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“Se ricordi il mio nome”

51ruv1p+8rL._SX328_BO1,204,203,200_.jpgdi Gabriele Ottaviani

Ci sono sere in cui i ricordi arrivano così, senza bussare.

Se ricordi il mio nome, Carla Vistarini, Corbaccio. È giovane. È ricco. È neghittosamente disteso in un vero e proprio paradiso. Ha tutto ciò che serve, o che perlomeno verrebbe da pensare che serva, e che basti, per essere felice. Eppure non lo è. Ma non perché si lagni di qualcosa. Semplicemente perché ha il cuore indolenzito dal dolore del ricordo. Quella canaglia della nostalgia, insomma. Che gli fa pensare a Roma. Al caos. A una mamma. A una bambina. A un pericolo che ha sventato. È lo Smilzo. Era un finanziere. Ha fatto bancarotta. È stato senza fissa dimora. E non può smettere di pensare a tutto ciò che ha lasciato. Alle persone che ha conosciuto, una più strana, strampalata e straordinaria dell’altra (qualcuno pensa persino di avere un cane capace di parlare…). A quella piccola creatura, in particolare. Che gli è entrata nella pelle e nell’anima. E così, quando un giorno – Dio benedica Meucci, o chi per lui – il telefono squilla e capisce che la bimba non solo non l’ha dimenticato, ma ha bisogno di lui, lo Smilzo non può, e non vuole, far finta di niente. Sa di non sapere, come tutti gli uomini saggi. Sa una cosa sola. Sa che deve tornare. Partire. Andare. Ricominciare sul serio a vivere. Vibrante, palpitante, emozionante, commovente, il romanzo di Carla Vistarini, che non ha bisogno di presentazioni e che sa fare della parola un dono, è una cornucopia di primizie, sentimentale senza sentimentalismo. Intenso.

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