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“I film liberano la testa”

81vggHcggDL._AC_UY218_ML3_.jpgdi Gabriele Ottaviani

Lo spazio poetico, come lo spazio visivo, scandisce il tempo e la punteggiatura della narrazione e l’evocazione dell’immagine. Come Sanguineti, Kechiche declina la vivisezione di un corpo, avvolto nel proprio autoritratto. Nel campo cinematografico, il concetto di “pornografico”, diversamente delle altre arti, per una questione di censura, morale o semplicemente costumi dominanti, ha recente storia nel suo voler mostrare “l’atto sessuale”. La rappresentazione artistica della sessualità vede i suoi albori negli anni Cinquanta, ma non per questo non è possibile definirne un “modello classico”. La rappresentazione del corpo nudo generalmente si racchiude all’interno di piani ravvicinati (dove il più ampio è la figura intera), articolando la scena attraverso il montaggio alternato o la successione di piani, il movimento dell’operatore e della macchina da presa sono canonicamente subordinati a quelli dei personaggi, al fine di restituire l’iconicità della “concitazione sessuale”. L’attribuzione del temine “classico” al genere pornografico è più rapportabile a una questione di manifattura che all’evoluzione della messa in scena. La manifattura, professionale o amatoriale, ha solitamente alla base una trama di finzione o è costruita sulla base di soggetti-cliché, all’interno della quale si svolge la rappresentazione dell’atto sessuale, mentre l’evoluzione della messa in scena, nel tempo, ha sviluppato un punto di vista, sempre di dominio, ma rivolto più verso un’uguaglianza di genere. Nella rappresentazione della finzione (cinematografica) vi è l’evoluzione da parte dello spettatore del “desiderio” e la volontà da parte dell’autore di voler porre lo spettatore in una condizione di “partecipante alla storia”, sia attraverso il “travolgimento” della trama, sia attraverso lo sviluppo di una messa in scena, accostandosi sempre più (attraverso i campi e piani) verso l’oggetto desiderato. Questa modalità di rappresentazione dell’atto sessuale pone l’interpretazione del termine “pornografico” nella sua variante di “costruzione” visiva e narrativa come la rappresentazione velata o innamorata dell’impulso naturale. Nel genere pornografico-erotico cinematografico, ad esempio, l’utilizzo della dissolvenza in nero è una parentesi esplicita sui due amanti, dove fondamentale è l’uso del fuori campo, onde sconfinare nel genere pornografico “classico” dell’audiovisivo. Scrive Alain Fleischer nel suo saggio sulla pornografia La Pornographie: Une idée fixe de la photographie: “Se l’essenza della fotografia è di essere una traccia […] un visibile che subito s’imprime, si chiude definitivamente dietro la parete del tempo alla velocità della luce, allora è nella pornografia, rappresentazione del contatto tra il contatto dei corpi, dell’impronta inflitta ad uno dall’altro, del marchio inscritto dell’uno sull’altro, dell’apertura dell’uno all’altro, della penetrazione dell’uno attraverso l’altro, che la fotografia trova il suo assoluto, il punto di fuga del suo progetto, il suo oggetto ideale, la sua idea fissa”. Quindi l’idea di contatto è propria del mezzo. Esattamente come la fotografia, anche il cinema impressiona l’immagine per contatto, attraverso la sua forma analogica. La costruzione dell’immagine, in entrambi i casi, è data dalla forma dei corpi spogli: sia in senso fisico che metaforico. Sempre secondo Fleischer, l’immagine pornografica è agli antipodi dell’immagine divina, che, diversamente da quella fotografica (che appartenente anche al mondo dell’audiovisivo) ha forma di fattura manuale. Fleischer associa all’immagine divina o astratta l’immaginario pornografico di tutte le arti che non comprendono un’“impressione per contatto” di un evento realmente accaduto o vissuto, come al contrario accade nell’atto fotografico o nella messa in scena, dove…

I film liberano la testa – Teoria e analisi del cinema, Stefano Incerti, Meltemi. Marker, Kieślowski, Lucas, Lynch, Polański, Iñárritu, i fratelli Dardenne, Kechiche, Anderson e Malick: è da qui che prende le mosse la limpida, chiarissima, appassionante, monumentale, coinvolgente, travolgente, ricchissima, densa, solida, profonda, impeccabile, variegata, doviziosa al di là delle più rosee aspettative, e di ogni immaginabile termine di paragone, di livelli d’interpretazione, chiavi di lettura, suggestioni, riferimenti, ideali e concetti, evocativa e sorprendente – l’apparato critico è semplicemente straordinario – esegesi che Stefano Incerti, regista, sceneggiatore, docente dal palmarès impeccabile e dalla filmografia di pregio e prestigio (Il verificatore, Prima del tramonto, La vita come viene…), fa della settima arte pressoché nella sua totalità in questo volume omonimo nel titolo italiano di quello di tanti decenni fa a firma del geniale Fassbinder. Semplicemente magistrale.

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