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“L’una e l’altra”

bigsur11_smith_lunaelaltra_coverdi Erminio Fischetti

La dottoressa Rock ha abbassato le sopracciglia che le si erano inerpicate in cima alla fronte. Ha fatto un’espressione per comunicare che stava aspettando un attimo per vedere se George aveva intenzione di dire qualcos’altro. George allo stesso modo ha fatto un’espressione per comunicare alla dottoressa Rock che non aveva intenzione di aprire bocca. La dottoressa Rock ha espirato lentamente. Si è sporta verso George. Le ha detto di essere felice che George fosse stata sincera sul fatto di aver detto realmente quella parola quando aveva finto che non fosse così. Poi si è appoggiata di nuovo allo schienale, perché George era rimasta in silenzio almeno fino a quel momento, e si è messa a parlare della figura greca dell’annunciatore di verità. Questa, ha detto la dottoressa Rock, era una figura molto importante nella vita e nella filosofia degli antichi greci, di solito si trattava di un uomo senza potere, senza una posizione sociale degna di questo nome, che si prendeva la briga di tenere testa alle più alte autorità quando le autorità erano ingiuste o sbagliavano, ed esprimeva forte e chiaro le verità più scomode, anche se così facendo finiva per mettere a repentaglio la propria vita. Un uomo o una donna, ha detto George. E, per la cronaca, trovo questa seconda allusione, o esempio o illustrazione che dir si voglia, molto più efficace di quella sul Minotauro. La dottoressa Rock ha posato la matita sulla scrivania facendo un rumore secco. Ha scosso la testa. Ha sorriso.

L’una e l’altra, Ali Smith, traduzione di Federica Aceto, SUR. Ali Smith è una scrittrice scozzese. Nota, valida, interessante, originale. In una intervista fattale dalla sua traduttrice italiana, la già nominata Federica Aceto, ha sottolineato quanto abbia significato fare, parlando di scrittura, una distinzione fra uomini e donne: proprio recentemente ho scritto un saggio su una poetessa e regista scozzese originaria di Orkney, Margaret Tait (1918-1999). Negli anni ’50 aveva studiato in Italia al Centro Sperimentale. Poi tornò in Scozia, prima a Edimburgo e poi di nuovo a Orkney e fece dei film-poesie assolutamente improponibili da un punto di vista commerciale. In Gran Bretagna la tradizione del cinema d’autore e d’avanguardia nacque e si sviluppò fra gli anni ’60 e gli anni ’70 e continua ancora oggi. Ma a quell’epoca era quanto mai controcorrente. Pubblicò anche tre libri di poesie. E anche la sua voce poetica era avanti di una ventina d’anni. In quelle poesie si riconoscono i germi di Liz Lochhead e Alasdair Gray. Fece film per cinquant’anni ma girò il primo film con una trama vera e propria quando aveva settant’anni e passa. Sono arciconvinta che se fosse stata un uomo sarebbe conosciuta, quanto meno in Scozia. Saremmo tutti fieri, tutti lì a elogiare il suo incredibile coraggio, quanto abbiamo imparato grazie ai suoi esperimenti in campo artistico e via dicendo. Ma in realtà non la conosce praticamente nessuno. Alla fine, dopo tanto penare, quest’anno le hanno dedicato una retrospettiva all’Edinburgh Film Festival e grazie a questa iniziativa almeno adesso c’è qualcuno che la conosce. Abbiamo rischiato di perderla. Rischiamo di perdere traccia di tutto quanto ha fatto, delle cose che ha creato, di quello che ha rappresentato. È un dato di fatto: le donne cadono spessissimo nel dimenticatoio. E parla proprio, e bene, senza facile retorica e in maniera sottile, di identità di genere, tema quanto mai dibattuto nei nostri tempi, spesso con bieca faciloneria, questo suo romanzo, denso, profondo, affilato, accurato, dalla scrittura precisa, splendidamente bilanciata, che riesce a mescolare atmosfere più immediatamente percepibili come misteriose ad altre che pur apparendo meno inquietanti e contorte in realtà sono emotivamente altrettanto coinvolgenti, se non di più, e aprono fondamentali squarci nella percezione del soffitto di cristallo che spesso e volentieri opprime realmente le sacrosante ambizioni femminili, e che talvolta sono proprio alcune donne a sostenere con ogni sforzo, visto che, se crollasse definitivamente, se una di loro ce la facesse sul serio, solo grazie alle sue forze, significherebbe che in realtà, per tutte le altre, non ci sarebbero più scuse (vale anche per gli uomini, ma il genere maschile è evidentemente avvantaggiato, nel mondo del lavoro e non solo). I binari corrono paralleli, ma al tempo stesso sono ben intrecciati, l’insieme è amalgamato, la trama solida, la narrazione riuscita: c’è una ragazza che nella Ferrara quattrocentesca dalle pietre rosse di cui Bassani ha evocato in più occasioni lo stagliarsi quasi dolomitico incombente sui passanti si finge uomo per realizzare il suo sogno. Dipingere. E c’è Georgia, detta George, sedicenne che pochi mesi dopo che la madre, un’attivista politica scomoda, ha visitato quegli stessi affreschi (la Smith è stata ispirata da Francesco del Cossa, tra i principali artisti del quindicesimo secolo che appartennero alla scuola della città estense) ne deve affrontare la prematura scomparsa. Arte, potere e non solo: grandi temi per un romanzo intelligente e sostanzioso. Il tema del doppio, alter ego, corrispondente, specchio del sé, appare in assoluto fondamentale, centrale, nevralgico, svolto e rappresntato in ognuna delle sue sfaccettature e chiavi di lettura possibili, così come del resto l’obbligo de facto che costringeva le donne, soprattutto se desiderose di intraprendere la carriera artistica, a mascherarsi da uomini, camuffarsi, travestirsi (un tema molto caro alle arti e in particolare al cinema), vivere, che si fosse o meno omosessuali, un’altra esistenza, per sfuggire non solo al dimenticatoio e all’oblio e ottenere viceversa dignità, rispetto, visibilità, stima, considerazione al di là di ogni pregiudizio che si fermasse solo all’aspetto esteriore ed estetico, ma anche, cosa ancor più grave e di tragica attualità, alle mire di chi voleva farne invece, com’è capitato del resto invece ad Artemisia Gentileschi – immortalata dalla prosa di Anna Banti nel dopoguerra in un intreccio fra passato e presente molto simile a quello ripreso dalla stessa Ali Smith – e a molte altre (ma lei è senza dubbio la più nota di questo sfortunato novero), vittima della propria protervia. Viene alla mente il recente romanzo di Simona Baldelli, La vita a rovescio, che proprio di questo parla: Ali Smith compone un’opera che brilla per la sua intensità.

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