di Gabriele Ottaviani
Il capro espiatorio, August Strindberg, Carbonio, traduzione di Franco Perrelli. Il giovane, timido e impacciato avvocato Libotz, personaggio meraviglioso, simbolico ed evocativo, un po’ in difficoltà sia con il lavoro che con le questioni di cuore, è l’ultimo arrivato in una cittadina svedese sperduta tra le montagne, in cui il glorioso passato di stazione termale non è che un polveroso e nostalgico ricordo, e ora non vi sono pressoché altro che pensionati, vedove e infermi. Straniero in un luogo ostile, portato ad accollarsi colpe non sue e a farsi schiacciare dal senso del dovere, è il perfetto capro espiatorio per tutti: e questo libro ha centodiciassette anni, ma sembra scritto domani. L’ultimo romanzo di Strindberg, un genio che non ha bisogno di presentazioni, il capitolo conclusivo della cosiddetta trilogia della solitudine, è una straordinaria, ironica, mai meramente amara, analisi dell’ineluttabilità del destino, dell’inafferrabilità dell’esistenza, della fragilità della natura e della condizione umana, oltre che una formidabile testimonianza di talento, una boccata d’aria fresca, che fa bene allo spirito e induce alla riflessione, commuove, emoziona, coinvolge, travolge e sconvolge: insomma, il potere salvifico della bellezza si esprime in queste pagine alla massima potenza. Da non perdere.