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“Storia della bambina che volle fermare il tempo”

81Ouz1Z6hBL._AC_UY218_di Gabriele Ottaviani

I ragazzi si lanciano bigliettini sui quali sono scritte cose di cui potrebbero benissimo parlare durante l’intervallo, sostiene la professoressa con i capelli ossigenati, ma questo è un errore da parte sua. Adesso che la ragazzina ha una vista più acuta e non è più così intimorita, vede i bigliettini volare per la classe, vede le linee invisibili che tracciano nello spazio e avanza ipotesi sul loro contenuto. Presta attenzione al leggero scoppio provocato dal lancio di ciascuna di quelle palline cospiratorie, e sghignazza insieme agli altri perché l’insegnante non ha il potere di fermare simili proiettili. Per la prima volta da quando è arrivata lì, gli altri la vedono sghignazzare di tutto cuore. Il suo compagno di banco Erik sta già lavorando a una fionda per questo genere di corrispondenza mediante palline, benché possieda anche lui il cilindro vuoto di una penna a sfera, soffiando all’interno del quale potrebbe sparare messaggi in tutte le direzioni. Ha fatto uno schizzo della fionda, adesso si mette a costruirla…

Jenny Erpenbeck, Storia della bambina che volle fermare il tempo, Sellerio. Traduzione di Ada Vigliani. Ha quattordici anni, o almeno questo è quello che sostiene. La polizia la trova. Sola. Di notte. Per strada. Ha con sé un secchio. Vuoto. Non ricorda come si chiami. Non ricorda dove vive. Non ricorda chi siano i suoi genitori. Non ricorda perché sia lì. In quel momento. Nel mezzo del niente. Alle forze dell’ordine non resta altro da fare che portarla in un istituto. E lasciarla lì. Orfana per sempre. Ma… Con la potenza simbolica della fiaba e la struttura di genere del romanzo giallo, Jenny Erpenbeck dà vita a una maestosa allegoria della condizione umana: magistrale, sfavillante, folgorante, imprescindibile.

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