Intervista, Libri

Giuliano Malatesta: Barcellona e Montalbán

C7_8BVqWsAAv4vSdi Gabriele Ottaviani

Il venti di aprile alle ore diciotto e trenta presso la Libreria Il Viaggiatore di via del Pellegrino 165 a Roma sarà presentato El niño del balcón – La Barcellona di Manuel Vázquez Montalbán (Giulio Perrone editore) di Giuliano Malatesta, che noi di Convenzionali abbiamo il grande piacere di intervistare.

Se dovesse scegliere un aggettivo per descrivere l’opera di Manuel Vázquez Montalbán quale selezionerebbe? E perché?

Difficile rispondere senza circoscrivere almeno in parte la monumentale opera di Montalbán. Se facciamo riferimento alla saga di Pepe Carvalho, più che un aggettivo mi viene in mente un sostantivo, l’ironia, è stata la sua cifra per raccontare la transazione spagnola sotto la forma di una irriverente commedia umana. Se invece parliamo di altri suoi romanzi, come “Il Pianista”, “Io Franco” o “Galindez”, allora il filo conduttore è sempre quello della memoria. La memoria per non dimenticare la storia degli sconfitti.

Cosa rappresenta Barcellona per Montalbán? E per lei?

Barcellona per Montalbán è la città dei 3 peccati capitali: anarchica, repubblicana, separatista. È la città di un immaginario letterario che non esiste più, quello dei racconti dell’antico barrio chino scritti nella prima parte del Novecento da scrittori francesi come Jean Genet e André Pieyre de Mandiargues, ma è anche un simbolo, l’ultimo bastione della resistenza antifranchista, una cosa che Franco non le perdonò mai. Tutte tematiche che si ritrovano costantemente in gran parte della sua opera. Manolo (a Barcellona tutti lo chiamano così) era quasi ossessionato dalla perdita di questa memoria e dal rischio che la città si stesse trasformando in quella che lui stesso chiamava una provincia dell’impero.

Cos’è l’identità di una città? E quella dei suoi abitanti? Barcellona, per esempio, fa parte di una comunità dalle forti istanze autonomiste…

Nell’ultimo decennio le istanze autonomiste in Catalogna hanno avuto una grande accelerazione, al punto che oggi parlare di indipendenza non è più un tabù. Anzi. La moglie di Montalbán, Anna Sallés, proveniente da una storica famiglia comunista, mi ha confidato di aver votato a favore dell’indipendenza nel referendum consultivo. Ma non sono affatto convinto che Manolo avrebbe apprezzato questa dose forse eccessiva di nazionalismo catalano. Sbilanciandomi, direi che lui era più un barcellonista che non un catalinista.

Come sono cambiate le metropoli occidentali nel corso degli ultimi decenni?

Generalizzando, potremmo sostenere che molte metropoli contemporanee sono diventate negli ultlmi decenni più moderne e innovative ma anche sempre più impersonali. Con grandi centri gentrificati che si assomigliano tra loro e periferie sempre più povere e arrabbiate. Quanto a Barcellona è innegabile che la città si sia un po’ imborghesita sotto l’autocompiaciuto postmodernismo catalano, per usare una definizione del critico d’arte Robert Hughes, che alla città ha dedicato una biografia artistica meravigliosa.

Perché il viaggio e gli spazi urbani sono tematiche così importanti in letteratura?

Proverei a invertire la questione: quanto è importante la letteratura per raccontare uno spazio urbano? Per Montalbán molto, visto che la sua principale critica al disegno della Barcellona post olimpica fu proprio quella di aver sostanzialmente modificato e messo da parte quell’immaginario letterario barcellonese di città peccatrice, portuale, oscuramente minacciosa, codificato in oltre 200 anni di storia. “La prossima ventura sarà invece, temo, la barcellona dei surgelati. Una città rapinata dei suoi quartieri più tipici, del ricordo delle sue lotte sociali e del suo cinismo borghese”, disse una volta. Forse non aveva tutti i torti. Trovarle un nuovo e credibile immaginario non sarà impresa facile.

 

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