di Gabriele Ottaviani
Mi ricordo che squillò il telefono a casa e mia cognata disperata, mi avvertì che Vincenzo era morto. Mi chiese di partire subito per Roma e così feci. Io non ero a conoscenza di quale tipo di lavoro specifico facesse mio fratello. Spesso lo andavo a trovare a Trapani, ma mai nel suo ufficio e mai parlavamo del suo lavoro. Io non chiedevo e lui non diceva, tutto qua. Quando è morto sono andato a Roma a prendere la salma. Ricordo perfettamente che dopo l’arrivo dell’aereo, la bara fu caricata su un carro funebre e in fila indiana, seguimmo quella vettura fino in zona Colosseo. Anche se sono siciliano conosco bene Roma. Sapevo dove era il Celio. Il carro funebre girò verso il Celio ma il nostro autista non lo seguì. Mi arrabbiai, e chiesi al militare che guidava la macchina di fermarsi. Io volevo vedere Vincenzo. Non mi importava se aveva un corpo spappolato dalle pallottole, io di morti ne avevo già visti tanti nella mia vita e non mi spaventavo di certo. Ci assicurarono che lo avremmo visto il giorno dopo. E così fu. Alla camera ardente al Celio io, Pina (la moglie di Li Causi) e gli altri parenti abbiamo visto il corpo senza vita di mio fratello. Era Vincenzo, senza ombra di dubbio e lo possiamo testimoniare in molti. Non aveva il corpo spappolato e non capisco come possano girare queste voci senza fondamento che parlano di una bara vuota o addirittura con un altro cadavere all’interno. Magari fosse stato così. Purtroppo lì dentro c’era Vincenzo. L’ultima volta che lo avevo visto era stato a Partanna. Mi ricordo che al Celio venne anche il presidente della repubblica Carlo Azeglio Ciampi. Il giorno dopo ci fu il funerale nella Basilica dei Santi Giovanni e Paolo a piazza della Navicella, c’erano un sacco di persone, politici, generali e semplici militari. Mi ricordo i ministri Fabbri e Conso. C’erano i capi di Stato maggiore. La messa era officiata da monsignor Marra. Fuori dalla chiesa c’era un drappello di militari. Faceva freddo. Mia cognata era impegnata a cacciare la stampa. Cameraman e fotografi rimasero fuori. Mi ricordo le mie nipotine, Daniela e Roberta, che avevano appena 14 e 13 anni. Quando i sei militari portarono fuori a spalla la cassa con dentro il corpo di mio fratello fui preso dallo sconforto. Eravamo distrutti dal dolore e non vedevamo l’ora di riportare Vincenzo a Partanna, a casa sua.
Skorpio – Vincenzo Li Causi, morte di un agente segreto, Massimiliano Giannantoni, Round Robin. Militare e agente segreto italiano, sottufficiale a capo di una cellula Gladio – un’organizzazione paramilitare appartenente alla rete internazionale Stay behind e legata a filo doppio a CIA e NATO nell’ottica della lotta, durante la guerra fredda, al comunismo, di cui si cominciò a sapere qualcosa dopo le rivelazioni del neofascista Vinciguerra, nel millenovecentoottantaquattro, confermate sei anni dopo di fatto dal premier Andreotti e suffragate dalle dichiarazioni del duemilaotto di Francesco Cossiga, che sostenne che “i padri di Gladio sono stati Aldo Moro, Paolo Emilio Taviani, Gaetano Martino e i generali Musco e De Lorenzo, capi del Sifar. Io ero un piccolo amministratore: inoltre gli uomini di Gladio erano ex partigiani. Era vietato arruolare monarchici, fascisti o anche solo parenti di fascisti: un ufficiale di complemento fu cacciato dopo il suo matrimonio con la figlia di un dirigente MSI. Quasi tutti erano azionisti, socialisti, lamalfiani” – ucciso a dieci giorni dal compimento dei suoi quarantun anni venticinque anni fa, pochi mesi prima di Ilaria Alpi, nel corso di una missione dell’ONU in Somalia, la Ibis II: Vincenzo Li Causi è il protagonista di una storia nera, piena di ombre, che questo volume racconta con estrema dovizia di particolari. Da non perdere.