di Gabriele Ottaviani
Sono questi otto centimetri che mi spuntano dalla mano? Coltello? No! Non è un coltello! È una spina! Una spina, che è rimasta conficcata nel mio cuore, una spina della rosa che eri, che è rimasta, bastarda, conficcata nel mio cuore. Ecco cos’è. Non è un coltello! Che razza di bestia, sarei, se mi presentassi da te con un coltello in mano. Che razza di bestia sarei se volessi farti del male. È una spina, soltanto una spina. Una spina, avvelenata, di quell’amore amaro, che secondo te era finito. E ora, siccome tu, amore mio, dimenticasti una spina conficcata nel profondo del mio cuore, io sono venuta a rendertela, affondandola nel tuo. E vedrai che scoprirò che non era di pietra come pensavo, ma caldo, e rosso, proprio come la rosa che eri.
Di lama e d’ocarina – Storie di tango, Francesco Scarrone, Rogas. Diego Alvaro de Marenquio Manasero y Gregorio non è un uomo come tutti gli altri. È mille e più persone insieme. Perché è il più grande tanguero di tutta la Pampa argentina, e la sua arte lo rende molteplice, plurimo: canta la passione, in tutte le sue forme, e alla sua voce si aggiunge quella di tutti coloro che incontra per la sua strada, che gli lasciano e cui lui lascia sempre qualcosa, perlomeno il ricordo di un’emozione che mai prima di quel momento era stata così ben descritta e immortalata. Albatro inadatto alla vita sulla terraferma, come ogni poeta che si rispetti, eroe picaresco che combatte contro i mulini a vento della mediocrità, è un personaggio incredibile tratteggiato in maniera fuori dal comune dalla prosa seducente e sensuale, come solo il ballo che si dipana al ritmo del bandoneón sa essere, ricchissima di livelli di lettura e chiavi d’interpretazione, di Francesco Scarrone, non a caso anche valente drammaturgo e sceneggiatore, abilissimo nel far vivere e vedere quel che le parole raccontano, tra atmosfere oniriche, demoni e disperate speranze.