di Gabriele Ottaviani
Anche la nostra identità sessuale definisce chi siamo.
Loro fanno l’amore (e io m’incazzo) – Ambizioni e smarrimenti di una mamma troppo sincera, Marina Viola, Sonzogno. Facebook è la sintesi e la quintessenza del nostro tempo, lo gnomone che gettando l’ombra sulla parete del quotidiano scandisce il ritmo del nostro vagare incessante alla ricerca della felicità, che per la società attuale, sempre più ipocrita, rabbiosa, invidiosa, superba, prevaricatrice e cattiva pare essere una necessità dalla quale non si possa prescindere, non una condizione anelata, come sarebbe tutto sommato sano, ma una conquista da portare a termine con furia, costi quel che costi, svellendo con l’aratro le zolle dell’altrui sensibilità, di cui si ha il dovere di non curarsi. E se si fallisce, se si viene meno a quest’obbligo, se non si è abbastanza belli, bravi, buoni, veloci, furbi, scaltri, arrampicatori, appariscenti, omologati e soddisfatti, si è colpevoli, sbagliati, inadeguati, perdenti. Il prodotto non vende, non funziona, è un brand che non attira follower. Ecco: basta dare un’occhiata al profilo Facebook di Marina Viola per rendersi conto invece in un battibaleno di una cosa. Cioè di che persona straordinariamente intelligente sia. Non solo brillante, acuta, arguta, simpatica, dotata di talento per la scrittura, di formidabile capacità narrativa, di chiarezza espositiva, di ruvida tenerezza, educazione, scabra dolcezza, empatia senza infingimenti, accogliente e concreta umanità: proprio intelligente, in senso etimologico. Ossia, rifiutando la dittatura dell’ossessiva ostentazione di una perfezione che dev’essere più perfetta della perfezione ostentata dal prossimo, altrimenti non vale, o peggio non è abbastanza, Marina Viola racconta, con scintillii policromi e pirotecnici d’ironia, di sé e del suo mondo sapendo leggere e far leggere attraverso le righe, le apparenze vacue e meramente formali, le cose, le persone, le situazioni. Del resto nessuno ci obbliga realmente ci obbliga a scrivere, anzi, si tratta tutto sommato più che altro di una poco utile vocazione d’infelicità: se si sente però di volerlo fare, va fatto, verrebbe da dire, con sincerità. E Marina Viola lo fa. Nel sottotitolo di questo delizioso volume sostiene di essere una mamma troppo sincera: ma la franchezza non è mai eccessiva, anzi, magari ce ne fosse di più, saremmo tutti più consapevoli e pronti ad affrontare il mondo. D’altro canto, buon sangue non mente. Suo padre era Pepinoeu (ossia l’immenso Giuseppe Viola, per tutti Beppe), per dirla con Gianni Brera, che, com’è noto, gli ha dedicato, il giorno dopo la sua scomparsa, nove giorni prima che compisse soltanto quarantatré anni, in un diciassette ottobre che non sembrava proprio avere nulla di speciale, un giorno come tutti gli altri, iniziato uscendo di casa facendo fischiare le orecchie alle figlie con qualcuno dei suoi baci con lo schiocco, uno dei più celebri, teneri e profondi ricordi di cui si abbia memoria: Era nato per sentire gli angeli e invece doveva, oh porca vita, frequentare i bordelli… Povero vecchio Pepinoeu! Batteva con impegno la carta in osteria e delirava per un cavallo modicamente impostato sulla corsa; tirava mezzo litro e improvvisava battute che sovente esprimevano il sale della vita. Aveva un humour naturale e beffardo: una innata onestà gli vietava smancerie in qualsiasi campo si trovasse a produrre parole e pensiero. Lavorò duro, forsennatamente, per aver chiesto alla vita quello che ad altri sarebbe bastato per venirne schiantato in poco tempo. Lui le ha rubato quanti giorni ha potuto senza mai cedere al presago timore di perderla troppo presto. La sua romantica incontinenza era di una patetica follia. Ed io, che soprattutto per questo lo amavo, ora ne provo un rimorso che rende persino goffo il mio dolore… Giornalista che ha continuato a vivere nelle persone che lo ricordano, che lo hanno amato e amano e in quelle che hanno beneficiato della donazione dei suoi organi, reporter cui è stato intitolato un premio prestigioso vinto negli anni da Ciotti, Mura, Valenti, Stagno, Pizzul, Clerici, Ferrari, Sconcerti, Minà, Dotto, Pardo, Ercolani, Zazzaroni, Caputi, Mazzocchi, Terruzzi, D’Amico, Bizzotto e tanti altri, conduttore, cronista per la radio e la tv, sceneggiatore, dialoghista, autore di testi di canzoni e spettacoli di cabaret per l’allegra brigata del Derby capitanata dal suo amico Enzo Jannacci, Bppe Viola ha evidentemente, come papà Redgrave con Vanessa, trasmesso un esempio di talento e dedizione, un modello di comportamento. Milanese, Marina Viola ha un marito e due cani, vive da decenni in America, è la prima di quattro sorelle, è madre di tre figli, Sofia, che si definisce di genere non binario e preferisce che ci si riferisca a lei usando i pronomi they o them, Luca, che ha la sindrome di Down e un autismo piuttosto serio che talvolta lo porta a compiere qualche bizzarria come andare in giro per casa col pene al vento, ed Emma, che in una società come quella a stelle e strisce in cui ti guardano male se bevi, fumi, dici parolacce e non hai i capelli dell’unica nuance di biondo omologata, ma puoi comprare tutte le armi che vuoi o quasi, comincia a scoprire il sesso. Cosa di cui gli americani parrebbero aver paura più del Babau, con esiti anche esilaranti, come il fatto che le adolescenti chiamino la loro vagina vageigei (una roba – a questo punto perché non chiamarla direttamente chella ca guarda ‘nterra come sul cartellone della tombola? – che nemmeno il direttore marketing delle candele di Gwyneth Paltrow, su cui ci sarebbe molto da dire, ma, si sa, un bel tacer non fu mai scritto…): la nostra eroina, però, è una mamma europea. E allora inforca la bici, rilegge Freud e non solo e, soprattutto, dipinge per tutti noi il meraviglioso affresco delle nostre care imperfezioni, che tutte insieme ritraggono, in ognuna delle sue forme, l’amore. Che, stando a tutto quel che ne sappiamo, è davvero tutto. Da non lasciarsi sfuggire per nessuna ragione al mondo.