generazioni successive forse la palla per eccellenza è quella di plastica arancione gonfiata alla meno peggio che svirgolava in traiettorie improbabili appena veniva sfiorata, e che una dispettosa balistica faceva di norma carambolare negli anfratti più angusti e impervi, di norma i paraurti delle auto in sosta, che fossero o meno Fiat 127, per citare una celebre canzone, o quella fatta con i rimasugli degli incarti di stagnola, il che, aggiungendo strati come cipolle, la rendeva dopo poco pesantissima, dei panini portati a scuola per ricreazione, per Walter Pedullà, da Siderno con furore, classe millenovecentotrenta, saggista, critico, giornalista, professore emerito, una delle colonne portanti della letteratura italiana, il pallone con cui giocare, il globo con cui divertirsi, oltre a quello delle cose della vita, di cui, dopo essere nei fatti letteralmente risorto da un arresto cardiaco grazie ai medici e alla tecnologia, non si può che ridere di gusto, con grazia e ironia, è quello di stoffa, morbido e colorato come l’indulgenza della, e nella, memoria. Il bilancio di un maestro, che, verrebbe da dire, si candida a pieno titolo per tutti i prossimi premi letterari (molti dei quali, per inciso, ha presieduto), è un affresco sorprendente ed elegante, che dal particolare procede verso il generale e in direzione ostinata e contraria regalando un magnifico affresco del reale.

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“Neoitaliani”

di Gabriele Ottaviani

La propensione all’imbroglio non è una caratteristica italiana…

Neoitaliani – Un manifesto, Beppe Severgnini, Rizzoli. Il Covid ci ha cambiato? Sì, no, forse? Siamo migliorati? Siamo peggiorati? Siamo sempre gli stessi o homines novi? Siamo diventati più umani? Siamo diventati più cinici? A quali risorse abbiamo attinto per superare l’inimmaginabile? Soprattutto, in cosa si riconosce, nell’emergenza, la peculiarità di essere italiani? Severgnini, che ha brio sia nella scrittura che nella divulgazione, dà alle stampe una sorta di manifesto ricco di spunti di riflessione, agile e spensierato, benché, in verità, faccia pensare, eccome. Da leggere.

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“Non abbiate paura”

di Gabriele Ottaviani

Non è durata. Poco tempo dopo i miei si separarono; mio padre rimase in Francia e mia madre decise di tornare in Turchia. Per lei era la terra degli avi, ma per me una nazione nuova e tutta da scoprire, e in questo stato d’animo ci presentammo a casa di mia nonna materna, ad Ankara, in un quartiere fortemente patriarcale e conservatore. La casa verde salvia aveva due piani e un giardino su tre lati, piantato ad alberi da frutta: ciliegie, mele, pere e cachi che macchiavano le dita solo a sfiorarli. Perline di vetro alle pareti, piombo fuso in casseruole di rame, sale grosso sparso ovunque contro il malocchio…

Non abbiate paura, Elif Shafak, Rizzoli, traduzione di Daniele A. Gewurz e Isabella Zani. Impossibilitata a tornare nella sua Istanbul, città ponte fra ovest ed est com’è del resto la sua scrittura, metropoli antica e della storia gravida di gemme preziosa, di cui non è natia ma di fatto originaria, perché invisa al potere che non le perdona di non essere né bigotta né xenofoba né men che meno oscurantista, Elif Shafak, cittadina del mondo per indole, per costrizione e per eccellenza, regala al lettore, trascendendo le partizioni meramente tassonomiche dei generi letterari, una poderosa meditazione sul tema dell’identità, filo conduttore della trama di relazioni fra gli umani volte a costruire una realtà più equa, consapevole e migliore. Da leggere.

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