di Gabriele Ottaviani
Un vero artista se ne andrebbe per boschi a scriverti. Ma sto ancora qui, ho bollette da pagare e la signora dell’ufficio tributi dice sempre domani. Tutto è bene quel che finisce, mi dico, m’illudo, ma non finisce mai. Non sono così stupido da dedicarti un libro intero, e poi neppure per te lo faccio, ma per il tuo archetipo.
Il vapore e la ruggine – 99 note in calce a un testo inesistente, Marco Montanaro, LietoColle. La dimensione del testo è quella che connota per sua stessa natura la letteratura in quanto espressione dell’umano sentire attraverso la parola scritta: se non c’è testo non c’è letteratura. In teoria. In pratica, invece, Marco Montanaro, che non si limita affatto alla mera condizione dell’esercizio di stile, senza dubbio interessante ma che rischia inevitabilmente di sfociare, nel caso in cui non si sia in grado di gestire in maniera appropriata la situazione, nel vaniloquio virtuosistico, riesce a fare letteratura, prendendo spunto, verrebbe da dire, in maniera evidente, dalla lezione di maestri come Queneau, ma rielaborandola a suo modo, senza che il testo ci sia. Le pagine sono vuote, bianche, è il lettore a riempirle seguendo il percorso del gioco che l’autore, metanarrativamente, ingaggia con lui, sfondando la quarta parete e liberandosi da tutte le convenzioni, costruendo una solidità espositiva attraverso delle note. A piè di pagina. Che si fanno genere letterario. Che rimandano al nulla ma costruiscono una storia. Da non perdere.
L’ha ribloggato su Malesanguee ha commentato:
Una bella recensione de “Il vapore e la ruggine”.
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