di Gabriele Ottaviani
Scusate. Scusate per la voce, fino a ieri non parlavo, ma Roma è torrida, fanno trentacinque-trentasei gradi, e c’è l’aria condizionata fortissima dappertutto, quando esci, magari vai a un ristorantino o a bere qualcosa dopo un concerto (sono stata a quello di Sting, che bello!) ti arriva addosso e ti ammali. E scusate soprattutto per il ritardo, ma mi è successo di tutto, mi sono ferita sul braccio, mi sono macchiata il vestito, perdonatemi, detesto farmi aspettare, anche perché si viene sempre a creare l’enfasi, e a me non piace l’enfasi, sono una persona semplice, forse anche esageratamente, non sono un’intellettuale, in un mondo più borghese e intellettuale, anche come personaggi, mi ci ha portato Bertolucci. Gian Maria Volonté quando recitava sottolineava le frasi con un colore diverso a seconda dell’impressione che doveva comunicare, oppure Giancarlo Giannini si immagina sempre di essere un animale differente volta per volta, per me sarebbe troppo complicato, io sono un’istintiva, ho delle remore anche a piangere, perché per l’attore il pianto è un’arma a doppio taglio, mi è venuto naturale solo in Novecento, quando devo far sì che la popolazione scenda in piazza perché i fascisti hanno bruciato la casa del popolo con dentro tutti i miei vecchietti amatissimi, con quelle facce bellissime, a cui facevo il doposcuola. Ecco, lì ho pianto otto ore di fila, non avevo più gli occhi, Bernardo Bertolucci guardava in camera e mi diceva: Ma quanto hai pianto? Poi qualche giorno fa finalmente gli ho raccontato il perché, perché quando lavori certe volte non hai tempo di dirti le cose. È venuto a casa mia a cena e abbiamo chiacchierato un po’. Con lui ho fatto tanti film, mi chiamava all’inizio l’attrice di Germi, e io devo dire la verità che con i miei grandi registi con cui ho avuto il privilegio di lavorare ho sempre fatto più di un film. Sono stata fortunata, tanto, e ho anche imparato tante cose: però sono stata anche consapevole, attenta, con un buon istinto di conservazione, per me e a maggior ragione per i figli che avevo in grembo quando ero incinta, conoscevo il sottobosco, quando Scola, che mi accolse al provino con un sorriso bellissimo, e da lì diventammo amici, mi parlò di Adriana, del film di Pietrangeli Io la conoscevo bene di cui aveva scritto in parte la sceneggiatura, sapevo che non mi poteva capitare una cosa del genere, però io a quel personaggio ho voluto un mondo di bene, sempre di più man mano che andava avanti. Non voglio sembrare presuntuosa ma ho sempre fatto le cose quando ero pronta, e mia mamma diceva sempre Ciò che avviene conviene… Mi piace lavorare tanto anche coi giovani: quando vedo un bel film fatto da un giovane sono così contenta… Mi sento viva, perché io quando vado al cinema sono un po’ principessa, mi piace essere servita bene, vedere un bel film. E adesso a settembre ne comincio uno con Elio Germano, che è un attore che mi piace tantissimo. E poi c’è il tour teatrale con Il bagno, che mi stanca moltissimo, ma è una commedia proprio bella, con un regista brillante. È la quarta cosa che faccio a teatro, è veramente nutrimento per l’attore, però è faticoso: stai tutto il giorno ad aspettare la rappresentazione… Per carità, nel frattempo fai cose bellissime, viaggi, incontri persone, vedi posti, mangi cose buonissime, però stai sempre lì con l’ansia. E poi io spero sempre che il pubblico si sia divertito: glielo chiedo sempre quando li aspetto in camerino, è la prima cosa, voglio sapere se sono stati bene. Il bagno, poi, per me è faticoso anche perché sono tutte ragazze giovani, alte, belle, coi tacchi, e allora un po’ di tacco me lo voglio mettere anch’io… A Roma l’abbiamo fatto alla sala Umberto, era sempre pieno, ed è venuto a vedermi anche Coppola, di cui adesso esordisce alla regia pure la moglie, però non è vero, come qualcuno ha detto, che ci farò un film, abbiamo solo parlato perché anch’io pochi anni fa ho fatto un film da regista a cui tengo tanto, su questa donna del Trecento, Cristina da Pizzano, Christine Cristina, con mia figlia Amanda, che c’è anche nel Bagno, e che è stata tanto paziente con me e brava nel rappresentare una figura, quella di Cristina, che mi ha conquistata. Francis Ford Coppola invece mi voleva per Il padrino, ma avrei avuto lo stesso padre, la stessa madre e la stessa scena di Sedotta e abbandonata, quella della visita della mammana, e allora glielo dissi, che sarebbe stato troppo per le mie povere spalle passare da vergine nazionale a vergine internazionale. Si è messo a ridere, mi rispose solo che sarebbe stata un’occasione per conoscere dei grandi attori, ma non mi ha portato rancore, io non posso stare con le persone che portano rancore. E poi di grandi attori per fortuna ne ho conosciuti tanti: ho cominciato col migliore di tutti, Mastroianni… Ricordo una volta poi, con Jeremy Irons, che si arrabbiò moltissimo perché Bernardo Bertolucci gli aveva stropicciato tutto il cappello: mamma mia, ho pensato, ecco, non vedevo l’ora di avere un dialogo con lui e invece mi è andata buca, stamattina mi sono alzata a vuoto… Però poi gli ho detto che non se la doveva prendere, che Bernardo è uno così, appassionato, e che poi aveva fatto bene, perché stava meglio, prima sembrava uno spaventapasseri, e io che ero di fronte lo vedevo… Allora lui ha chiamato l’assistente, si è fatto tradurre la parola spaventapasseri, si è messo a ridere ed è andata bene… Anche con Fellini ho avuto un’occasione, ma l’ho persa. Però avevo una cosa più importante da fare: aspettavo mia figlia Amanda, che tra l’altro è venuta al mondo qui in Svizzera, a Losanna, anche perché a me e Gino piaceva che nascesse in Svizzera, e poi la situazione era complicata, e io volevo starmene tranquilla, non ho mai amato il divismo: io sono nata nell’epoca in cui è nato quel fenomeno, che è anche una cosa pericolosissima per un attore. Non ci volevo neanche andare al colloquio, ma il mio agente di allora, che era tanto simpatico e carino, rideva sempre, mi ha detto che non potevo non andare. Mi voleva per Giulietta degli spiriti, un ruolo che poi quando ho visto il film non c’era proprio: e non so se avrei comunque accettato un ruolo senza sceneggiatura, perché per me la prima cosa dev’essere la sceneggiatura. Io sono uno strumento, il regista è il direttore d’orchestra, ma la sceneggiatura la devo leggere, mi deve piacere, almeno per i miei gusti, devo essere convinta che il film poi verrà ancora più bello. E poi il film deve essere corale: non ho mai fatto cinema per far vedere quanto sia stata, e spero di esserlo ancora, ammesso e non concesso che poi in realtà lo sia davvero, o lo sia mai stata, bella e brava… Anche con un regista svizzero ho perso un’occasione: dovevo fare La merlettaia, ma è andata bene così… Ho sempre amato i vecchi, come dicevo prima, quando camminavo da bambina per la mia adorata Viareggio dicevo sempre alla mia mamma: Mamma, guarda che bello quel signore, ce lo portiamo a casa? E lei mi rispondeva: Ma amore non possiamo, quel signore è di qualcuno… Mia mamma era contraria che andassi a Roma per fare il primo provino, così come tutti i suoi fratelli e tutti i fratelli di mio padre, che già non c’era più. Allora mi ci ha portato mio fratello, Sergio, amatissimo, di sette anni più grandi di me, che ora non c’è più, un musicista e poeta appassionatissimo di tutto, che sapeva le biografie di tutti i grandi e me li raccontava, che mi portava sempre al cinema, perché a Viareggio c’erano più cinematografi che chiese, e li usavano anche come sale-test, venivano portati lì dei film in anteprima per vedere se funzionavano e poi immetterli nel mercato nazionale. Con Sergio ho fatto i primi filmini di genere horror a casa, mi faceva vedere i musical, Cassavetes… Quando invece ho lavorato con Dustin Hoffman in Alfredo, Alfredo Pietro Germi che era anche produttore del film mi voleva assolutamente, e quando gli ho detto di no perché aspettavo mio figlio Vito, che è medico, si è buttato per terra, mi ha detto che non gli potevo fare un torto simile, che mi avrebbe trattato come un fiore fresco (perché lo adoravo, ma lavorare con lui era proprio tosto: e poi era un cacadubbi, scusate la parolaccia, per Divorzio all’italiana mi ha fatto aspettare due mesi prima di sapere se ero stata presa o no, e si arrabbiò moltissimo perché nel frattempo avevo fatto Il federale e il film di Mario Sequi Gioventù di notte, ma io volevo lavorare), mi ha fatto vedere il contratto di Hoffman in cui c’era la clausola che lui, che aveva fatto da qualche anno Il laureato, uno dei più bei film della storia del cinema, voleva me come partner, e allora ho accettato, e devo dire che davvero è stato carino. Pensare che mio marito era gelosissimo, e io gli dicevo: Ma scusa, come fai a essere geloso di Dustin, ci devo solo lavorare insieme… E poi con tutto il rispetto non era mica De Niro, uno dei più bravi e dei più belli del mondo, quanto mi ha fatto battere il cuore… Anche Tinto Brass è bravissimo, sa fare tutto, la fotografia, il montaggio, e io ho voluto ardentemente fare La chiave, con questa visione così femminile, quasi femminista: mi piaceva far fare una figuraccia cacina, come diceva Scola, a tutto tondo e a tutto schermo a quel maritaccio. Bisogna che ci facciamo valere noi donne: io lo dico da anni ma non lo riporta mai nessun giornalista, invece in America quando lo dice Meryl Streep lo scrivono tutti, che è ora di finirla con questa mentalità per cui la donna deve stare sempre un passo indietro all’uomo, la questione dei compensi è assurda, ingiusta e umiliante, se il lavoro è uguale va pagato allo stesso modo, anche perché per un attore i soldi sono fondamentali, ma mica per i soldi in sé, per il fatto di avere la libertà, che è la cosa più importante, di poter fare delle scelte…
Un fiume in piena (io divago, perdonatemi, ripete in più di un’occasione). Ed è difficile riprodurne il flusso melodioso, afferrare e trattenere nella rete delle emozioni che sprigiona e che conquistano chiunque la ascolti tutte queste scintille di verità: ci abbiamo provato. Perché ogni parola – ha detto questo, e molto altro ancora – di questa donna straordinaria, che ha pronunciato la miglior battuta del cinema italiano, Ai figli che non danno pensieri si dedicano meno pensieri (da La famiglia di Ettore Scola), è un regalo. Perché è detta col sorriso e col cuore. Umile, simpatica, brillante, gentile, splendida, di viola vestita e con gli occhiali da sole e il ventaglio leopardati com’è d’ordinanza qui, dove ha presentato Il conformista, a Locarno, che l’ha premiata (è un riconoscimento a cui ambivo davvero, in questo festival così importante: e poi è anche molto carino…), dolce, generosa, si è concessa per decine di minuti ai fotografi e a chi le ha fatto autografare (ho un pennarellone tutto dorato, quando mi ricapita?) anche le copertine dei dvd dei suoi film. Accompagnata dall’amore di una vita, Giovanni Soldati (lavorare con una persona che ti sta così vicino è bello: vai a dormire alla stessa ora, ti alzi alla stessa ora, parli delle stesse cose… Però forse sempre sempre no, magari non staremmo ancora assieme…), è il cinema italiano (ne è stata simbolo per Manoel de Oliveira) ed è un ulteriore raggio di sole nella splendida Svizzera di questi giorni: oggi, nello spazio Forum, alle undici, si è compiuto il rito, moderato da Steve Della Casa, di una conversazione con lei. Stefania Sandrelli. E non c’è davvero null’altro da aggiungere. Se non la parola grazie. Di cuore.