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“La mia unica vita, la mia vita unica”

di Gabriele Ottaviani

Sembra un angelo e io mi sento al sicuro…

La mia unica vita, la mia vita unica, Cristina Pisanu, Scatole parlanti. Il sottotitolo, come pure l’intestazione principale, del resto, già dice tutto: psicobiografia a cura di Valeria Sassu. Perché questo non è solo un viaggio nella vita, ma anche nell’anima della protagonista della nostra storia, una donna che è stata in grado di ricominciare dopo il più impensabile e tragico degli incidenti, dopo che la sua normale quotidianità è stata stravolta d’improvviso e le è stata sottratta ogni cosa, in primo luogo l’uso delle braccia e della gambe, ma non la voglia di vivere né quella d’amare. Intenso ed emozionante.

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“Sei colpi di pistola”

di Gabriele Ottaviani

Di quale Vincent parlavo un attimo fa?

Sei colpi di pistola, Carlo Floris, Scatole parlanti. Nel tamburo di una classica rivoltella ci sono sei colpi, e sei sono i racconti di questa antologia. Il filo conduttore è lo sparo, che deflagra e spezza vite, cesura insanabile, raccontata da chi assiste, sa, conosce, scopre, indaga, ascolta, ritrova, recupera, resta: del resto se c’è un’arma in scena, sancisce l’abusata citazione, prima o poi ci si deve attendere che il suo unico utilizzo si manifesti nella sua irreparabile unidirezionalità. E d’altro canto vale per la pallottola quello che dice il Metastasio per la voce dal sen fuggita, che poi richiamar non vale, dato che non si trattien lo strale quando dall’arco uscì: così Van Gogh, Verlaine, Rimbaud, Márai, Puskin, Princip, Burroughs e tanti altri emergono dalle parole di impresari di pompe funebri, prostituti di Tangeri, mogli, madri e studiosi di lettere. Da non perdere.

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“Per Luigi non odio né amore”

di Gabriele Ottaviani

D’improvviso le era parso che nulla più intorno a lei esistesse…

Per Luigi non odio né amore, Gianni Antonio Palumbo, Scatole parlanti. Fano è un commissario, lavora a Candevari, immaginaria località a un tiro di schioppo da Brindisi, Marta è la sua fida collaboratrice, l’anno del Signore in cui si dipanano le vicende è il millenovecentosettantotto, uno dei più complessi della storia recente italiana: Eleonora, amante del giovane insegnante Mattia Landi, svanito d’improvviso nel nulla, è folle, ma non sembra che sia la scomparsa il primo e principale motivo della perdita del lume della ragione da parte sua. Del resto non è l’unico mistero in questa fiaba nera, torbida eppure delicata, sensuale e intrigante, che avvince, convince e sorprende. E… Un giallo coi fiocchi, e molto altro ancora.

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“Il posto dei santi”

di Gabriele Ottaviani

La follia degli adolescenti risiede pressoché tutta nel non credere alla morte…

Il posto dei santi, Bianca Favale, Scatole parlanti. Non c’è nulla di più bello che essere innamorati. Corrisposti. Felici insieme. E liberi di poterlo essere alla luce del sole. Non sempre però è possibile. Ed esattamente corrispondente al grado di gioia quando tutto questo avviene è la frustrazione delle situazioni in cui invece non si può gridare al mondo la propria gioia perché il mondo è costruito in un certo modo, e non l’accetterebbe. C’è un tempo per tutto, uno per amare, uno per odiare, uno per la guerra, uno per la pace, uno per la scelta, come quella che deve fare Alma, che finalmente ha una fidanzata, Nina, che però è moglie e madre. E nulla, si sa, è più snervante dell’attesa di una liberazione: così… Intenso, delicato, poetico, potente.

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“La sposa volante”

di Gabriele Ottaviani

«Corri corri. Tanto ca’ t’aspetto. Se è veru ca u munnu gira, ri cà avi a passari». Ero scesa dal letto sul piede di guerra, e mi trattenevo sulla soglia della camera, ascoltando Aurélie che sfogliava sull’iPad le novità del MoMA e le commentava col gatto, tenendomi pronta a entrare in scena in odore di caffè e di vendetta d’onore, non appena avessi trovato una breccia in una qualsiasi delle sue affermazioni. «La Pavigi di Toulouse-Lautvec. Non ho mai amato Lautvec, Mimmo. Tvoppo bovghese. E tvoppo nevvoso». Era il momento che aspettavo: uscita dalla camera mi stavo dirigendo verso Aurélie, decisa a dirle che zio aveva fatto del suo meglio, che non ci si comporta così. Andrè, che aveva letto la rabbia delle mie intenzioni dal ritmo con cui avanzavo, mi si era parato davanti, trattenendomi con un bacio sulla guancia che era una chiara richiesta di tregua, e che mi spegneva come i lapilli dello Stromboli quando si placano fumanti nel mare, per poi rivolgersi subito altrove, con il suo notevole senso del ritmo, tipico dei mediatori. «MoMA addicted. Vero, Mimmo?». «Come, cavo?». «Non stai forse sviluppando una dipendenza da The Museum of Modern Art, mamma?». «Che ci posso fave se lì mi sento a casa». «Allora oggi ci ospiti un po’ in casa tua? C’è una mostra di Lygia Clark». Alla proposta di Andrè, che conosce molto bene i gusti di sua madre, sul volto di Aurélie era comparso un sorriso caldo.

La sposa volante, Carola Minincleri Colussi, Scatole Parlanti. Protesa verso il cielo, ha il mare e la terra, quelli della sua isola, che al contrario la tengono ben ancorata alla realtà: orfana di madre, a Ginostra, Stromboli, decide di ribellarsi a ogni convenzione, e ha paura di volare, se non con la fantasia e attraverso l’obiettivo della macchina fotografica che le è stata donata. Agata freme, ribolle, agitata, ma poi un giorno, ormai adulta, pare, fra le braccia di André, che è invece cresciuto in un vero e proprio gineceo, trovare finalmente la pace, e… Un ritratto di donna magnetico nel contesto di una più ampia riflessione sul senso della vita e la ricerca del proprio posto nel mondo: da non perdere.

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“Lo strano caso del Rêverie”

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D’un tratto la lunga fila si arrestò: l’uomo che guidava il primo di essi urlò un qualcosa che fece sì che tutti scendessero a terra, legando i giganti con la gobba in modo tale da formare un cerchio, dopodiché furono accesi dei fuochi e montate delle grandi tende per la notte. Dopo pochi minuti le loro risa in preda all’alcol erano diventate molto rumorose come una via del centro in un’ora di punta, nessuno più badava alla truppa.

Lo strano caso del Rêverie, Marcostefano Gallo, Scatole Parlanti. Il principale zoo di Parigi naviga in pessime acque: è per questo che quel losco e viscido figuro del direttore viene incaricato di contattare un contrabbandiere di nome Igor Kovoc per far sì che si possa sopperire alla mancanza di fondi vendendo i cuccioli presenti in sovrannumero. Anselmo però ha buon udito, occhi vispi, e voce squillante da barbagianni: è lui ad avvisare tutti gli altri animali, che progettano pertanto di evocare nientedimeno che l’Arca dell’Alleanza. Simbolico, profondissimo, lieve e denso, ricco di livelli di lettura e chiavi d’interpretazione, raffinato e articolato ma mai ostico nel dipanarsi del suo meditare sulla condizione umana e sulla sempiterna lotta fra bene e male, è bello e pieno di grazia. Da leggere.

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“L’Altro”

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«C’è qualcosa che vuoi dirmi?» esordì il Padre, con voce ferma e guardando fuori dalla finestra. Quella era l’occasione che aveva per riscattarsi e far valere le sue ragioni: al diavolo l’Esercito, i capelli rasati e tutto il resto! Non era quello che lui voleva per la sua vita! Forse non sarebbe mai diventato davvero un musicista, ma non sarebbe nemmeno mai stato un soldato con la zucca pelata. Doveva dirlo, senza indugi, in quel preciso istante. Il Padre probabilmente non avrebbe capito, ma quantomeno Damocle avrebbe finalmente mostrato coraggio per le proprie decisioni. Un nodo alla gola, però, lo prese, e non riuscì a dire una parola. «Sto aspettando…» insistette il Padre, impassibile e con lo stesso tono di voce. Damocle era paralizzato. Sapeva che quella era un’occasione d’oro e che la stava sciupando, ma non poteva davvero fare altrimenti. Ancora una volta, sembrava non avere il controllo delle sue azioni. «Bene, visto che non parli, voglio farti qualche domanda io…» disse il Padre, che poi si voltò verso Damocle. Scurissimo in volto e con tono aggressivo, riprese: «Vuoi spiegarmi che cazzo ti è passato per la testa? Per quale cazzo di motivo non ti sei presentato all’esame? Credevi davvero che non saresti stato scoperto?». «Damocle, rispondi a tuo Padre!» gli fece eco la Madre, implorante. Silenzio. «Oh, ma insomma, possibile che tu non abbia niente da dire?!» sbottò il Padre, gettando a terra la pipa in un impeto d’ira. «Mi dispiace…» furono le uniche parole che riuscì a pronunciare, con gli occhi bassi e un filo di voce. «Ti dispiace? Alleluia! Beh, se ti dispiace, allora tutto è a posto! Tutto sistemato!» replicò il Padre con stizzita ironia. Nessuno fiatava.  

L’Altro, Daniele Fulvi, Scatole parlanti. Che l’autore abbia una raffinata formazione filosofica lo si capisce immediatamente: così com’è subito evidente la sua sapiente abilità nel maneggiare lo strumento della parola, seducente e polifonico, ma insidioso. Damocle, da sempre, ogni volta che in uno specchio vede riflessa l’immagine di sé, in realtà vede un altro, identico a lui nella forma ma irraggiungibile per le capacità che pare dimostrare nella sua esistenza: è questa la sua personale spada che gli pende sulla testa, un senso d’inadeguatezza e di alienazione che ne condiziona l’intera esistenza. Ma… Straordinario, originale, intenso: sarebbe davvero un peccato perdere l’occasione d’immergersi nella sua prosa destabilizzante e benefica.

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“Adriatico”

adriaticodi Gabriele Ottaviani

Ogni scrittore racconta un po’ di se stesso, vuole condividere con i lettori i suoi pensieri, le idee del momento, camuffandole dietro i personaggi, le storie di altre vite che raccoglie e racconta, talora inventa. Ma i personaggi di questo racconto sono esistiti e molti di loro ancora vivono, e pensano, e amano: certo non Furio, che se n’è andato da poco verso altre spiagge, forse a ritrovare l’Istria della sua giovinezza, nuvole rosse che digradano in terrazze e vigneti, Trieste distante come in un sogno, dall’altra parte del cielo. Alcune figure che animano questa storia abitano i miei stessi luoghi: certe, come Carla, sono barricate in una casa di riposo, circondate da icone del fratello morto, unico uomo possibile. Non parla, si limita a pregare, fissando l’effigie di quell’uomo come davanti a un Cristo sbarbato. Ester alimenta la sua storia con una verità piena di rancore; Antonio, dal Belgio, usa il filtro dei suoi tempi, di una generazione un po’ delusa. Io cerco di svagarmi come posso nei miei viaggi, scambiare due chiacchiere con chi mi invita a conferenze e seminari, e consegna premi che sembrano scritti su una lapide. A ottant’anni, senza essermi risposato dopo il divorzio con Elena, senza aver avuto figli, mi sembra di essere più vecchio e solo di quanto lo sia davvero. Ho amici che condividono con me il tedio e la tranquillità degli anni che passano, davanti a un mezzo litro in osteria; ho Borges che mi ricorda quant’è dolce questo pendio: le donne sono già quelle che erano molti anni fa, anche se ci vedo ancora discretamente bene. Quando ho la fortuna di essere a Trieste con il bel tempo, vado a Barcola, sul lungomare di cemento e scogli.

Adriatico, Enrico Cattaruzza, Scatole parlanti. Attilio Fabris è uno scrittore di prestigio e chiara fama che per anni ha risposto di no alla richiesta di vergare di suo pugno la biografia di un ex senatore e commendatore, uno dei tanti che hanno dovuto lasciare esuli la terra d’Istria dopo le vicende del fascismo e della seconda guerra mondiale – a Roma c’è un intero quartiere che è detto giuliano-dalmata, in cui ogni anno è molto sentita la celebrazione soprattutto per le vittime delle foibe –, Furio Valmastri, marito di Ester, padre di Antonio, fratello di Maria, personaggio di grande rilievo a Trieste non solo per il suo ruolo politico, che durante il ricevimento per il suo novantesimo compleanno passa a miglior vita. A quel punto in Fabris si scatena come un’ossessione per la ricerca, che si connota di luci e ombre, in un crescendo di sensazioni descritto da Cattaruzza con suadente abilità, gran ritmo, piglio vivace e alta levatura letteraria. Da non farsi sfuggire.

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“Come un ramo secco”

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Silvano, sempre più grasso e sudato, aveva un flacone di pastiglie vicino al bicchiere, pronte all’uso. Ogni tanto si fermava a guardare Alice, fisso. Poi, quando lei lo rimproverava a voce alta, si metteva a osservare Gloria con la bocca aperta. Chissà cosa frullava nella testa del maniaco…

Come un ramo secco, Eugenia Di Guglielmo, Scatole parlanti. Nata e cresciuta a Pietrasanta, emigrata al nord per amore ma tornata a casa dopo il divorzio, Carola, scrittrice in crisi, avrebbe forse dovuto approfittare in maniera più proficua del fatto che per una volta i figli fossero dal padre per cercare di superare il blocco che non le permetteva di portare più a termine in maniera decente nemmeno un paragrafo invece che imbarcarsi in una crociera per l’arcipelago toscano: anche perché le vacanze in barca non sono esattamente le più confortevoli possibili, e quelle soprattutto per cui serva la minor dose di capacità d’adattamento. La Viki non è certo un transatlantico, ma la varia umanità che sale e scende dalla flottiglia che solca le onde è un vero e proprio crogiuolo di spunti: del resto, nelle situazioni logisticamente complesse, a lungo andare, emerge fuori come e più che altrove la vera natura delle persone, e Nicola, poi, lo skipper, è alto, giovane, stupendo e sbruffone quanto basta. All’alba dell’ottavo giorno, però, ci scappa il morto… Intrigante, avvincente, coinvolgente, un noir psicologico che sembra pronto per lo schermo: da leggere.

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“Le straordinarie cognizioni di un gatto morente”

gattodi Gabriele Ottaviani

Da dove spuntino e come s’intrufolino nei miei pensieri tutte queste parole, e perché e come riesca a impadronirsi della mia mente tutto questo conoscere – un’enciclopedia intera! – non saprei dirlo. Da sempre capisco le comunicazioni degli esseri umani, ma ora, che cosa mi accade? Ora anch’io, come l’essere parlante assoluto, so dare un nome alle cose. Che cos’è questa esperienza strana, che nei miei pensieri associa magicamente un nome a un’entità, a un’esperienza emotiva o a un’immagine, e affiorano parole e cognizioni di cui non conoscevo l’esistenza? Ora, è mai possibile che in questo torpore mortale – disturbato da improvvisi dolori acutissimi a tutte le membra del corpo –, in questo intontimento che mi prepara alla morte, il mio cervello riesca a pensare in un modo che è incomprensibilmente sempre più simile a come riflettono gli esseri umani? Tanta è la grazia che grande è il timore di riconoscere a me stesso la sensazione di essere in procinto di una straordinaria trasformazione del felino nell’umano. Forse che la consapevolezza di ciò che sto perdendo – la vita! – mi porti ad abbandonare la mia natura? Che cosa vado a pensare? Che sia il delirio del moribondo, segno di morte imminente?

Le straordinarie cognizioni di un gatto morente,Giorgio Meneguz, Scatole parlanti. Vive – in realtà va e viene, è libero e indomito, inafferrabile come il vento, ma non perché non abbia sentimenti che non siano utilitaristici, come sostiene un assurdo luogo comune che lui stesso giustamente tiene assai a sfatare – con Niccolò, che lo chiama Rosso per il colore del suo pelo. Solo che Niccolò è daltonico, e quindi in realtà il nome vero sarebbe Miao, traslitterazione di un lemma antichissimo, usato per la prima volta dalla civiltà che – sempre secondo il suo bipede e affettuoso amico, che è un dottore ma non porta il camice, accoglie le persone nel suo studio e le ascolta, le fa parlare, e Miao, o Rosso che dir si voglia, si convince che ognuna di quelle persone racconti, non per falsità, ma perché è naturale che sia così, a Niccolò una versione della sua storia confezionata appositamente per quel tipo di incontri – venerava come divini quelli come lui, che creature speciali, filosofe e filosofiche, persino, basta incrociare una volta nella vita il loro sguardo per capirlo, lo sono per definizione. Ossia i gatti. Conosce l’amore grazie a una micetta che però un triste giorno non riesce a salvare, e man mano che la vita, perlomeno quella su questa terra, lentamente lo abbandona acquista gradualmente una sempre maggiore consapevolezza… Articolato in ventotto agilissimi capitoli che hanno ognuno per titolo le prime parole del primo paragrafo che ne compone l’inizio del testo, impreziosito da una bellissima foto in scala di grigi, Le straordinarie cognizioni di un gatto morente, splendido, commovente, simbolico ed emozionante sin dal titolo, narra la vicenda di un umanissimo, dotto, empatico gatto randagio ricoverato in una clinica veterinaria, cullato dai ricordi e sostenuto dalla grammatica degli affetti: Meneguz, psicoterapeuta e saggista di chiara fama, nonché dal curriculum impressionante, dipinge un delicatissimo ma vivido acquerello della tenerezza e della mille sfumature della comprensione. Incantevole.

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