di Gabriele Ottaviani
Johann Lerchenwald ha scritto H – Come Hitler vedeva i suoi tedeschi: Convenzionali lo intervista per voi.
Chi era Adolf Hitler?
In tutte le biografie Hitler ci viene presentato a priori come un parto dell’Inferno. Per quanto poco si sappia della sua esistenza anteriore alla fondazione del Partito, si dà per scontato che già allora avesse avuto delle inclinazioni rivelatrici del celebre mostro che sarebbe diventato poi. E, più tardi, è sempre quello che lui stesso voleva far credere di essere, tolto qualche dubbio sull’autenticità dei suoi famosi attacchi di collera. Studiandolo a fondo, ho potuto appurare che fino all’età di trent’anni era un soggetto un po’ nevrotico, sì, ma per il resto normale. Normale, non comune. Perché, nonostante i suoi limiti, mostrava di possedere quelle caratteristiche che Thomas Mann è costretto suo malgrado a riconoscergli in Fratello Hitler: le caratteristiche che contraddistinguono solitamente l’artista. E a farlo diventare quello che infine divenne non furono solo e in primo luogo le predisposizioni personali o le circostanze storiche, ma i tedeschi: i tedeschi con la loro buona fede e ingenuità. Non è certamente lodevole che egli ne abbia approfittato in modo così cinico e megalomane. Il suo freddo calcolo e la sua diabolica capacità di leggere nell’animo altrui hanno potuto però dispiegare tutta la loro potenza solo grazie a quella miscela unica di stolta fede nell’autorità e presunto idealismo che del piccolo borghese ignaro fece un criminale esecutore di ordini.
Cosa ha permesso la sua ascesa al potere?
Certamente il Trattato di Versailles, la crisi economica mondiale e anche la smania personale di dimostrare ai genitori, da tempo defunti, di cosa fosse capace, smania che, quando ebbe finalmente individuato il suo campo d’azione, si tramutò presto in mania di grandezza. Ma, perché Hitler potesse raggiungere i suoi scopi, gli necessitava il materiale umano pronto a farsi plasmare. E questo, lui, che come austriaco aveva ben poco di tedesco, lo trovò in un popolo contraddistinto da due fondamentali caratteristiche: la radicale insofferenza d’ogni tipo di disordine e la totale sprovvedutezza nei confronti di tutto quello che la sua forma mentis non prevedeva. Una sprovvedutezza che si poteva riscontrare indistintamente nelle persone semplici e in quelle colte e benestanti. Basti pensare all’immaturità che l’allora forse più alto rappresentante dello spirito tedesco, Thomas Mann, tradiva ancora nel 1919 nelle sue Considerazioni di un impolitico e anche al fatto che, due settimane dopo la presa del potere da parte dei Nazisti, se ne fosse partito ignaro per un giro di conferenze in Europa, rimanendo poi arcisorpreso di non poter tornare a casa, se non a rischio della pelle. Hitler, che aveva potuto ampiamente osservare queste due caratteristiche tedesche durante la prima guerra mondiale, al momento giusto le sfruttò fino in fondo, facendo rigare dritto vari premi Nobel e lo Stato maggiore dell’esercito, grandi industriali e studiosi illustri, lui che fino a qualche anno prima era un nullatenente senza titoli né nobiliari né di studio e senza alcun piano di vita concreto.
In cosa si riconosceva in lui la Germania del suo tempo?
La Germania del suo tempo non si riconosceva per nulla in lui. Anzi, per carattere, mentalità, forma mentis, egli era completamente incomprensibile ai tedeschi. Seppe però individuare con occhio clinico quello che essi volevano sentirsi dire e quello che erano disposti a fare. E seppe abbindolarli e piegarli all’obbedienza con una facilità che a lui per primo parve stupefacente. Si pensi solo a quella frase più volte pronunciata in occasione di discorsi pubblici: Se un miracolo c’è, questo consiste unicamente nel fatto che io ho trovato voi e voi avete trovato me!
Il tedesco ha la parola Fremdschämen, ossia imbarazzo per colpa d’altri: in che rapporto è oggi la Germania con la sua Storia? La popolazione che abita nei territori dell’ex BRD ha vedute diverse da chi ha conosciuto la DDR?
La parola Fremdschämen, imbarazzo per la colpa d’altri, non si presta per indicare il rapporto che la Germania di oggi ha con la sua storia. Da un lato perché la storia non è stata fatta da degli estranei, bensì da fratelli e sorelle, padri e madri, nonni e nonne… Inoltre, però, e in primo luogo, perché la vergogna dei tedeschi nei confronti del proprio passato non è un sentimento spontaneo, derivante dalla comprensione di quanto è accaduto, ma un diktat, imposto dall’alto subito dopo la guerra, per essere riammessi al più presto nell’economia mondiale. Quell’ottuso mea culpa, perpetuato per decenni fino a oggi, ha piuttosto partorito un malessere diffuso e inespresso che nasconde la vecchia insidia di sentirsi accusati dal mondo intero, mentre in realtà si è convinti di essere i più bravi. Un tipo di malessere che all’epoca favorì non poco l’ascesa di Hitler.
Per quanto riguarda invece la popolazione dell’ex-DDR, le considerazioni sono due. Da un lato il regime comunista, rovesciando tutta la colpa sui padroni capitalisti e scagionando il popolo operaio, ha fatto sì che in quelle regioni sopravvivessero uno spirito e una gaiezza senza riscontro nella BRD. Dall’altro, i tedeschi orientali che, dopo la caduta del muro, all’indomani di un breve periodo di euforia, sono stati annullati moralmente ed economicamente, appaiono ricettivi alle suggestioni neonaziste demonizzanti lo straniero e tutto quello che minaccia la Cultura tedesca, con ciò rivelando una maturità umana e politica non molto maggiore di quella posseduta dai tedeschi all’avvento del nazismo. Un bel pasticcio. Se mi consente, intenderei concludere l’intervista con una domanda libera a me stesso: Come viene accolto questo libro?
Prego.
Per ovvi motivi, la grande stampa tedesca lo ha finora passato sotto silenzio. Mentre, all’opposto, l’accoglienza riservatagli da numerosi lettori è stata molto incoraggiante. Invece l’edizione italiana, preceduta da una introduzione dello storico Franco Cardini, ha immediatamente richiamato l’attenzione di personaggi di spicco della scena culturale quali Augias, Galimberti, Cacciari, Elkann. Ma, sul più bello, c’è capitato fra capo e collo il Coronavirus, che ha bloccato ogni iniziativa culturale. Per fortuna, accanto alle diverse notevoli recensioni in rete, si è aperta la prospettiva di un’edizione francese, cosa che mitiga il senso di essere stati danneggiati. In questi giorni l’originale tedesco viene infatti valutato da Olivier Mannoni, traduttore di Gallimard, di Fayard e altre importanti case editrici francesi. Incrociamo le dita! Sono sempre convinto che, appena il libro avrà raggiunto la visibilità che merita e a cui è destinato, sarà inevitabile che metta in moto una slavina.