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“Il cielo è dei violenti”

imagedi Gabriele Ottaviani

La parola di Dio è amore e voi lo sapete che cos’è l’amore, gente? Se non sapete che cos’è l’amore non riconoscerete Gesù, quando tornerà. Non sarete pronti. Voglio raccontare a voi, gente, la storia del mondo, a cui non è dato sapere quando arriva l’amore, così quando l’amore tornerà, voi sarete pronti…

Il cielo è dei violenti, Flannery O’Connor, Minimum fax, traduzione, meravigliosa, di Gaja Cenciarelli. Prefazione di Marco Missiroli. Sono passati sessant’anni dalla prima pubblicazione di questo romanzo straordinario e tragicamente attuale, dato che sarebbe viceversa così rassicurante illudersi di poter definire come del tutto superati i tempi nei quali era necessario combattere perché la ragione e la scienza si imponessero sull’oscurantismo dell’incultura, in cui, come un ventaglio policromo, si mostra tutta la straordinaria forza della stentorea voce narrativa di Flannery O’Connor. Flannery aveva soltanto trentacinque anni, e gliene restavano quattro, gravidi di tormenti, anemie, necrosi e tumori, da vivere quando pubblicò questo che è di fatto il suo testamento: da otto anni sapeva di avere il lupus eritematoso, la stessa malattia, all’epoca del tutto incurabile, che sedicenne l’aveva resa orfana di padre e costretta ad assumere quantitativi enormi di steroidi che per converso dettero a lei, giovane e appassionata viaggiatrice – e poi tra l’altro pure docente universitaria, in sostituzione di un altro mito come Eudora Welty – finita sempre per tornare a casa, in Georgia, problemi ossei e di mobilità via via sempre peggiori, tanto che si ritrovò a un tratto di fatto con l’anca e la mandibola disgregate. Ma questo non la fa avvitare su di sé, tutt’altro: lo spirito pionieristico ereditato dagli avi migrati nel diciannovesimo secolo oltreoceano dall’Irlanda poverissima, fondatori del primo nucleo cattolico in quella che è la terra delle pesche, della Coca-Cola e della più indomita di tutte le Scarlett e non solo, risboccia come da un bulbo a riposo più fulgido che mai, dando al genio gotico e ironico della sua scrittura una connotazione viepiù marcata, l’audacia. E verrebbe da dire che non potesse che nascere in Georgia, così come non poteva che essere un Ariete, e una figlia unica, che da un lato sente il peso di dover sempre dimostrare qualcosa, dall’altro non sa né può né vuole vivere altrimenti, Flannery, sognatrice razionalissima, a sei anni già celebre per aver insegnato a un pollo a camminare all’indietro, amante dei pavoni, animali splendidi che accudiva a dozzine, scrittrice prolifica (più di cento solo le sue recensioni per il settimanale della diocesi…) nonostante il poco tempo concessole su quest’atomo opaco del male da un Dio talmente amato da dedicargli un diario, scritto ogni giorno, nel cortile di casa, tra la ghiaia, l’erba e il cemento, a pochi, pochissimi passi, di più non poteva farne, dalla cucina, in cui, comme il faut, troneggiavano un tavolo e una madia, e da litigarci sovente chiedendo perché: Il cielo è dei violenti è un titolo tratto da un verso di Matteo tradotto dalla Bibbia che inneggia alla collera contro Dio, e racconta del rapimento di un ragazzo di quattro anni affidato allo zio dopo la morte della madre da parte di un prozio fanatico santone che non ha nulla, pare, di santo. Quando dopo dieci anni Francis Marion Tarwater torna a casa sarà difficile per Rayber, maestro elementare che confida nelle leggi del sapere, togliergli dalla mente la mefitica gromma della grettezza, e liberarlo dal senso di colpa. C’è chi, del resto, non se ne affranca mai: ma siamo davvero nati per soffrire? O non, piuttosto, per essere e rendere felici? Immenso.

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