di Gabriele Ottaviani
I cuori si sciolgono in petali appassiti. Non sto combattendo solo per me stessa. Non è così. C’è guerra in un interno. Ovunque. In ognuno. Nessuno altrimenti mi avrebbe segnato la pancia con una croce. Nessuno mi avrebbe armato. Nadine non vorrebbe piangere e non odierebbe. Avanzo verso Orléans perché è lì che dovrà compiersi tutto. Sono stata scelta per mettere le cose nel posto giusto, quello che spetta loro. De par le Roi du Ciel. Fino a quando ci sarà ingiustizia ci sarà guerra, urla Sinéad O’Connor alla televisione in un filmato di repertorio, con gli occhi lucidi puntati nella telecamera. Urlo anch’io trafiggendo l’addome di un soldato. Il batterista degli Spiritual Front aveva fatto esplodere la sua batteria e le schegge erano andate a conficcarsi nei corpi e nelle facce dei nemici colti impreparati. Poi aveva lasciato la scena ridendo. Simone Salvatori spara con la mitragliatrice a una pattuglia nemica, la sua corista sussurra il numero dei nemici uccisi. Cadenza le cifre come fosse un’oscura marcia. Ne avevano già contati altri Ordo Rosarius Equilibrio: Tomas Pettersson e Rose-Marie Larsen avevano aperto la serata, lui a ogni canzone faceva fuori un componente di un piccolo nucleo di legionari che tentava un’incursione – ma Gilles aveva previsto tutto, facile no? – e poi baciava Rose-Marie Larsen, lei a ogni bacio, a ogni morte, veniva bagnandosi le mutandine già fradicie per la pioggia: baci di pioggia. Labbra di pioggia e piacere. Su Three Is an Orgy, Four Is Forever, la morte si era intensificata e a ogni numero corrispondeva una vittima Uno è per la libertà Due è per il male Tre è un’orgia Quattro è per sempre. Simone Salvatori spara con un’evidente erezione sotto i pantaloni da cavallerizzo, impugna un revolver. Stivali neri al ginocchio. Urlo penetrando il mio ventre con steli di rosa essiccata e come Rose-Marie, quasi come lei, vengo, comincio a venire; lei dà un bacio anche a me, mentre il bassista degli Spiritual Front, vestito e truccato da pagliaccio, fa scoppiare fiori di metallo i cui petali sfigurano quattro poliziotti. Il sangue scorre nell’acqua battente…
Sergio Gilles Lacavalla è scrittore, drammaturgo – sue tra l’altro le opere, rappresentate anche in diverse occasioni e location, del Ciclo del Rimpianto e della Perdita (Jeanne e Gilles, L’hotel degli amori perduti, amoR…), per la propria compagnia teatrale Le Soldat Perdu, nome preso da Apocalypse Now Redux – , regista, attore, fotografo (la poliedricità di interessi e talenti è evidente nella sua prosa che non si può costringere in nessuno schema, tanto è deflagrante, varia, destabilizzante, policroma, caleidoscopica, psichedelica), e questo è il suo ultimo libro, enormemente suggestivo sin dal titolo, che fa risuonare nelle orecchie degli appassionati, cambiando quel che dev’essere cambiato, l’eco del nome di una splendida canzone di Bruce Springsteen, Moonlight Motel, Parigi, edito da Wojtek: Milla, Milla Pfaff Reims, per la precisione, ha dodici anni quando, dieci anni prima che – forse perché stanca dalle ennesime bugie che ha sentito – decida di raccontare la sua storia, e soprattutto quella della sua sola amica (in realtà raccogliendo l’unica cosa che di lei le è rimasta, ossia le sue parole sparse, quelle con cui sapeva riscaldarla), Jeanne, che le manca come l’aria, che ha nel cuore, che portava un anellino al piede che ora è sul suo, tutto succede. Dieci anni non sono pochi, eppure Milla ricorda ogni cosa. Ogni azione, ogni parola, ogni sguardo. Pensa così intensamente a Jeanne che può quasi sentirla vicina. Mentre fuma con calma una sigaretta, mentre aspetta l’alba, mentre ascolta la musica. A Jeanne la musica che Milla, la bambina della porta accanto, metteva, accendendo lo stereo dall’altra parte del muro, alzando il volume, condividendo con lei canzoni d’amore e di lotta di guerra e d’amore, piaceva: la aiutava ad andare avanti. Perché Jeanne viveva segregata, annichilita dagli abusi del marito; però un giorno, mentre vede alla tv il film di Luc Besson del millenovecentonovantanove, con, tra gli altri, Milla Jovovich, John Malkovich, Faye Dunaway e Dustin Hoffman, dedicato all’eroina di Francia per antonomasia, colei che ha sedotto anche Shaw, Rossellini e Preminger, solo per fare qualche nome, e cui hanno prestato corpo, volto e voce anche, per esempio, Renée Falconetti, Florence Delay, Ingrid Bergman e Jean Seberg, ha come una rivelazione. Lei ha lo stesso nome della pulzella d’Orléans: e anche lei ha una battaglia da affrontare, combattere, vincere. Perché quando non c’è giustizia, uccidere gli ingiusti è un atto divino. Dunque… Da leggere.