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“L’ospite d’onore”

51xOFP1K9FL._SX340_BO1,204,203,200_ (1).jpgdi Gabriele Ottaviani

Come si fa ad attirare a sé una cosa così, si domandò, una cosa che potrebbe cambiare tutto, che potrebbe cambiarti la vita?

L’ospite d’onore, Joy Williams, Black coffee. Traduzione di Sara Reggiani e Leonardo Taiuti. Carver e Cheever li conosciamo tutti. E sono solo i primi nomi che sovvengono al livello della coscienza e della mente se si pensa, finanche distrattamente, alla letteratura che si esprime per racconti. Due pietre miliari. Joy Williams invece non è un nome noto. Ed è un peccato mortale. Ma anche una fortuna immensa. Bisogna sempre diffidare di chi, quando gli si confessa che non si è letto un determinato libro, sgrana gli occhi come un capriolo dinnanzi alla doppietta del vigliacco cacciatore (acchiappami senza spararmi, se ci riesci, altrimenti il confronto è dispari, verrebbe da dire immedesimandosi nell’ungulato…). Bisogna sempre diffidare di chi, con spocchia, punta il dito. È una fortuna aver ancora qualcosa di sensazionale da leggere, non una colpa. La colpa, al massimo, risiederebbe nell’ignorare che finalmente in Italia c’è l’antologia completa dei racconti di Joy Williams, questo monumentale e strepitoso volume. Attraverso cui passa la vita in tutti i suoi colori, come la luce bianca che si parcellizza per il tramite di un prisma. Qui il prisma è la scrittura esaltante di un’autrice geniale, che conduce il lettore fin sulla soglia dell’incommensurabile.

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