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“L’ultima generazione”

51LMLS5ApLL._AC_US218_.jpgdi Gabriele Ottaviani

Le mie verità non mi hanno reso immune alla depressione. Negli ultimi due mesi sono stato uno straccio, un cane nero e spelacchiato assai difficile da aizzare. Nessuna filosofia ti rende immune ai periodi di down. Non combattevo le mie battaglie, crollavo dal sonno e mi rifiutavo di dormire. La depressione è stata improvvisa e inaspettata. La causa della depressione è stata illogica e femminile. Il fatto che ora, che ne sto uscendo, abbia voglia di picchiare qualcuno denota che dalla depressione vorrei uscire in modo altrettanto illogico, ma maschile.

L’ultima generazione, Zeno Cavalla, Clown Bianco. È fissato col sesso – del resto è maschio, giovane, bello, affascinante, intelligente e smaliziato: a cosa dovrebbe pensare la gran parte del tempo, alle sfumature di colore delle tessere dei mosaici di Piazza Armerina, con tutto il rispetto? È come se qualcuno si scandalizzasse per le inquadrature di Mektoub: my love – Canto uno di Kechiche: buon Dio, si racconta la storia di un ventitreenne – per giunta di rara sensualità – che vuole lasciare medicina per fare lo sceneggiatore, quindi un lavoro che racconta la realtà partendo dalla sua attenta osservazione, dove dovrebbe indugiare il suo sguardo se non sulle splendide forme delle sue coetanee nel corso di una lunga estate calda in Francia, sulle doppie punte (ammesso e non concesso che un maschio eterosessuale sappia cosa sia una doppia punta, va senza dirsi…)? – e con molto altro, e in realtà l’interesse primario non collima assai col resto. È uno studente, è del nordest, un’amica blogger gli ha dato un soprannome che è tutto un programma, e lui è alle prese con un viaggio, un’avventura picaresca: in primo luogo, quella di diventare adulto… Zeno Cavalla dà alle stampe un gioiello caleidoscopico, multisfaccettato, scintillante, scritto in stato di grazia, che si legge in un lampo ma per molto più tempo permane nel cuore: da non farsi sfuggire.

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