di Gabriele Ottaviani
Il Generalissimo le manda a dire anche un’altra cosa…
Tempi duri, Mario Vargas Llosa, Einaudi, traduzione di Federica Niola. Il potere, si sa, logora. Specialmente chi non ce l’ha. Ma il potere è soprattutto un belletto. Un trucco. Un inganno. Una beffa, sovente crudele. Il potere è la biacca che travisa il pagliaccio, i cui lineamenti artificiosamente iperbolici celano un’anima melanconica. Il potere si nutre di menzogna, vive di celebrazione: in una parola, esiste solo finché c’è la propaganda che ne irrobustisce le membra. Il potere è finzione. La propaganda è finzione. La narrazione è finzione. Ma può prendere le mosse dalla verità. Ed è questo che fa Vargas Llosa, che ambienta questo romanzo in un passato più attuale che mai, visto che ormai le notizie false e tendenziose sono, purtroppo, le uniche che vengono lette, dato anche che, poiché il potere, sempre lui, ha scientemente eroso in misura via via maggiore il senso critico, le possibilità di accesso alla cultura e la formazione del popolo, gli strumenti in mano alle persone, che hanno sempre meno voglia di impegnarsi e di prendersi delle responsabilità e desiderano viceversa sempre più evadere dalla quotidianità lasciando che qualcun altro si dia da fare al loro posto, sono arnesi spuntati e inservibili: il cardine, il primo motore niente affatto immobile, la testimone è Marta. Bella, anzi bellissima. Eccentrica, anzi eccentricissima. Appassionata, anzi appassionatissima. Di politici in generale, di dittatori, in particolare. Nell’anno del Signore millenovecentocinquantaquattro un pubblicitario senza scrupoli e un industriale altrettanto immorale e inoltre dal portafogli ben gonfio mettono in giro una fola: la conseguenza è nientedimeno che un colpo di stato. Infatti cosa c’è di più efficace che far nascere una paura? E quale paura ottiene risultati migliori di quella che mettono i comunisti trinariciuti e mangiabambini? Se poi a occuparsi dell’aspetto pratico c’è la Cia… La United Fruit Company – la futura Chiquita – è un’azienda che va a gonfie vele, anche perché con la complicità di tiranni corrotti sfrutta da anni terre e contadini dell’America centrale, col risultato che in tutto il mondo ormai le banane sono un elemento della dieta quotidiana. Peccato che, evidentemente ignaro del fatto che chiunque abbia tentato una riforma agraria, sin dai tempi dei Gracchi, abbia fatto una fine pessima, perché a nessun privilegiato piace cedere parte dei suoi appannaggi, il governo guatemalteco abbia avuto l’ardire di mettersi in testa di voler redistribuire in maniera meno iniqua la ricchezza. E… Impeccabile e imprescindibile, una prova magnifica di un grandissimo maestro.