di Gabriele Ottaviani
Mio nonno amava la montagna, ma aveva gli occhi di mare. Mio nonno cantava Puccini, ma era stonato, proprio come lo sono io. Mio nonno aveva il bizzarro vizio di pettinarsi prima di andare a dormire, io lo prendevo in giro, ma ora ho lo stesso vizio. Mio nonno amava il vino bianco, non quello raffinato, per palati esigenti, ma quello che lui definiva “genuino”, della campagna. Mio nonno non era un tipo particolarmente socievole, ma amava la sua famiglia più di ogni altra cosa al mondo. Mio nonno faticava anche dodici ore, ma non era mai stanco. Mio nonno mi ha insegnato ad andare in bicicletta e a guidare, a stare in equilibrio nella vita anche senza le rotelle. Mio nonno sistemava le cassette della frutta per farmi esercitare a parcheggiare. Mio nonno lavorava in aeroporto, ma non ha mai preso un aereo. Mio nonno giocava con me ai soldatini e mi faceva vincere, sempre. Ma con quelle vittorie mi insegnava il valore delle sconfitte; il prestigio, a volte, di arrivare secondi…
Sognatore stonato, Valerio Molinaro, Nulla die. Scrive da sempre Valerio Molinaro, che è un artista giovane e di multiforme talento, che ha la capacità di saper raccontare, che con semplicità sa arrivare al cuore: il suo sognatore stonato è la quintessenza di chi non si arrende alla bruttezza, al mercimonio, alla miseria, di chi non si accontenta, non si adatta, non si omologa, non sceglie la strada più comoda, non canta sempre con la stessa voce, non scende a compromessi, non si riconosce nella meschinità, è quello che siamo, dovremmo e vorremmo essere tutti noi, albatri che non sappiamo stare a terra ma riusciamo senza sforzo a volare. Da leggere.