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“Ho provato a morire e non ci sono riuscito”

81rzMAoPSML._AC_UY218_di Gabriele Ottaviani

Era iniziato il mio duello all’ultimo sangue con il fantasma pixellato di Vito. Lo vedevo negli specchi dei negozi, mentre mi provavo la felpa del gruppo metal. Nella faccia delle persone che tentavano di sorridermi e io scansavo come la peste. L’amore buttava in me una quantità di odio che non si poteva nascondere neanche nelle magliette più oversize delle bancarelle dei cinesi, neanche sotto la visiera dello snapback più grande di tutti. All’una di notte, con il sottofondo del respiro calmo di Giulio, allungavo la mano sul cellulare e andavo sulla pagina Instagram di Vito. Guardavo le foto, i post. Poi allargavo l’indagine a tutti quelli che gli lasciavano un commento, e poi a tutti quelli che gli mettevano i like. Diventavo preciso e volenteroso. Il primo della classe. Perché quando mi interessa una cosa io arrivo dove voglio. Tanto, non riuscivo a dormire. Ho visto sfilare non so quante centinaia di cappellini Gucci “pezzottati”, di borselli e cinture LV, di mani con le dita piegate in quel gesto che vorrebbe dire «e voi non siete un cazzo». Addominali pompati in palestre sghembe, tipi depilati con le spalle strette e l’elastico rosso delle mutande che esce dai pantaloncini, l’occhio dei pesci stramorti del giorno dopo. Le felpe nere con il logo Nike entrato a forza nel rettangolino della foto. Le sopracciglia grosse e scure. Il medio storto sull’ultima falange. Il cappellino NY che oscura completamente gli occhi. La sigaretta moscia in mezzo alle labbra. Il manifesto «Keep calm and fanculo l’amore». Il cappuccio della felpa addosso anche in casa. Ridacchiavo. C’era pure il selfie sbagliato in cui era entrato il quadretto silver plated della Madonna appeso in corridoio.

Ho provato a morire e non ci sono riuscito, Alessandro Valenti, Atlantide. Chi ha nostalgia dell’adolescenza probabilmente ha ricordi approssimativi. O forse davvero come dice la canzone il tempo è un gran dottore. Quando si ha quattordici anni, ma anche qualcuno in più, e qui la memoria va subito al film di Téchiné presentato a Berlino e ignorato dalla giuria nonostante fosse una delizia sublime, si scopre di norma l’amore. Che, se già normalmente è tutto, e il fatto che sia così è tutto ciò che ne sappiamo, figuriamoci quando l’esistenza vive di assoluti. I social uniscono, i social dividono, e la sofferenza porta a crescere, e a lottare con le unghie e con i denti perché il proprio posto nel mondo sia quello giusto: più che un romanzo, una deflagrazione. Fossero tutti così i libri d’esordio…

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