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“Greco, che farne?”

4842di Gabriele Ottaviani

Se questo “greco” non fosse poi tanto inutile?

Era Giovanni Pascoli a farsi questa domanda. Sì, proprio lui. Persino lui. In merito al greco, questo (s)conosciuto. C’è chi pensa che non serva a nulla. Che sia una lingua morta, e tanto basta. Che sia un retaggio del passato. Un organo vestigiale che dà solo fastidi e noie. Praticamente come l’appendice. Ma il greco non è solo quell’agglomerato di lettere, accenti e spiriti organizzato in versioni su Leda e il cigno o sulla flogosi provocata dalla peste che colpì Atene durante la guerra del Peloponneso, come racconta meravigliosamente Tucidide, insieme, per la latinità, a Tacito, il migliore dei migliori. Non è qualcosa su cui rompersi la testa. È la lingua della cultura. È l’alba dell’occidente. Greco, che farne? (Fabio Roscalla, ETS) è un saggio formidabile e autenticamente divulgativo, che ripercorre la didattica della lingua di Esiodo nel diciottesimo e diciannovesimo secolo e mostra come perplessità, dubbi, incertezze, lamentele e obiezioni, come nell’eterno ritorno dell’uguale, in merito alla materia ci fossero già allora. Ma la storia è maestra per antonomasia, e guardando al passato si può capire l’oggi e progettare un futuro. Si spera migliore. e che metta al centro la cultura, che è scomoda per il potente, e già questo basterebbe per volerla salvare, ma è soprattutto l’anticamera necessaria della bellezza.

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