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“Il sesso del cervello”

unnamed (2)di Gabriele Ottaviani

Fino agli anni ’90, l’idea che si diventi uomini perché si possiede «qualcosa in più» (cioè il cromosoma Y, carattere dominante) costituiva un vero e proprio dogma. Il sesso «debole» era rappresentato come un sesso «per difetto», semplice risultato dell’assenza del cromosoma Y. Nel 1950, il ricercatore francese Alfred Jost ha dimostrato che la somministrazione di testosterone negli embrioni di topo li fa evolvere verso il sesso maschile, a prescindere dalla loro costituzione cromosomica. Ipotizzava dunque che il sesso femminile fosse uno stato biologicamente «primitivo», sul quale è possibile impiantare il sesso maschile grazie agli ormoni. Questa visione del sesso femminile per difetto ha condizionato per anni la ricerca nel campo dell’embriologia…

Il sesso del cervello – Vincoli biologici e culturali nelle differenze fra uomo e donna, Catherine Vidal, Dorothée Benoit-Browaeys, Dedalo. Presentazione di Elena Ioli. Catherine Vidal è neurobiologa presso l’Istituto Pasteur di Parigi, membro del comitato scientifico Science et Citoyen ed esperta di divulgazione, soprattutto nell’ambito dei rapporti che intercorrono fra la scienza e la società, mentre Dorothée Benoit-Browaeys è una giornalista scientifica che fra l’altro si occupa dello sviluppo delle biotecnologie in una prospettiva internazionale: sono due voci autorevoli e preparate, e non ci si potrebbe affidare a mani migliori per spazzare via, soprattutto in quest’epoca in cui più le panzane sono esagerate e più hanno fortuna, nonostante i continui progressi della scienza e della cultura, che dovrebbero metterci al riparo dall’idiozia e dal pregiudizio, o perlomeno fornire un’ampia gamma di strumenti, i luoghi comuni e portare a compimento ragionamenti seri. Siamo tutti uguali e siamo tutti allo stesso tempo unici, diversi e insostituibili: ma a cosa si debbono le nostre peculiarità? Questo libro, con dovizia di particolari, e avvalendosi di una messe di solidi fondamenti, fa chiarezza: da non perdere.

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“La statua di sale”

51V0xgoe4AL._AC_US218_.jpgdi Gabriele Ottaviani

Con cautela, Bob infilò il piede nell’acqua. «È calda», disse. «Molto calda. Buttati». Poi, con le mani sulle ginocchia, si chinò in avanti e studiò il suo riflesso. Men tre si spogliava, Jim provò a fissare per sempre nella sua mente l’immagine di Bob, come se quella fosse l’ultima volta che si sarebbero visti. Punto per punto, lo memorizzò: le spalle larghe, le natiche strette, le gambe sottili, il sesso ricurvo. Nudo, Jim raggiunse Bob sul ciglio dell’acqua. La brezza calda sulla pelle nuda lo fece sentire immediatamente libero e stranamente potente, come un sognatore consapevole di sognare. Bob lo guardò pensoso. «Hai una bella abbronzatura. Io sono proprio bianco. Ehi!». Indicò l’acqua. Sotto la superficie verde scura Jim scorse la sagoma tozza, dai movimenti lenti, di un pesce gatto. Poi, all’improvviso, cadde e nelle sue orecchie gorgogliò l’acqua. Bob l’aveva spinto dentro. Tossendo, tornò a galla. Con una mossa ra pida, Jim afferrò la gamba di Bob e tirò dentro anche lui. Avvinghiati, si girarono e si contorsero nell’acqua, facendo schiumare il laghetto. Mentre lottavano, Jim provò piacere in quel contatto fisico. E così, apparentemente, Bob. Non si fermarono fin quando non furono esausti. Per il resto del giorno nuotarono, catturarono rane, presero il sole, lottarono. Parlarono poco. Si rilassarono solo quando la luce cominciò a calare. «È proprio bello qui». Bob si stirò per tutta la sua lunghezza. «Credo che non esista un posto bello e pie no di pace come questo». Si batté lo stomaco piatto e sbadigliò.

La statua di sale, Gore Vidal, Fazi, traduzione di Alessandra Osti. È il testo che, sdoganando settant’anni fa (è stato poi riscritto nel millenovecentosessantacinque) per il tramite del racconto della vicenda di Jim, maestro di tennis e svago sessuale per lo più a pagamento di altri uomini, in cui per la prima volta negli USA l’omoerotismo compariva in un testo senza macchiette e/o melodrammi, ha fatto guadagnare ostracismi ma anche strepitosi apprezzamenti, in primo luogo quello di Thomas Mann, al suo straordinario – la prosa è sopraffina, solo Roth e pochi altri gareggiano in bravura con lui – autore, a cui è stato dedicato un film che quasi sicuramente sarebbe stato ottimo e che al momento sventuratamente non vedremo mai poiché è stato girato nel duemiladiciassette, anche in Costiera Amalfitana, con annessi, si narra, festini in barca affollatissimi di giovani maschi piacenti e potenti, per il sollazzo del principale interprete nelle pause sul set, da quella che gli ipocriti di Hollywood considerano ormai l’incarnazione di Satana in terra, ossia Kevin Spacey, con ogni probabilità a dir poco azzeccato per il ruolo di Gore Vidal. La statua di sale è un romanzo semplicemente perfetto – anche la copertina di questa edizione è sublime – da ogni punto di vista: da leggere e rileggere.

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“Emma, 1876”

61ydaKRWUFL.jpgdi Gabriele Ottaviani

Non c’è bisogno di dire che la maggior parte delle discussioni lungo la Row verteva sull’assoluzione di Babcock. Quello che un giornalista dice è sempre molto più interessante di ciò che scrive. Sebbene sia evidente che tutti sono frenati dai pregiudizi del proprietario del giornale per cui lavorano, ho l’impressione che, anche se avessero la più totale libertà di scrivere quello che sanno, riuscirebbero comunque a non essere obiettivi o interessanti, se non altro perché sono troppo legati ai politici. Credo di aver incontrato metà del Congresso questo pomeriggio; un buon numero di questi uomini di Stato stava distribuendo, neppure tanto segretamente, il denaro che ricevono dai lobbisti allo scopo di arruolare come propagandisti personali i frequentatori della Row. A quanto pare ciascuno di loro ha il suo prezzo. Ho ascoltato diversi aneddoti interessanti sul conto di Babcock. L’avidità di quell’uomo è leggendaria. Quando la Banda del Whisky gli ha mandato un fermacravatta con un diamante del valore di diverse migliaia di dollari, ha trovato una lieve imperfezione nella pietra e ne ha richiesta un’altra in sostituzione, ancora più grande e pura, e l’ha ottenuta. È atteso di ritorno alla Casa Bianca domani e si presume che Grant lo confermerà come segretario privato.

Emma, 1876, Gore Vidal, Fazi, traduzione di Silvia Castoldi. Emma è rimasta vedova da poco. Ha un unico obiettivo: fare in modo che la sua scalata sociale non si arresti, anzi. Per questo lascia il vecchio continente, solca l’Atlantico e torna all’ombra della bandiera a stelle e strisce, undici anni dopo la fine della guerra di secessione, nell’epoca delle celebrazioni del centesimo compleanno degli Stati Uniti, a New York. Le serve un marito dell’alta società, visto che il coniuge defunto era sì parigino e principe, ma anche senza il becco di un quattrino. È questo il suo sogno americano, è questo ciò che spera di trovare nella terra delle opportunità. Agitata da torbide passioni… Gore Vidal, con la sua prosa monumentale, sensazionale e paradigmatica, ha scritto la controstoria degli USA, dietro il cretonne delle tende non di una delle più celebri eroine di Joyce, bensì della retorica: questo è uno dei capitoli. Imprescindibile.

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“L’età dell’oro”

41d9XiM2nRL._SY346_.jpgdi Gabriele Ottaviani

«Che linea hai intenzione di seguire?», chiese. «Non so se avremo una linea o no, perché…». Peter fece un profondo respiro e s’immerse in quello che credeva fosse il cuore della Storia. «È possibile che, sia pure per le ragioni più sbagliate, Truman, Acheson e Marshall abbiano ragione». Il sorriso del senatore era gelido, per essere un così bel giorno di luglio. Si dondolò sulla sedia. «Va’ avanti», continuò. «Se i russi o i cinesi o, chissà, i panamensi inferociti non riusciranno a distruggerci, allora saranno tutti d’accordo che la totale militarizzazione del paese era una cosa molto buona; la Storia sposa sempre il vincitore…». «Perché è l’unico che rimane in piedi?». «Perché è l’unico che è disposto a pagarne il prezzo. Ma la domanda importante è: questo impero mondiale ci manderà in bancarotta come è successo agli inglesi? O ci renderà ancora più ricchi, come è accaduto tanto tempo fa agli spagnoli?». Burden aprì la sua copia del National Security Act. «Cos’è che abbiamo creato nella nostra saggezza…». Cercò nelle pagine. «Come l’abbiamo chiamato? Ah, sì. Sistema Militare Nazionale. Mettiamo in un solo dipartimento l’Esercito, la Marina e il nostro vanaglorioso corpo di Aviazione, da poco indipendente, che ha vinto la guerra tutto da solo. Chiudiamo il Dipartimento della Guerra. “Guerra” è una parola troppo provocatoria. Da qui in avanti parleremo solo del nostro disperato bisogno di difenderci contro qualcuno, che presto assumerà le sembianze del mondo intero». Burden girò altre pagine. «Abbiamo anche creato un Consiglio della Sicurezza Nazionale. Cioè il presidente, più i segretari di stato, la difesa e così via. Formeranno un alto comando, senza dubbio sul modello prussiano. Dovranno essere informati da una nuova agenzia, che si occuperà di spiare non solo i nostri eterni nemici sovietici, ma anche, il che è molto più importante, i nostri inaffidabili alleati europei…». Peter fu colpito. «C’è scritto lì dentro? Nella legge?».

L’età dell’oro, Gore Vidal, Fazi, traduzione di Luca Scarlini. Saggista, scrittore, drammaturgo, sceneggiatore di alcuni dei più celebri film della storia del cinema, figlio di un istruttore aeronautico, nipote di un senatore democratico dell’Oklahoma isolazionista che ha molto influenzato la sua sempre sferzante critica all’imperialismo americano e con cui ha avuto un rapporto strettissimo, tanto da scegliere, all’inizio della sua carriera letteraria, come suo nome il di lui cognome. Celebre per il suo evidentissimo fascino, notoriamente omosessuale, vissuto a lungo in Italia, prima a Roma e poi a Ravello, dove sono state di recente ambientate le riprese di un film di Netflix che probabilmente ora come ora non vedrà mai la luce, visto che il protagonista è l’ormai innominabile, neanche fosse artefice di un eccidio, e ben prima che vi siano chiare evidenze, almeno stando a quanto sappiamo al momento dai mezzi di comunicazione di massa, di reali reità, Kevin Spacey, e che si parla più dei presunti festini in barca a luci rosse e per soli uomini dell’attore hollywoodiano al largo della costiera amalfitana che non di altro, nonché uno dei più precoci a sdoganare con dovizia di particolari e senza lesinare in sensualità il tema omoerotico nel libro che lo lanciò ventitreenne nonostante l’ostracismo di molta critica, in italiano La statua di sale (dalla celebre citazione biblica relativa alla moglie di Lot, personaggio amato anche dal Nobel Szymborska, che, come, cambiando quel che si deve, Orfeo verso Euridice, fu troppo precoce e disubbidiente nel voltarsi a osservare la manifestazione punitiva della volontà di Dio), la storia di Jim Willard, rampollo di una classica famiglia del ceto medio del sud degli Stati Uniti, bello, aitante, riservato e innamorato del suo più caro amico, Gore Vidal, tanto appassionato di antichità classica da aver vergato di suo pugno lo straordinario Giuliano, completa con questo romanzo di diciassette anni fa, pochi mesi prima che l’attentato alle Torri Gemelle cambiasse il mondo e desse vita a un nuovo macabro anno zero, nuovamente pubblicato in una preziosa edizione da Fazi, la sua controstoria dell’America, nata dal sangue e divenuta impero. Raccontando nello spazio di tre lustri, dal millenovecentotrentanove, quando inizia la seconda guerra mondiale, al millenovecentocinquantaquattro, quando la superpotenza a stelle e strisce si imbarca nella guerra di Corea, le vicende di Caroline, ex attrice ora giornalista, dell’intellettuale Peter, di Tim, regista alternativo ma non troppo, anzi, e di molti altri, mescolando, come ha scritto giustamente Antonio Monda, personalità che ha conosciuto da vicino (i coniugi Roosevelt, Orson Welles, Truman, Kennedy e un’infinità di altri politici dell’epoca) con personaggi completamente inventati, per costruire un vibrante affresco di un momento storico, in riferimento al quale sostiene tesi che in pochi in America hanno il coraggio di affrontare, raggiunge le vette massime del romanzo storico contemporaneo, opera che si fa saggio, manifesto, esegesi, in cui schiaffeggia con vigore ipocrisie e consuetudini, riflettendo sull’esistenza, la bellezza, la morte, l’amore, l’arte, la politica. Torrenziale, monumentale, travolgente, totale, da leggere, rileggere e leggere ancora e ancora, perché ogni volta diversa, nuova, stupefacente. Imprescindibile. Impossibile staccarsene.

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“Giuliano”

download.jpgdi Gabriele Ottaviani

Non riusciamo mai a dare agli altri l’impressione che vorremmo.

Le opere dello stesso Giuliano e i testi di Ammiano Marcellino, Libanio, Gregorio di Nazianzio, Sozomeno, Socrate di Costantinopoli, Teodoreto, Eunapio, Pausania, Gibbon, Burckhardt, Pack, Glover, Bidez, Bury, Cumont, Baynes, Mylonas, Vermaseren, Downey, Nulle. Ed è solo parziale questa bibliografia delle fonti. Da qui prende le mosse Gore Vidal per il suo Giuliano, ritratto dell’imperatore romano nipote di Costantino che tentò di ripristinare il culto pagano a discapito di quello cristiano, fallì nel suo progetto, fu detto l’Apostata e morì ammazzato nel trecentosessantatré dopo Cristo, dopo soli tre anni di regno. Il sessantaseienne Libanio e Prisco, settantacinquenne ancora vigoroso, come ci tiene a sottolineare, tanto che il suo “folle padrone”, per citare Sofocle, riesce comunque a soddisfare – o meglio, è lui che soddisfa la propria inesausta brama di piacere – la moglie Ippia, le donne di un certo rinomato quartiere della sua città e la schiava gota entrata undicenne in casa sua e per la quale ha deciso che comprerà un marito (per poi liberarli insieme, come ricompensa per l’accondiscendenza nei riguardi delle attenzioni di cui lui la fa costantemente bersaglio), discettano in maniera piuttosto erudita via lettera fra Antiochia e Atene di alta filosofia, spettegolano (il loro amico Ificle ormai sta notte e giorno alle terme, e i ragazzetti con cui si sollazza lo chiamano “la regina della filosofia”: d’altronde Platone, dice Prisco, non amava particolarmente l’eterosessualità…), si dicono preoccupati del nuovo vigore del cristianesimo, progettano, più il primo che il secondo, che dal canto suo sostiene più e più volte con forza di non avere alcuna vocazione al martirio, un grande riscatto attraverso opere e azioni per la figura del “loro” Giuliano, ormai defunto da diciassette anni. E questo è solo l’inizio: un’opera monumentale e documentata, un romanzo, certo, non un libro di storia, pubblicato per la prima volta cinquantatré anni fa, sedici dopo La statua di sale che, sdoganando per il tramite del racconto della vicenda di Jim, maestro di tennis e svago sessuale per lo più a pagamento di altri uomini, in cui per la prima volta negli USA l’omoerotismo compariva in un testo senza macchiette e/o melodrammi (Con un umore indeciso, Jim andò a trovare Ronald Shaw, e quello che sospettava sarebbe accaduto accadde. Si lasciò sedurre, colpito dalla fama di Shaw e dalla sua bellezza fisica. L’atto gli era familiare, solo che questa volta lui fu passivo, troppo timido per essere l’aggressore. Con Bob aveva preso l’iniziativa, ma era stata un’occasione diversa e un momento più importante…), fece guadagnare a Vidal ostracismi e apprezzamenti (su tutti quello di Thomas Mann). Giuliano è uno spaccato di vita privata e politica, un’opera che ha insieme il respiro dell’epica e quello della biografia, splendida, ineguagliabile, irresistibile, inconfondibile (lo stile dell’autore di Alla ricerca del re, L’uragano, Il giudizio di Paride, Myra Breckinridge, Due sorelle, Creazione, Lincoln, Impero, L’età dell’oro e via discorrendo è unico), policroma, polimorfa e polifonica narrazione dello spirito del tempo, del conflitto finanche miserabile e senza scrupoli, nonché fatto di mezzucci ignobili per l’accaparramento del potere, da sempre e per sempre tema cui l’autore americano ha, nelle sue varie declinazioni, rivolto il suo massimo interesse. Postfazione di Domenico De Masi, traduzione di Chiara Vatteroni, ci ricorda ancora una volta che historia magistra vitae est: irrinunciabile. Fazi editore.

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