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“Gli 80 di Camporammaglia”

51oaxDeDQQL._AC_US218_.jpgdi Gabriele Ottaviani

Vincenzo sembrò sul punto di sfogare contro di loro la tensione accumulata per la faccenda dei suoi genitori. Si dovette allontanarlo a forza («Qua rischiamo che non ci trasferiscono a Sassa, sennò, ma direttamente alle Costarelle coi camorristi») dopo che, in risposta ad un «Non è a noi che dovete avanzare questo genere di rimostranze», proferì un laconico – e fortunatamente incomprensibile ai non autoctoni – «vatt’a reponne», indicando l’alpino che aveva parlato per ultimo, e che aveva l’aria d’essere il maggiore in grado, con il braccio teso, parallelo al terreno, e il palmo della mano rivolto verso l’alto. Ma probabilmente l’incapacità di misurare i nostri gesti, le nostre parole, davanti a chi ci informava con glaciale noncuranza che di lì a pochi giorni avremmo dovuto abbandonare il posto in cui avevamo sempre vissuto, e in cui nonostante tutto ancora vivevamo, stava anche nell’apparente ovvietà dei motivi che rendevano per noi irrinunciabile restare a Camporammaglia. Davvero bisognava chiarire perché non volevamo allontanarci dalle nostre case, proprio mentre in televisione si citavano a decine i casi di sciacallaggio? Davvero bisognava elencare i disagi che quel trasferimento avrebbe causato, le difficoltà per gli anziani di doversi riadattare? «E po’ co’ ’lle bestie, co’ ji campi, come fecemo? Dingello tu ché a ti te capisciu, Gioacchì, che non potemo lassà tutto alla malora». «Sì, sì, mo’ glielo dico». Invece fu Paolo Marinelli a intervenire, sollecitato dalle occhiate che in molti, già da alcuni minuti, gli rivolgevano.

Gli 80 di Camporammaglia, Valerio Valentini, Laterza. Camporammaglia è in Abruzzo. In mezzo all’Appennino. A ottocento metri d’altezza. A cinque chilometri dal bar più vicino. A dieci dal primo supermercato. A diciassette dal centro dell’Aquila. Che in quel maledetto sei aprile del duemilanove, mentre qualche infame sghignazzava pregustando gli intrallazzi su cui avrebbe messo le mani per il tramite delle conoscenze che gli avrebbero permesso di tuffarsi nella pentola d’oro degli appalti in un paese come il nostro in cui solo la legalità è più fragile del suo violentato e vituperato suolo, collassava su di sé. Morendo e uccidendo. Gli ottanta di Camporammaglia però invece resistono, nemmeno il sisma può spezzare la loro tempra indomita, salda come le dita di una mano dentro a un pugno, emblema di forza e di coraggio. Valerio Valentini, giovane e bravissimo scrittore e giornalista, che si affacciava alla maggiore età proprio mentre la terra si spaccava, racconta con perizia, tenerezza e intensità, con una lingua colorata e puntiforme come un quadro di Seurat, ancestrale e insieme modernissima, aulica e pure vernacolare, una vicenda corale dal profondissimo significato morale. Impeccabile e imperdibile.

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Una risposta a "“Gli 80 di Camporammaglia”"

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