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“Freeman’s – Potere”

unnameddi Gabriele Ottaviani

Quando lasci un pompelmo sul piano della cucina per un paio di settimane, le membrane e le fibre che gli danno la sua bella forma arrotondata poco a poco si lasciano andare. La forza di gravità si insinua all’interno dell’agrume, e la sua parte inferiore inizia a cedere senza sosta. Si allarga e prende la forma piatta del ripiano, mentre la parte superiore si assottiglia. La testa di Primitivo Doblado aveva proprio quella forma lì: un pompelmo sconfitto. Primi, come lo chiamavano tutti, era una presenza fissa nei campi di aglio bruciati dal sole delle fattorie Gyrich. Nessuno sapeva come ci fosse arrivato, o come il vecchio bastardo riuscisse a farsi assumere per raccogliere l’aglio ogni santa estate, quando lavoratori migliori, più giovani, più costanti e più sobri di lui venivano lasciati a casa. In mancanza di una spiegazione logica, c’era chi attribuiva la sua buona sorte a forze oscure. «Da dove gli viene la fortuna di farsi prendere ogni anno? Te lo dico io» sbraitava mia nonna Tiburcia. «Nel portafoglio quell’ubriacone maledetto conserva un ciuffo di peli del culo di Satana. Ha dalla sua la fortuna del Nemico. Stagli lontano, hijo». Il caldo di Hollister sul finire dell’estate era un drago che ci terrorizzava e contro cui imprecavamo quotidianamente: ci piombava addosso a metà mattina e aleggiava su di noi, pesante e inesorabile, fino a sera. Per via dell’afa, la giornata lavorativa iniziava presto. Alle sei eravamo pronti, ognuno con la sua divisa. Gli uomini indossavano cappelli di paglia o da baseball, e camicie a maniche lunghe che tiravano giù quando gli avambracci iniziavano a bruciare, verso le dieci o le undici. Le donne si coprivano di più. Portavano camicie a maniche lunghe e guanti di cotone. Molte di quelle più giovani, che ci tenevano a proteggere la pelle, preferivano indossare una specie di velo da lavoro che le copriva dalle spalle in su: una fascia che andava dalle sopracciglia alla testa; una seconda, in stile bandito, sul naso e sulle guance; e una terza a proteggere la nuca. Alcune ne indossavano una quarta…

Freeman’s – Potere, Black Coffee, a cura di John Freeman. Logora chi non ce l’ha, si sa, e per esso molti sono pronti alle peggiori nefandezze: è il potere, ciò che governa il mondo, caleidoscopica febbre che ha più forme di Proteo, e il tema del nuovo numero di questa elegantissima rivista letteraria, intessuta con tale pregio da sembrare un’armonica antologia, un romanzo essa stessa, che declina l’argomento attraverso le sensibilità artistiche di alcuni fra i massimi scrittori in senso assoluto del nostro tempo, nelle riuscite traduzioni italiane di Massimiliano Bonatto (Rowe, Mitchell, Nishi), Marina Calvaresi (Anam, Kurniawan, Louis), Mario Alberto Galasso (Chang, Gowrinathan, Im, Lopez), Umberto Manuini (Shafak, Yi), Francesca Pellas (Cortez, Forna, Smith) e Leonardo Taiuti (Alvarez, Biss, Hemon, Hilsman e Russell, Keret). La traduzione delle poesie di Atwood, Fagan, Landau e Okri è di Damiano Abeni. Da non perdere per nessuna ragione.

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