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“Venezia è laguna”

Venezia è laguna_coverdi Gabriele Ottaviani

Salvo che poi, eccolo, qualche minuto dopo, l’effetto risucchio e pistone, come lo chiamano, e tu che all’imbarcadero, in attesa del vaporetto, senti all’improvviso la terra sotto ai tuoi piedi agitarsi come fosse preda di una mareggiata, che non c’è, come se stesse passando una nave da crociera, come se stessero passando tonnellate di roba, che poi è quello che è successo davvero, sì, ma qualche manciata di minuti fa, non adesso, e l’onda, improvvisa, sgorga dalle profondità, da milioni di litri d’acqua smossa, violentata in precedenza, perché un corpo non può solcare il mare senza spostarne quantità equivalenti, di mare. Di laguna, in questo caso, che non è mare. E queste cose le sanno bene, i truffatori del buon senso, i sabotatori del paesaggio. Un effetto, quello risucchio e pistone, che fa svuotare all’improvviso canali e rii, che poi si riempiranno di nuovo, altrettanto all’improvviso, provocando mini tsunami quasi impercettibili, però devastanti sul lungo periodo, per le rive e le fondamenta di Venezia. Infine, non bastasse, le grandi eliche, invisibili, là sotto, che sollevano e frullano e sparpagliano sedimenti, che scavano e sconvolgono e distruggono i fondali. L’intera settimana, a Venezia, è un viavai continuo. Come se dei tir attraversassero piazza Duomo a Milano, o dei carri armati percorressero Ponte Vecchio a Firenze, come se degli aerei atterrassero sugli Champs Élysées a Parigi o dei treni tagliassero in due piazza Navona a Roma, ma tutto ciò moltiplicato in maniera esponenziale, perché Venezia è Venezia e domandatevi all ra che cosa succede alle fondamenta di piazza San Marco, quando quelle città marine nient’affatto invisibili, composte da milioni di chili di acciaio, di vetro, di plastica, di liquidi, di carne umana, ci passano sopra e spingono la loro stazza, la loro forza verso il basso, con una potenza inaudita, giù in fondo, verso le radici della città più bella del mondo, la mia.

Di Venezia Italo Calvino, oltre al meraviglioso ricordo nelle Città invisibili, ha scritto: Nei progetti delle metropoli del futuro, si vede sempre più spesso apparire il modello veneziano, per esempio nelle proposte degli urbanisti per risolvere il problema del traffico di Londra: vie destinate ai veicoli che passano in profondità, mentre i pedoni circolano su vie sopraelevate e ponti. L’epoca in cui viviamo vede tutte le grandi città esistenti in crisi: molte città diventano invivibili; molte città dovranno essere ristrutturate o costruite ex novo secondo piani più conformi al modello veneziano. Ma progettare delle Venezie asciutte vuol dire amputare il modello di ciò che esso rappresenta di più profondo: la città acquatica come archetipo dell’immaginazione e come struttura che risponde a bisogni antropologici fondamentali. Io credo nell’avvenire delle città acquatiche, in un mondo popolato da innumerevoli Venezie.
L’acqua avrà sempre più posto nella civiltà metropolitana,per due ragioni: perché l’alimentazione dell’umanità sarà basata sulla coltivazione degli oceani più che sulla coltivazione dei campi, e si può prevedere che le città industriali del futuro saranno costruite nell’acqua, su palafitte o natanti; secondo, la prossima grande rivoluzione dei mezzi di trasporto abolirà quasi completamente sia le automobili che gli aeroplani per sostituirli con veicoli a cuscino d’aria; questo imporrà una differenziazione tra le strade a suolo duro che serviranno per il piccolo traffico e le grandi vie di comunicazione a cuscino d’aria anche nell’interno delle città; è logico prevedere che il traffico a cuscino d’aria si svolgerà meglio su vie a pavimentazione liquida, cioè su canali. Nel periodo di trapasso che stiamo per vivere, in cui tante città dovranno essere abbandonate o ricostruite da cima a fondo, Venezia, che non è passata attraverso la breve fase della storia umana in cui si credeva che l’avvenire fosse dell’automobile (un’ottantina d’anni soltanto) sarà la città meglio in grado di superare la crisi e di indicare con la propria esperienza nuovi sviluppi.
Una cosa Venezia perderà: il fatto d’essere unica nel suo genere. Il mondo si riempirà di Venezie, ossia di Supervenezie in cui si sovrapporranno e allacceranno reticoli molteplici a diverse altezze: canali navigabili, vie e canali per veicoli a cuscino d’aria, strade ferrate sotterranee o subacquee o sopraelevate, piste per biciclette, corsie per cavalli e cammelli, giardini pensili e ponti levatoi per pedoni, teleferiche. Naturalmente la circolazione verticale avrà altrettanta estensione e varietà mediante ascensori, elicotteri, gru, scale da pompieri montate su taxi o su natanti di varia specie. È in questo quadro che va visto il futuro di Venezia. Considerarla nel suo fascino storicoartistico è cogliere solo un aspetto, illustre ma limitato. La forza con cui Venezia agisce sulla immaginazione è quella d’un archetipo vivente che si affaccia sull’utopia.
E quanto suonano strane, al giorno d’oggi, queste parole. Da un lato precoci, dall’altro una musica che batte in levare, che sembra suonare un ritmo oramai perduto. Venezia è città fragile e bella, liquida e stabile, sempre uguale e sempre diversa, ricca di visitatori e meno di abitanti, rutilante di frenesie nei giorni della mostra del cinema, silente e placida in altri tempi, vivibile e difficile, con una viabilità degna delle più ardite pagine di Borges, scomodissima e fascinosa. Una città vittima di tanti generi di speculazioni, violata dalla protervia di chi trova piacevole far passare a un palmo dai suoi sottoporteghi (anche i nomi delle strade e i segnali appartengono a un mondo tutto loro, hanno una varietà e ricchezza senza eguali) mastodonti che hanno solo la forma di una nave. Che l’autore del libro ha visto nascere. E crescere. A dismisura. In realtà sono città. Come Venezia. Che è arte e cultura. È mare e terra. Venezia è laguna. Un pamphlet, un racconto, una narrazione che unisce amore per i luoghi del cuore e denuncia per le bassezze di chi da quegli stessi luoghi ama solo il profitto che ne può ricavare. Il libro di Roberto Ferrucci per Zoom Flash si legge d’un fiato, è agile e limpido (molto più dell’acqua della laguna, ahimè), e soprattutto importante.

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