di Gabriele Ottaviani
Bambini, bambini, bambini. Ma perché il buon Dio fa nascere così tanti bambini? Ma no, non è il buon Dio che li fa venire al mondo: è la gente stupida.
Quando finisce il libro e ha ottenuto quello che ha sempre detto di volere – Ashley ed essere tanto schifosamente ricca da poter mandare ognuno al diavolo – ma che in realtà non vuole né ha mai voluto ha solo ventotto anni, eppure ce la immaginiamo donna fatta. E in realtà certo a quell’età si è assolutamente adulti, e se la società lo consente si può, per non dire che si deve, prendere in mano il proprio destino. Eppure è d’altro canto indubbiamente giovane. Ne ha passate molte, troppe, più di quante la gran parte delle persone ne affronti in una vita intera, in solo dodici anni: facciamo la sua conoscenza quando non è che una sedicenne viziata innamorata di un uomo che sposerà un’insipida cugina. Diventerà un’eroina, grazie anche al film dei film e a un’attrice come non ce ne sono più ne ce ne saranno mai. Racconta, questo romanzo indubbiamente strepitoso, qui nella traduzione storica, certo niente affatto politicamente corretta, ma non si può pretendere l’apertura – perlomeno dichiarata e presunta – del ventunesimo secolo decenni prima che si abbia coscienza di quanto accaduto nel frattempo, di un’odiosa rampolla di un sud che ha solo schiavi, cotone e arroganza e di un popolo che non riconosce la sconfitta nemmeno, per non dire soprattutto, quando ce l’ha di fronte, che disprezza tutto e tutti, in primo luogo sé medesima, perché così, con questa mentalità asfittica e al tempo stesso modernissima, è stata cresciuta, e non avrebbe potuto essere ragionevolmente altrimenti, ma che non si tira indietro se c’è da guidare un carro, prendere al lazo una mucca o svellere dal terreno patate dolci per sfamarsi, sognando le carezze di Mummy: Scarlett, per tutti noi Rossella O’Hara, a settantun anni dalla morte di colei che le ha dato viva, è più affascinante che mai. Via col vento, Margaret Mitchell, BUR, traduzione di Ada Salvatore ed Enrico Piceni.