di Gabriele Ottaviani
All’ora di pranzo, inforcò gli occhiali e si allontanò dalla clinica, dove aveva trascorso la mattinata. La segretaria lo salutò sollevando la testa dal banco, come ogni volta che lui usciva o tornava. Il sole non dava tregua. Corso comprò un panino e andò a mangiarselo in piazza Vittorio, nell’unico punto rimasto in ombra. Il caldo aveva svuotato tutte le panchine. Solo una mendicante con un cartello di metallo al collo vendeva dei mazzetti di lavanda e di violette davanti alla ringhiera. Era la stessa che qualche giorno prima era sparita nel nulla. Sul cartello, due sole parole, tutte in maiuscolo: NON VEDO…
Uccido chi voglio, Fabio Stassi, Sellerio. Spesso vivere è una scommessa e sopravvivere una corsa a ostacoli, perché la società non aiuta chi vale e chi merita, anzi, sovente se ne burla, e gli mette i bastoni fra le ruote: insegnante precario, costretto dunque a correre forsennatamente per non sdrucciolare all’indietro, per restare nello stesso posto come Alice nel paese delle meraviglie al cospetto della regina perfida più che altro per ignoranza del contrario, aggrappato con pertinacia a quel poco che ha, che in realtà è assai meno di quel che gli spetterebbe di diritto, ma in questo mondo sempre più violento, protervo, razzista e diseguale ha l’agrodolce retrogusto metallico di un privilegio, Vince si è inventato il mestiere di biblioterapeuta. Ma un giorno qualcuno gli entra in casa, gli distrugge tutto e gli avvelena finanche Django, il cane: e non è che l’inizio di un coinvolgimento suo malgrado in una serie di delitti, nel multietnico Esquilino, quartiere di una Roma magnetica e sfatta, decadente, inquietante e intrigante. Stassi dà alle stampe una commedia umana immersiva e formidabile: da leggere, rileggere e far leggere.