di Gabriele Ottaviani
Nella vita non ero stato molto diverso da loro. Anch’io carponi, con il muso proteso, mi insinuavo nel fondo di un tunnel ad annusare un’esca, un avanzo, esultando a quel sapore di letame che avevo imparato a leggere come cibo. Accadeva con gli affetti, con i bisogni di ogni giorno. Noi uomini ci commiseravamo, coltivavamo uno strano culto della depravazione. Avevamo guadagnato la luce, l’acqua potabile, l’ossigeno, ma era la fogna il nostro paradiso perduto. Ebbi un incubo. Ero nell’esercito, in Germania, dopo il bombardamento di una città. Un bravo soldato scelto, ma con il corpo di un bambino. Intorno a me fischiavano le macerie ancora bollenti. L’edera che assaliva le ferite di un palazzo, l’ortica che germogliava sul filo delle pietre scomposte. Percepivo il proliferare automatico dei ratti, che estendevano il loro regno dove il soccorso umano non poteva arrivare, e masticavano chi era rimasto schiacciato sotto l’urlo del raid. La distruzione non era la norma, non un passaggio obbligatorio, come la vecchiezza e la decomposizione per un organismo vivente. Era l’apoteosi del genio infantile, la riproduzione in grande del ciclo elementare di ogni vita. Io ero uno degli alfieri di quel trionfo. Altri uomini invece si erano opposti alla grandezza della guerra e l’esercito li aveva puniti per questo. Percorsi un sentiero ingombro di vecchie lavatrici, carcasse di automobili nelle quali si agitavano branchi di lupi. La strada sfociava in una piazza sterrata, dalla cui superficie la polvere saliva in cielo a schermare la luce del sole. Vidi decine di soldati appesi per le caviglie sgocciolare la saliva, morti. Mi avvicinai e scoprii che tutti i traditori avevano il volto di mio padre. A testa in giù il vecchio mi disse, Hank, gli uomini sono stati più fortunati dei topi.
Gli dei notturni – Vite sognate del ventesimo secolo, Danilo Soscia, Minimum fax. Buffalo Bill, Aldo Moro, Sylvia Plath, Julio Cortázar, Erich Mielke, Pier Paolo Pasolini, Billie Holiday, Saddam Hussein, Kawabata Yasunari, Marlon Brando, Moana Pozzi, Charles Bukowski, Ronald Reagan, Janis Joplin, Antonio Ligabue, Marilyn Monroe, William Burroughs, Tommaso Landolfi, Garrincha, Elsa Morante, Bonnie Parker e Clyde Barrow, Ho Chi Minh, Cesare Lombroso, Eva Braun, Amedeo Modigliani, Marlene Dietrich, Charlie Parker, Giulio Andreotti, Charles Manson, Alda Merini, Rudolf Nureyev, Ezra Pound, Mario Schifano, Akira Kurosawa, Hannah Arendt, Jean-Michel Basquiat, Anna Magnani, Louis-Ferdinand Céline, Josef Mengele, Virginia Woolf: celebri ma ignoti sovente in buona parte anche a sé medesimi, forti, fragili, amati, odiati, odiosi, amorevoli, luminosi, oscuri, contraddittori, controversi, geniali, perversi, temuti, celebrati, invidiati, emulati, idolatrati, calunniati, umiliati, offesi, vendicati e vendicativi, multiformi, citati, travisati, inafferrabili, mutevoli, come la notte, che tutto rabbuia ma non è mai uguale a sé stessa, divinità pagane sacralmente profane, carnefici e vittime. Questo, e molto altro, sono i protagonisti dei ritratti che cuce assieme con perizia di ricamatore abilissimo Danilo Soscia, che dà vita a una pinacoteca inaspettata, sorprendente, che fa riflettere. In primo luogo sull’umana natura, che non conosce definitiva definizione.