di Gabriele Ottaviani
Davide Cifalà è l’autore di Libero da ogni limite: Convenzionali lo intervista con gioia per voi.
Da quale esigenza nasce questo libro?
Libero da ogni limite nasce dalla necessità di ritrovare me stesso, soprattutto quella parte di me stesso combattiva, che dopo i tredici anni, dopo essere stato una sorta di ragazzo schiacciasassi soprannominato “Bud Spencer” a scuola e nel mio quartiere, era andata scemando. Inizialmente, questo libro era semplicemente un’agenda nella quale raccoglievo i miei pensieri: scrivevo per cercare di cavare un ragno dal buco da quella mia crisi esistenziale che mi colpì dai tredici anni in poi… Ebbi un crollo emotivo, dovuto alla realtà drammatica dalla quale stavo cercando di salvarmi. Una situazione familiare a dir poco orribile, con un fratello maggiore, più grande di me di quattro anni, completamente squilibrato (oltre che una vera e propria sanguisuga per i miei genitori, spesso troppo succubi di lui). Sono cresciuto credendo che fosse normale avere una persona adulta dentro casa che strisciava per terra come un verme, con la bava alla bocca, che urlava talmente tanto forte, sfondando i mobili e facendo disperare soprattutto mia madre, che a volte arrivavano i carabinieri a casa… Sono cresciuto e sono diventato inevitabilmente un ragazzo irruento: quando stavo con i miei coetanei mi accorgevo di essere diverso da loro. Loro ridevano spensierati, ridevano anche senza un motivo. Io invece, avevo sempre il broncio… E a volte rischiavo di diventare un mostro, molto peggio di mio fratello, rischiavo di diventare lo specchio di ciò che ero stato costretto a vedere dentro casa mia, così esplodevo di tanto in tanto con delle reazioni violente epiche che mi rendevano “terrificante”. Nel 2011 riuscii a trasformare quell’agenda nata per invocare il “Davide Bud Spencer” in un romanzo autobiografico, il primo capitolo di quella che sarà una miniserie autobiografica, nella quale, come in tutte le mie autobiografie, ci sono le crepe nell’animo di un ex karateka che ha entusiasmato la gente e anche mille aneddoti sulla mia vita fatta di vittorie, ma anche di paurose parabole discendenti.
Quanto conta l’ambiente in cui cresciamo per le scelte che facciamo?
Parte tutto da lì. Io, partendo dal quartiere popolare di Catania nel quale sono cresciuto, Librino, a diciannove anni decisi di incanalare tutta la mia rabbia verso il tatami, diventando un karateka, rifiutandomi di pensare ad altro, perché tanto tutto intorno a me faceva schifo. Questo vuoto dentro mi diede la forza di reagire, e la gente nel momento stesso in cui cominciai a combattere nelle gare di karate mi ribattezzò come “la voce dei senza voce”, il primo simbolo di un sensibile e tangibile cambiamento per la gente meno fortunata, la gente che viveva in una realtà simile alla mia. Credo che il quartiere Librino e tutti i quartieri popolari in generale, specialmente in quel periodo in cui io combattevo (stiamo parlando del periodo tra il 2007 e il 2008) cercassero proprio un paladino.
I ragazzi spesso oggi hanno grandi fragilità e poca stima di sé: come fare a convincerli che hanno tutte le carte in regola per costruire il futuro che desiderano?
Questa storia, questo romanzo, in fondo e’ la testimonianza del fatto che… come diceva un grande saggio “Tutto ciò che vogliamo è sempre dall’altra parte della paura.” Io avevo tutto per essere uno di quelli che mollano: quando cominciai con il karate, tutti mi dissero che c’era troppa gente forte, che non avrei mai potuto essere davvero competitivo. Gli inizi, devo ammettere che sono stati molto duri. Durante i miei primi allenamenti in palestra non ero capace neppure di fare due giri di corsa. Ricordo il mio maestro, Giulio Ragusa, colui che mi ha insegnato tutto sullo stile Wado Ryu, che mi correggeva spesso gli stessi errori e poi, avvicinandosi a me, mi chiedeva: “Come la vinci una gara, se il tuo cuore non riesce ad abituarsi neppure a fare due giri di corsa?” Io stavo zitto, oppure rispondevo che non lo sapevo… Questo, nel 2006. Sennonché, un anno dopo aver cominciato, esattamente il 23 dicembre del 2007, mi ritrovai contro ogni pronostico a gareggiare in un’importante gara di karate che si chiamava “Natale sotto l’albero.” Anche in quell’occasione, dissero che non avrei mai potuto portare a casa quel trofeo, e che sarei stato semplicemente una comparsa, la vittima sacrificale dei campioni quelli veri, l’avversario di comodo da prendere a calci facilmente. Teoricamente, stavano per mandarmi al massacro contro il lupo cattivo e io ci sarei andato. Perché dopo tutto quello che avevo passato, le cose brutte che avevo visto nella mia vita, le scene da film horror, non c’era niente che avrei potuto incontrare su quel tatami che fosse in grado di spaventarmi. Invece, pur stando male quella mattina del 23 dicembre 2007, con un tremendo virus allo stomaco che a stento mi faceva stare in piedi, ottenni un incredibile secondo posto, in circostanze eroiche. E il giorno dopo, qualcuno mi definì “La stella nascente della gara “Natale sotto l’albero.”” Quel giorno capii che un anno intero di duri allenamenti e fallimenti in palestra, aveva dato i suoi frutti: l’avversario che per mezzo punto soltanto mi batté, ai miei occhi non apparve poi tanto forte, pur avendo molta più esperienza di me. Probabilmente lo avrei battuto facilmente se solo quel giorno fossi stato al massimo della forma, lui apparve piuttosto lento ai miei occhi, lento e prevedibile. Questo perché, fallendo in palestra, sono andato oltre ai miei limiti e sono migliorato nel giro di un anno in un modo incredibile: li ho testati e mi sono reso conto che c’è un momento mentre ti alleni, mentre combatti, in cui, a dispetto della stanchezza, anche quando pensi che le gambe non ti reggeranno più a lungo, la corsa, il combattimento, cominciano di colpo a pesarti meno, perché la volontà ti spinge oltre…
Quali sono i valori dello sport?
Nel mio caso, lo sport mi ha messo nella società. Prima il calcio, nel periodo adolescenziale, e quindi il karate, dai diciannove anni in poi. Lo sport è formativo, terapeutico. Per quanto mi riguarda, la gara di karate è sempre stato il pretesto per far ascoltare agli altri ciò che avevo da dire. Prima che diventassi un karateka, sembrava che avessi un talento naturale nel farmi odiare dalle persone. E la colpa era anche un po’ mia, perché pur di nascondere il fatto che fossi un ragazzo non soltanto triste, ma anche con poca autostima, preferivo sembrare “il cattivo da battere”, e ci ho marciato sopra per così tanto tempo su questa cosa che, nei miei libri, ad un certo punto, mi sono anche inventato il mio alter ego estremo, che ho chiamato “ VillainDavid-Davide il mascalzoncello”, personaggio che, nel mio terzo libro “Ritornai a volare” (versione graphic-novel di “Libero da ogni limite”) è diventato una sorta di antieroe manga, che mi ha avvicinato moltissimo anche al pubblico di bambini, sui quali avevo già capito precedentemente di avere un certo ascendente. Non ho mai pensato di essere davvero un campione, ma i bambini ed anche gli adulti, hanno questa immagine di me, quella di supereroe proveniente dalla vita reale, ed io sono fiero di rappresentare i ghetti, in particolare, il ghetto nel quale sono cresciuto, Librino, dove c’è tanta brava gente che ogni giorno, attraverso i suoi sacrifici, ci dimostra che tutto e’ possibile nella vita se si lavora sodo. Le mie vittorie, non sono solo per me stesso e per la mia famiglia, ma anche per “la mia gente”, alla quale ho dato voce tramite le mie imprese da karateka. E Davide Cifalà, o se preferite “VillainDavid”, è nato per rappresentare i sogni dei bimbi e i desideri degli adulti.
Che cos’è la libertà?
Nel mio caso è un vero autentico miraggio. Qualcosa che inseguo da tutta la vita. Essere liberi, credo significhi non scendere mai a compromessi, non vendere mai sé stessi. Non farsi condizionare dai giudizi altrui, perché tanto chi non ti capisce ti criticherà in ogni caso. Non permettere a nessuno di trasformarti secondo la sua visione e le sue aspettative. Non cadere nella trappola di cercare negli altri, ciò che non troviamo dentro noi stessi. La brutta situazione che ho in casa ha sempre fatto sì che lo spirito che mi faceva vincere le gare a volte fosse anche un demone che mi portava dritto nell’oscurità. Il mio avversario più duro nel karate sono senz’altro stato io stesso. La sofferenza di mia madre e la disperazione di mio padre causate da mio fratello erano il mio pensiero fisso ogni volta che combattevo e tuttora, anche se la mia carriera da artista marziale è finita da tempo, è così… Mi sono sempre sentito responsabile per cose di cui non avevo invece nessuna responsabilità. Tutto questo mi ha sempre tarpato le ali, la mia vita è sempre stata di altri e mi sono sempre preoccupato per tutti tranne che per me stesso. Oggi, a quasi trentacinque anni, sto cercando di imparare a non avere sensi di colpa verso nessuno, se non verso me stesso, per tutti gli istanti di vita che ho sprecato, per via della mia infanzia rubata.
Perché scrive?
Non conosco altro modo per ascoltarmi dentro, per esprimere tutti quei pensieri, quelle emozioni, che nella vita, essendo uno di poche parole, non riuscirei a esprimere a parole e neppure voglio farlo… Non è facile trovare qualcuno che ti ascolti veramente, o che sia in grado di capire fino in fondo quel che dici… Molti ti chiedono della tua vita non per reale interesse, ma solo per curiosità… io ho imparato a non dare ciò che ho dentro a chi non sa apprezzare ciò che sono.
Come immagina Librino tra dieci anni?
Uno dei miei sogni è che un domani, uno dei miei libri, magari anche “Ritornai a volare”, possa essere distribuita nelle scuole come libro di testo, possibilmente nella stessa scuola elementare di Librino che ho frequentato io da bambino. Sarebbe molto bello raccontare ai bambini di oggi che la mia storia è partita da lì. Spero che chi ha in mano il potere possa far crescere questo quartiere, anche se so già che molti ci stanno provando, attraverso manifestazioni canore ed altre iniziative. Chissà, magari un giorno farò una presentazione lì… sarebbe bellissimo.