di Gabriele Ottaviani
Le cose precipitarono decisamente intorno al 1603, come inevitabile conseguenza di una serie di provocazioni – non certo velate – lanciate dallo stesso Baglione. La prima fu un Amore sacro e amor profano concepito in chiara contrapposizione con l’Amor vincit omnia di Caravaggio, invenzione che tanto stupore aveva suscitato nei salotti del marchese Vincenzo Giustiniani. Il quadro del Baglione, commissionato dal fratello dello stesso marchese, il cardinale Benedetto, strizzava in maniera disinvolta l’occhio a tutta la cultura della Controriforma e dell’arte ufficiale, poteri che aveva mostrato di essere abilissimo ad ingraziarsi. Fu così che il cardinale, entusiasta del risultato, decise addirittura di ricompensare il suo pittore donandogli una catena d’oro. Non potendo competere con la qualità della pittura del ‘rivale’ Baglione pensò di alzare ulteriormente la posta in gioco, presentando una seconda versione dello stesso soggetto. Questa volta però il demone in basso a sinistra volgeva lo sguardo verso lo spettatore; nelle sue fattezze si poteva riconoscere chiaramente il volto dello stesso Caravaggio. La tensione si spostò sugli altari, quando Baglione si vide assegnare dalla Compagnia di Gesù un’enorme pala sul tema della Resurrezione, incarico cui aveva ambito anche il Merisi. Il risultato finale fu un fiasco, una composizione disarticolata – e ben presto rimossa con imbarazzo – nella quale era possibile rintracciare nella parte inferiore anche un maldestro tentativo di ispirarsi al Martirio di san Matteo. Tutto questo fece infuriare Caravaggio, l’iroso Caravaggio, il violento, l’impetuoso, il pittore che girava sempre con la spada “incline a duellare e a far baruffe”. Come imbastì dunque ‘l’attaccabrighe’ Caravaggio la sua cruenta vendetta? Prendendosi gioco del goffo avversario, componendo insieme ai suoi amici non una, ma ben due poesie scurrili! Ma a quell’epoca la diffamazione era un reato da prendere molto sul serio a quanto pare, e ‘Gian Coglione’…
Francesco Fiotti, Kubrick e Caravaggio, sabotatori del reale, Mimesis. Prefazione di Gianvincenzo Cresta. Dando vita a un raffinato, inedito, ardito ma niente affatto peregrino, in quanto entrambi hanno svelato le ipocrisie dell’apparenza puntando dritti alla nudità della sostanza, parallelismo fra due figure della storia dell’arte, nell’accezione più ampia ed elevata del termine, certamente controverse, amate, odiate, celebrate, osteggiate, combattute e censurate, che non solo non hanno senza alcun dubbio bisogno di presentazioni ma che incarnano anche con assoluta chiarezza un decisivo punto di svolta rispetto alle esperienze che li hanno preceduti, Francesco Fiotti tesse un racconto dotto e denso che è non solo un’esegesi piena, completa e compiuta, ma anche un’allegoria della condizione umana. Da leggere.