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“Scritture della catastrofe”

di Gabriele Ottaviani

Un elemento che abbiamo già avuto modo di mettere in luce nelle distopie totalitarie è la presenza, vera o presunta, della lotta clandestina…

Scritture della catastrofe – Istruzioni e ragguagli per un viaggio nelle distopie, Francesco Muzzioli, Meltemi. Le scritture distopiche sono una previsione apocalittica o un’anticipazione di quello che ci riserva il futuro? Questa è la domanda da cui prende le mosse, con arguzia, abilità, sapienza e competenza, il saggio di Francesco Muzzioli, intellettuale, docente, critico, cultore della materia, esperto letterato ed esegeta di chiarissima fama, dalla spiccata indole divulgativa, che con dovizia di particolari degna di una cornucopia gravida di primizie, dono benefico per tutti coloro che vi si vogliano accostare, risponde in modo più che esauriente alla questione, regalando al lettore il dono di una profonda meditazione in primo luogo sulla funzione stessa primaria della letteratura e dell’arte, che sbircia le luci nelle case degli altri e parla sempre al presente e in speranzosa prospettiva ai posteri, anche quando inventa mondi altri e apparentemente inesistenti e irrealizzabili.

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“A chi appartiene la mia vita?”

di Gabriele Ottaviani

Nei primi anni dell’acclamata era atomica tutto assumeva contorni grandiosi…

A chi appartiene la mia vita? – Il suicidio nella modernità, Thomas Macho, Meltemi, con un saggio di Antonio Lucci, traduzione di Monica Fiorini. Bisogna un po’ morir per poter vivere, dice la canzone, ed è certo che con ogni probabilità molti di noi, in più di un’occasione, abbiano, nei momenti di massimo scoramento, posto a sé medesimi la domanda più dolorosa: del resto, se ognuno è artefice del proprio destino, perché non scegliere anche come e quando andarsene? Ma la nostra vita è solo nostra? Non appartiene anche un po’ a tutti coloro, ammesso che ce ne siano, che amiamo e che ci amano? Ogni vita, in fondo, non influenza incontrovertibilmente, persino inconsapevolmente, tutte quelle con cui, anche solo per un istante, viene in contatto? L’Ortis, il giovane Werther, George Bailey, Adriana Astarelli sono solo alcuni dei personaggi che sovvengono alla soglia della coscienza quando si pensa al suicidio, compiuto o meno: Macho indaga il ruolo nell’epoca moderna, attraverso anche diari, film e opere d’arte, di un atto di profondissimo vigliacco coraggio, di disperata speranza, un totem e un tabù della nostra cultura, realizzando un’esegesi monumentale, magnetica, profonda, che induce alla riflessione.

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“Calcio e cultura dello stupro”

71NffBNb9QL._AC_UL320_di Gabriele Ottaviani

Nel paragrafo successivo vengono riportati altri dettagli riguardo alle frequentazioni fra T. O. e X. Viene specificato che lei viveva nella stessa strada della madre di lui. Che T.O. aveva incrociato sovente X presso un bar di solita frequentazione (lo Zu Bar) e che in almeno tre occasioni lei si fosse trovata in stato di alterazione alcolica. In quelle circostanze lei gli aveva detto che se l’avesse portata a casa di lui “si sarebbero divertiti”. Questa testimonianza viene acquisita e i suoi rilievi affidati a un investigatore privato cui viene dato incarico di reinterrogare T.O. unitamente ad altri testimoni. Nel quadro di tale attività T.O. viene interrogato una seconda volta il 13 settembre 2012. In questa occasione va più nello specifico su alcuni dettagli. Afferma che, al tempo in cui i fatti erano accaduti, conosceva Ched Evans da circa 8 anni e X da circa 13 anni. Torna sulle prime tre occasioni in cui X ha passato la notte in casa sua e ribadisce che in quelle circostanze non vi furono rapporti sessuali nonostante fossero stati consumati dei preliminari. Ribadisce che, in tutte e tre le occasioni, l’indomani X non ricordasse nulla della notte precedente. Il testimone aggiunge di aver trovato sempre stramba questa mancanza di memoria di X, poiché nelle sere precedenti non gli era parso fosse così ubriaca. Quindi, come riporta il paragrafo 24, si passa alla descrizione della quarta e ultima notte trascorsa insieme. Una circostanza che, come afferma il dichiarante, avviene circa due settimane dopo i fatti accaduti la notte fra il 29 e il 30 maggio 2011, dei quali egli non era al corrente. Si incrociano nel solito Zu Bar all’orario di chiusura. Lei appare “ubriaca ma in grado di reggersi e parlare”. Viene riferito che sia lei a compiere l’approccio usando la frase già incontrata (“If you take me home, I’ll show you a good time”). Prendono un taxi e durante il tragitto si abbandonano ai preliminari. Una volta in casa vanno al piano di sopra, nella camera da letto di lui. E giunti a questa fase del racconto è necessario riportare testualmente una sequenza: Mentre facevano sesso, X urlava “scopami, scopami più forte”. X gli ha chiesto di cambiare posizione e lo ha invitato a penetrarla da dietro. Si è messa a quattro zampe per facilitarlo. In quella posizione ha continuato a urlare: “Scopami, scopami più forte”. Hanno cambiato posizione un’altra volta e X ha continuato a urlare le stesse parole.

Calcio e cultura dello stupro – Il caso Ched Evans, Pippo Russo, Meltemi. Prefazione di Francesco Sidoti. Sessista, maschilista, violenta, rabbiosa, invidiosa, oscurantista: è sempre più sovente così, dannazione, sovente, la nostra società. E il calcio, fenomeno di massa che catalizza l’attenzione di tanti appassionati e attira denari come il ferro una calamita, ne è uno specchio, in cui si riflettono, nel bene e troppo di frequente nel male tutti gli aspetti: Pippo Russo, prendendo le mosse da una bruttissima storia troppo poco nota, allarga poi il discorso realizzando un’esegesi ad ampio spettro, interessante e potente, che induce alla riflessione da molteplici punti di vista. Da non perdere per nessuna ragione.

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“Appunti per un dizionario delle amanti”

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Le figlie della notte si muovono sempre in tre. Esse hanno la faccia nera e le membra nere. A volte dipingono le loro palpebre, la parte alta delle guance e il naso d’oro. Portano anche una maschera che brilla sotto le luci pur lasciando il mento e la mandibola invisibili. Prima dell’età della gloria esse sono state cacciate e perseguitate perché vivevano la notte. Ma esse padroneggiavano l’arte della sparizione quando si credeva di averle in pugno. Dopo l’età della gloria le figlie della notte si sono moltiplicate. Le cantastorie dicono che le abitanti della notte abbiano sviluppato delle conoscenze notturne. Per esempio, esse sanno quali sono le piante che vivono di notte, i fiori che si aprono di notte. Le cantastorie dicono che raccolgano la rugiada in orari differenti, perché non c’è una sola rugiada ma diverse rugiade che non hanno tutte le stesse proprietà. Le cantastorie dicono che esse abbiano legami con le civette, le coniglie, le lepri, le talpe, le serpi, le tope, le ratte, le pipistrelle, le gatte, le volpi. Amano passare nei corpi di queste animali. Le cantastorie dicono che ci siano delle figlie della notte dovunque e che sia necessario abitare la notte per poterle avvicinare.

Monique Wittig, Sande Zeig, Appunti per un dizionario delle amanti, Meltemi. Traduzione e cura di Onna Pas. Poetessa, docente universitaria, saggista e molto altro ancora, vissuta tra il ventesimo e il ventunesimo secolo, Monique Wittig è in assoluto una delle più nobili fra le madri nobili del femminismo, idea portatrice di istanze ancora oggi necessarie: per un certo periodo si è pensato che ci fossimo decisamente evoluti, è ora di ammettere che ci siamo sonoramente sbagliati, e di correre una volta per tutte ai ripari. Questo testo, ironico e geniale sin dal titolo, è un’esegesi maiuscola del mito, del preconcetto, del pregiudizio, della narratologia, della storiografia, della linguistica, della sociologia: agilissimo e politico nel senso più elevato del termine, è imprescindibile.

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“Gli impiegati”

unnamed (1)di Gabriele Ottaviani

È vero che eccezionalmente si verificano delle felici coincidenze che fanno credere in un’armonia prestabilita. Conosco il rappresentante di una marca di sigarette che rappresenta il suo ramo in modo così perfetto come se vi fosse nato. È quello che si dice un tipo chic, vive e lascia vivere, è un brillante conversatore, ci sa fare con le donne e sa cogliere le occasioni. Ma la cosa sorprendente è che le sue molteplici doti non sono semplicemente arabeschi senza sostanza, come accade nel caso degli altri produttori e rappresentanti, ma sorgono su una base reale e l’esprimono perfettamente. Qui la stessa natura è chic; un comportamento che comunemente caratterizza un uomo la cui esistenza si riduce a vuote relazioni qui scaturisce invece da un uomo di sostanza. Secondo le sue stesse parole è ricevuto come un principe, quando si presenta dai clienti nella macchina di lusso della ditta. Poiché l’elegante vettura è precisamente il giusto accessorio per lui, egli ama anche usarla per passeggiate con signore e altri scopi privati – un’abitudine signorile che secondo il suo giudizio torna indirettamente a vantaggio della ditta, a cui del resto non ha mai nascosto questi viaggi extra. (Purtroppo nel frattempo il progressivo movimento di concentrazione che si è verificato nell’industria delle sigarette ha anche determinato un razionamento dell’uso dell’automobile, e le signore resteranno con un palmo di naso). Quest’uomo è di umili origini, e proviene dal centro di Berlino. Altre persone, dotate delle sue qualità e del suo reddito, vedono lo scopo della loro vita nel diventare gentiluomini, nell’entrare a far parte della classe superiore. Egli invece non è interessato all’industria del piacere raffinato e alle chances che il suo fascino irresistibile saprebbe probabilmente sfruttare, e si mantiene fedele al suo sindacato di impiegati, in cui ha già convinto molte persone a entrare.

Siegfried Kracauer, Gli impiegati, Meltemi. Con un saggio di Maurizio Guerri e una nota di Luciano Gallino. Traduzione di Anna Solmi. Saggista, filosofo, sociologo, teorico del cinema, scrittore, influenzato dalla psicoanalisi, dal metodo iconologico di Panofsky e non solo, nato a Francoforte sul Meno da una famiglia di media estrazione sociale ebrea, il che lo costrinse a lasciare la Germania – fu naturalizzato statunitense, ed è morto a New York poche settimane dopo il suo settantasettesimo compleanno, nel millenovecentosessantasei – con l’avvento delle nefaste croci uncinate, uomo di multiforme ingegno e dai mille interessi, Kracauer, la cui analisi lucidissima del mondo circostante è più attuale che mai, nonostante i molti decenni trascorsi, indaga in questo testo monumentale l’universo del lavoro. Siamo a Berlino, è il millenovecentotrenta, e per la prima volta vede la luce la stampa di Angestellen. Ossia, per l’appunto, Gli impiegati. Nella fragilissima repubblica di Weimar dove l’inflazione ha la prepotenza d’un tornado e il malcontento ribolle e dove ci sono ci sono quasi un milione e mezzo di impiegati nel settore industriale, più di due in quello commerciale, e un gran numero di statali, spina dorsale della burocrazia, Kracauer, mentore di Adorno, amico di Benjamin, responsabile della pagina culturale della Frankfurter Zeitung, parla con dattilografe, contabili, commercianti, dirigenti d’azienda, banchieri, sindacalisti, industriali, consiglieri d’amministrazione, beve e mangia con loro, li ascolta, lascia che le loro vicende parlino. E dipinge l’affresco del’alienazione: fenomenale.

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“I film liberano la testa”

81vggHcggDL._AC_UY218_ML3_.jpgdi Gabriele Ottaviani

Lo spazio poetico, come lo spazio visivo, scandisce il tempo e la punteggiatura della narrazione e l’evocazione dell’immagine. Come Sanguineti, Kechiche declina la vivisezione di un corpo, avvolto nel proprio autoritratto. Nel campo cinematografico, il concetto di “pornografico”, diversamente delle altre arti, per una questione di censura, morale o semplicemente costumi dominanti, ha recente storia nel suo voler mostrare “l’atto sessuale”. La rappresentazione artistica della sessualità vede i suoi albori negli anni Cinquanta, ma non per questo non è possibile definirne un “modello classico”. La rappresentazione del corpo nudo generalmente si racchiude all’interno di piani ravvicinati (dove il più ampio è la figura intera), articolando la scena attraverso il montaggio alternato o la successione di piani, il movimento dell’operatore e della macchina da presa sono canonicamente subordinati a quelli dei personaggi, al fine di restituire l’iconicità della “concitazione sessuale”. L’attribuzione del temine “classico” al genere pornografico è più rapportabile a una questione di manifattura che all’evoluzione della messa in scena. La manifattura, professionale o amatoriale, ha solitamente alla base una trama di finzione o è costruita sulla base di soggetti-cliché, all’interno della quale si svolge la rappresentazione dell’atto sessuale, mentre l’evoluzione della messa in scena, nel tempo, ha sviluppato un punto di vista, sempre di dominio, ma rivolto più verso un’uguaglianza di genere. Nella rappresentazione della finzione (cinematografica) vi è l’evoluzione da parte dello spettatore del “desiderio” e la volontà da parte dell’autore di voler porre lo spettatore in una condizione di “partecipante alla storia”, sia attraverso il “travolgimento” della trama, sia attraverso lo sviluppo di una messa in scena, accostandosi sempre più (attraverso i campi e piani) verso l’oggetto desiderato. Questa modalità di rappresentazione dell’atto sessuale pone l’interpretazione del termine “pornografico” nella sua variante di “costruzione” visiva e narrativa come la rappresentazione velata o innamorata dell’impulso naturale. Nel genere pornografico-erotico cinematografico, ad esempio, l’utilizzo della dissolvenza in nero è una parentesi esplicita sui due amanti, dove fondamentale è l’uso del fuori campo, onde sconfinare nel genere pornografico “classico” dell’audiovisivo. Scrive Alain Fleischer nel suo saggio sulla pornografia La Pornographie: Une idée fixe de la photographie: “Se l’essenza della fotografia è di essere una traccia […] un visibile che subito s’imprime, si chiude definitivamente dietro la parete del tempo alla velocità della luce, allora è nella pornografia, rappresentazione del contatto tra il contatto dei corpi, dell’impronta inflitta ad uno dall’altro, del marchio inscritto dell’uno sull’altro, dell’apertura dell’uno all’altro, della penetrazione dell’uno attraverso l’altro, che la fotografia trova il suo assoluto, il punto di fuga del suo progetto, il suo oggetto ideale, la sua idea fissa”. Quindi l’idea di contatto è propria del mezzo. Esattamente come la fotografia, anche il cinema impressiona l’immagine per contatto, attraverso la sua forma analogica. La costruzione dell’immagine, in entrambi i casi, è data dalla forma dei corpi spogli: sia in senso fisico che metaforico. Sempre secondo Fleischer, l’immagine pornografica è agli antipodi dell’immagine divina, che, diversamente da quella fotografica (che appartenente anche al mondo dell’audiovisivo) ha forma di fattura manuale. Fleischer associa all’immagine divina o astratta l’immaginario pornografico di tutte le arti che non comprendono un’“impressione per contatto” di un evento realmente accaduto o vissuto, come al contrario accade nell’atto fotografico o nella messa in scena, dove…

I film liberano la testa – Teoria e analisi del cinema, Stefano Incerti, Meltemi. Marker, Kieślowski, Lucas, Lynch, Polański, Iñárritu, i fratelli Dardenne, Kechiche, Anderson e Malick: è da qui che prende le mosse la limpida, chiarissima, appassionante, monumentale, coinvolgente, travolgente, ricchissima, densa, solida, profonda, impeccabile, variegata, doviziosa al di là delle più rosee aspettative, e di ogni immaginabile termine di paragone, di livelli d’interpretazione, chiavi di lettura, suggestioni, riferimenti, ideali e concetti, evocativa e sorprendente – l’apparato critico è semplicemente straordinario – esegesi che Stefano Incerti, regista, sceneggiatore, docente dal palmarès impeccabile e dalla filmografia di pregio e prestigio (Il verificatore, Prima del tramonto, La vita come viene…), fa della settima arte pressoché nella sua totalità in questo volume omonimo nel titolo italiano di quello di tanti decenni fa a firma del geniale Fassbinder. Semplicemente magistrale.

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“Cosa si nasconde dietro il bullismo”

unnamed.pngdi Gabriele Ottaviani

Ciò che rende ancor più complesso il quadro è il fatto che questa indeterminazione fondamentale sul piano dell’i­dentità sessuale (che è la struttura portante dell’identità tout court) dovrà definirsi ulteriormente nel rapporto conflittuale, disarmonico, con l’altro sesso. Dal lato maschile, la nostra cultura continua ad imporre la norma (implicita) secondo cui per “essere” uomo occorre “fare l’uomo”, e che per “fare l’uomo” si deve esibire la potenza maschile mettendola sot­to il segno dell’”avere” (mostrare i muscoli, le medaglie, e insomma tutto ciò che rientra nella immagine narcisistica della “erezione fallica”). La glorificazione della proprietà e del consumo ha radici antropologiche profonde, a monte dell’economia e della politica. Le sue origini sembrano ri­siedere nella comune associazione, all’interno delle culture patriarcali, tra virilità e possesso materiale, e gli uomini veri sono quelli che producono più di quanto non consumino1. Nel corso del tempo si è verificato però una trasformazione rispetto a questa immagine arcaica (patriarcale), passando dalla produzione per il bene degli altri al possesso materia­le per il proprio interesse personale. È facile capire come questa identificazione tra potenza sessuale virile e proprietà materiale, rafforzata dall’attuale sistema socio-economico che vede nel “toro” la potenza finanziaria, possa spingere gran parte dei giovani a non affrontare la loro processua­lità interiore ma ad esorcizzarla con la violenza verso l’al­tro, assumendo la posizione reattiva del bullo. Nonostante le criticità che destabilizzano l’identità simbolica maschile, continua a permanere ancora oggi una concezione della ma­scolinità fortemente gerarchica e competitiva nei rapporti tra gli uomini, allo stesso tempo oppressiva nei confronti delle donne.

Cosa si nasconde dietro il bullismo – Saggio sulla formazione complessa, Fabrizio Spagnol, Meltemi. Il bullismo c’è da sempre. Perché da sempre esiste la prepotenza. Il razzismo. La violenza. L’ostilità nei confronti del diverso. Di chi è più debole. Più fragile. Più insicuro. Più timido. Più dolce. Più impaurito dal futuro, dalla vita, dagli altri, più bisognoso di cura, di affetto, di attenzione. E probabilmente esisterà per sempre. Perché il più delle volte oltretutto i protervi la fanno franca. Ma non è questo un motivo per arrendersi. Anzi. A maggior ragione bisogna impegnarsi. Si deve cambiare. In primo luogo la mentalità. Perché parte tutto dalla testa. Dalla cultura. Dal suo mefitico opposto, l’ignoranza. Apprendere è l’unica risorsa, la sola salvezza. Sviluppare ciò che di bello c’è. Bulli e vittime sono legati a filo doppio, intervenendo nella società le spirali negative possono essere spezzate: Spagnol ci spiega come. Da non perdere.

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“Scritti sulla letteratura e sull’arte”

unnamed (2).jpgdi Gabriele Ottaviani

A che era dovuta l’efficacia tra­gica dei drammi che sostenevano l’abolizione, per le masse ridotte in miseria, dell’obbligo di mettere al mondo figli? E, per essere più precisi, a che era dovuta l’efficacia che tali drammi avevano sui potenti o su coloro che continuavano a pensare che fosse loro interesse mantenere il sistema vigen­te? Era dovuta al fatto che, all’apparenza, si trattava di una situazione immutabile. Di fatto, il capitalismo non poteva andare avanti senza la limitazione delle nascite. Chi erano coloro che non avvertivano questa efficacia tragica? Coloro che vedevano già la possibilità di attuare la libertà di mette­re al mondo figli, che cioè non avevano nessun interesse a mantenere delle condizioni che esigevano l’introduzione del controllo delle nascite. Prescindendo, infatti, dagli interes­si totalmente egoistici della classe dominante, la situazione non era affatto immutabile; abolendo radicalmente il sistema sociale vigente era possibile eliminare anche la miseria. Chi si lasciava commuovere da questa esperienza artistica non veniva quindi affatto distolto dai suoi interessi, al contrario quella commozione corrispondeva ai suoi interessi perché, infatti, essa presupponeva la conferma dell’immutabilità di un sistema dal quale lui e soltanto lui ricavava vantaggi.

Scritti sulla letteratura e sull’arte. Con la nota introduttiva di Cesare Cases e una postfazione di Marco Castellari. Traduzione di Bianca Zagari. Bertolt Brecht, Meltemi. Non è solo in assoluto uno dei più grandi scrittori, drammaturghi e intellettuali della storia del mondo, è anche un formidabile teorico, finissimo esegeta, acutissimo osservatore, drammaticamente preconizzatore delle storture meschine del reale: Brecht rivive nella raccolta di testi qui mirabilmente riprodotta. Impeccabile e imprescindibile.

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“Il colore del cibo”

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I loro desideri e anche le loro pratiche tendono all’abbondanza, a una cucina ricca ed elaborata, possibile, però, soltanto durante le feste o in occasioni eccezionali. Il folklore rivela lo scarso apprezzamento per il “magro”, le erbe, le zucche, le cipolle, considerate poco nutrienti. Non è il rifiuto di alimenti che caratterizzano la loro cucina e la loro sensibilità alimentare, piuttosto la disaffezione per cibi ordinari, a cui si è costretti quasi quotidianamente. Numerosi testi di tradizione orale ironizzano sul “mangiare vegetariano” cui si è obbligati, rivelano il rifiuto dell’ideologia ecclesiastica del “digiuno” e delle “astinenze”. La prescrizione religiosa del digiuno e delle erbe (secondo concezioni religiose, mediche e filosofiche che affondano le loro radici nell’antichità) appare spesso razionalizzazione delle scarse disponibilità alimentari e di uno stato di precarietà persistente (Teti 1978; 1990a; 1992). Non è necessario condividere l’impostazione materialistica e deterministica di Marvin Harris (1977; 1985), per notare come modelli e valori dietetici delle società tradizionali del Mediterraneo fossero legati a situazioni concrete, dipendessero da necessità. Molti cibi diventavano “buoni da mangiare” soltanto perché riuscivano a risolvere il problema della “fame”. Lo stesso “digiuno” appare esito di necessità più che di scelte legate a motivazioni dietetiche o a prescrizioni religiose. Quaresima che esalta corpi denutriti, magri, cadenti, brutti è oggetto d’ironia e di disprezzo. Non a caso nel folklore dell’Italia meridionale è immaginata e raffigurata come una “strega”, cattiva, vecchia, magra, brutta, secca, ricurva, dispensatrice di astinenze ed erbe che fanno piangere grandi e bambini. Le filastrocche, recitate o cantate dai bambini in diverse località della Calabria, rivelano il rifiuto popolare dei cibi e dei corpi magri…

Il colore del cibo – Geografia, mito e realtà dell’alimentazione mediterranea, Vito Teti, Meltemi, prefazione di Igor de Garine. Torna in una nuova veste completamente rivista ancor più ricca, approfondita e densa di significato un saggio di capitale importanza: è noto, siamo quello che mangiamo. Perché il cibo è cultura, tradizione, retaggio, eredità, identità, simbolo, cura, risorsa, strumento, sempre di più, anche se parrebbe strano a dirsi, in questo tempo che tutto reifica e fugacemente consuma: l’ospitalità, sacra sin dai tempi degli antichi, dato che finanche il padre di tutti gli dei visse la costrizione d’essere esule e ramingo, si esprime anche, per non dire soprattutto, attraverso il desco, luogo di dialogo, incontro, confronto, unione, condivisione, progettualità: per il tramite di una limpida e raffinatissima esegesi Teti racconta questo, e molto altro. Da leggere con attenzione.

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“Marcia notturna”

713hjtR-opL._AC_UL436_.jpgdi Gabriele Ottaviani

Kohli comunque non aveva mai desiderato lavorare nel baracchino del tè e la sua riluttanza a collaborare in quella giornata così impegnativa era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso per il suo esausto padre. L’anno prima Kohli era scappato con suo fratello maggiore per un periodo di sei mesi in una fornace di mattoni nel Bengala Occidentale. La tensione di Kohli in effetti derivava dal suo risentimento verso l’eccesso di controllo genitoriale da parte di suo padre. E come se la cavava con la scuola? Domandai a Kohli. La scuola, dichiarò, era una perdita di tempo. Sapevo che era vero perché mi era capitato di insegnare da quelle parti, per alcune ore al giorno, quando avevo tempo libero. Quasi sempre ero l’unica insegnante presente, benché dai registri figurassero in tutto quattro insegnanti, oltre al preside. Non c’erano panche su cui sedersi. I libri di testo, ordinati otto mesi prima, dovevano ancora arrivare. E si diceva che il preside, apparentemente un pedofilo, avesse violentato quattro ragazze. La scuola era solo un pretesto per deviare altrove i fondi stanziati per gli stipendi, oltre al denaro e ai materiali per la mensa gratuita del mezzogiorno che si aggiungeva alle riserve di denaro in nero destinate agli imprenditori edili. Il programma della mensa di mezzogiorno era un’iniziativa varata dal governo per scoraggiare il lavoro minorile e incoraggiare l’alfabetizzazione, fornendo appunto pasti gratuiti ai bambini in età scolare (e di conseguenza aumentare le iscrizioni scolastiche); ma in queste aree era più che altro noto come un modo per alimentare il mercato nero di cherosene, nonché del riso e persino del dal. I commercianti e gli intermediari responsabili della distribuzione del carburante e degli oli destinati in sovvenzione per le scuole si rivendevano quelle provviste con profitto.

Marcia notturna – Nel cuore della guerriglia rivoluzionaria indiana, Alpa Shah, Meltemi, traduzione e cura di Daniela Bezzi. I naxaliti sono guerriglieri maoisti attivi nelle foreste del centro dell’India vestiti di verde oliva che combattono animati dall’utopia della conquista del potere, che ritengono possibile solo ed esclusivamente per il tramite dell’attuazione di un progetto rivoluzionario e di una strategia sovversiva. Fra di loro, nell’anno del Signore duemiladieci, c’è una donna. È l’unica. È il solo individuo che non porti armi con sé. È una studiosa. È un’antropologa. È una testimone. Vuole indagare. Conoscere. Capire. Descrivere. Raccontare. È Alpa Shah. E questa è la sua storia. Magistrale e interessantissima.

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