di Gabriele Ottaviani
«Che linea hai intenzione di seguire?», chiese. «Non so se avremo una linea o no, perché…». Peter fece un profondo respiro e s’immerse in quello che credeva fosse il cuore della Storia. «È possibile che, sia pure per le ragioni più sbagliate, Truman, Acheson e Marshall abbiano ragione». Il sorriso del senatore era gelido, per essere un così bel giorno di luglio. Si dondolò sulla sedia. «Va’ avanti», continuò. «Se i russi o i cinesi o, chissà, i panamensi inferociti non riusciranno a distruggerci, allora saranno tutti d’accordo che la totale militarizzazione del paese era una cosa molto buona; la Storia sposa sempre il vincitore…». «Perché è l’unico che rimane in piedi?». «Perché è l’unico che è disposto a pagarne il prezzo. Ma la domanda importante è: questo impero mondiale ci manderà in bancarotta come è successo agli inglesi? O ci renderà ancora più ricchi, come è accaduto tanto tempo fa agli spagnoli?». Burden aprì la sua copia del National Security Act. «Cos’è che abbiamo creato nella nostra saggezza…». Cercò nelle pagine. «Come l’abbiamo chiamato? Ah, sì. Sistema Militare Nazionale. Mettiamo in un solo dipartimento l’Esercito, la Marina e il nostro vanaglorioso corpo di Aviazione, da poco indipendente, che ha vinto la guerra tutto da solo. Chiudiamo il Dipartimento della Guerra. “Guerra” è una parola troppo provocatoria. Da qui in avanti parleremo solo del nostro disperato bisogno di difenderci contro qualcuno, che presto assumerà le sembianze del mondo intero». Burden girò altre pagine. «Abbiamo anche creato un Consiglio della Sicurezza Nazionale. Cioè il presidente, più i segretari di stato, la difesa e così via. Formeranno un alto comando, senza dubbio sul modello prussiano. Dovranno essere informati da una nuova agenzia, che si occuperà di spiare non solo i nostri eterni nemici sovietici, ma anche, il che è molto più importante, i nostri inaffidabili alleati europei…». Peter fu colpito. «C’è scritto lì dentro? Nella legge?».
L’età dell’oro, Gore Vidal, Fazi, traduzione di Luca Scarlini. Saggista, scrittore, drammaturgo, sceneggiatore di alcuni dei più celebri film della storia del cinema, figlio di un istruttore aeronautico, nipote di un senatore democratico dell’Oklahoma isolazionista che ha molto influenzato la sua sempre sferzante critica all’imperialismo americano e con cui ha avuto un rapporto strettissimo, tanto da scegliere, all’inizio della sua carriera letteraria, come suo nome il di lui cognome. Celebre per il suo evidentissimo fascino, notoriamente omosessuale, vissuto a lungo in Italia, prima a Roma e poi a Ravello, dove sono state di recente ambientate le riprese di un film di Netflix che probabilmente ora come ora non vedrà mai la luce, visto che il protagonista è l’ormai innominabile, neanche fosse artefice di un eccidio, e ben prima che vi siano chiare evidenze, almeno stando a quanto sappiamo al momento dai mezzi di comunicazione di massa, di reali reità, Kevin Spacey, e che si parla più dei presunti festini in barca a luci rosse e per soli uomini dell’attore hollywoodiano al largo della costiera amalfitana che non di altro, nonché uno dei più precoci a sdoganare con dovizia di particolari e senza lesinare in sensualità il tema omoerotico nel libro che lo lanciò ventitreenne nonostante l’ostracismo di molta critica, in italiano La statua di sale (dalla celebre citazione biblica relativa alla moglie di Lot, personaggio amato anche dal Nobel Szymborska, che, come, cambiando quel che si deve, Orfeo verso Euridice, fu troppo precoce e disubbidiente nel voltarsi a osservare la manifestazione punitiva della volontà di Dio), la storia di Jim Willard, rampollo di una classica famiglia del ceto medio del sud degli Stati Uniti, bello, aitante, riservato e innamorato del suo più caro amico, Gore Vidal, tanto appassionato di antichità classica da aver vergato di suo pugno lo straordinario Giuliano, completa con questo romanzo di diciassette anni fa, pochi mesi prima che l’attentato alle Torri Gemelle cambiasse il mondo e desse vita a un nuovo macabro anno zero, nuovamente pubblicato in una preziosa edizione da Fazi, la sua controstoria dell’America, nata dal sangue e divenuta impero. Raccontando nello spazio di tre lustri, dal millenovecentotrentanove, quando inizia la seconda guerra mondiale, al millenovecentocinquantaquattro, quando la superpotenza a stelle e strisce si imbarca nella guerra di Corea, le vicende di Caroline, ex attrice ora giornalista, dell’intellettuale Peter, di Tim, regista alternativo ma non troppo, anzi, e di molti altri, mescolando, come ha scritto giustamente Antonio Monda, personalità che ha conosciuto da vicino (i coniugi Roosevelt, Orson Welles, Truman, Kennedy e un’infinità di altri politici dell’epoca) con personaggi completamente inventati, per costruire un vibrante affresco di un momento storico, in riferimento al quale sostiene tesi che in pochi in America hanno il coraggio di affrontare, raggiunge le vette massime del romanzo storico contemporaneo, opera che si fa saggio, manifesto, esegesi, in cui schiaffeggia con vigore ipocrisie e consuetudini, riflettendo sull’esistenza, la bellezza, la morte, l’amore, l’arte, la politica. Torrenziale, monumentale, travolgente, totale, da leggere, rileggere e leggere ancora e ancora, perché ogni volta diversa, nuova, stupefacente. Imprescindibile. Impossibile staccarsene.