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“I codici neri di Alfred Hitchcock”

di Gabriele Ottaviani

Perché uccide? Cosa scatta nella sua mente? Quale pulsione si impadronisce di lui, fino al punto da spingerlo a sopprimere un proprio simile? Probabilmente il fascino e l’orrore di questi criminali è soprattutto in questi interrogativi. Nel corso degli anni, con l’esperienza, con il lavoro di specialisti, psichiatri forensi, profilers e investigatori si è riusciti a delineare quelle che sono le principali cause, patologie e perversioni che scatenano questa follia omicida. I serial killer costituiscono una categoria di criminali che data l’efferatezza degli agiti sono giudicati anormali; è scontato chiedersi se, oltre ad evidenti disturbi psicologici, non soffrano anche di disturbi fisiologici. Viene da chiedersi, insomma, se il loro cervello sia effettivamente uguale a quello di tutte le altre persone. Molti studiosi si sono occupati del fenomeno, sono stati eseguiti vari studi per validare differenze a livello neuronale ma i risultati non sono stati confortanti. Nessun difetto neurologico è stato rilevato in questi soggetti. Tuttavia, di recente, è emerso un dato di fatto sconcertante: molti serial killer hanno subito lesioni alla testa di una certa gravità nell’età infantile. Il Charlie de L’ombra del dubbio, per usare una fondata metafora filmica, era molto cambiato, diceva la sorella, da quando era caduto dalla bicicletta: qui vediamo il continuo aggancio alla realtà del cineasta. Come il Maestro ha più volte sottolineato, appare spesso una madre estremamente severa e cinica che influisce negativamente sulla personalità ed emotività dei giovani e vulnerabili figli. Il soggetto arriverà poi a nutrire un odio virulento, non solo verso le madri ma diretto a tutto il genere femminile (Delitto per delitto, L’ombra del dubbio, Psyco). Premettiamo che l’odio è proporzionale agli abusi…

I codici neri di Alfred Hitchcock, Antonello Altamura, Robin. Enigmatico, potente, intenso, allucinatorio, raffinato, magistrale, intrigante, seducente, poliedrico, caleidoscopico, mozzafiato, continuamente stimolante, solenne nella sua chirurgica disamina della banalità del male, innato e capillare, teso verso un ideale di bellezza che non è mai salvifica né univoca, il cinema di Alfred Hitchcock è un sempiterno affresco degli incubi che l’umanità non sa nemmeno di sognare: questo saggio divulgativo e filosofico lo indaga con acribia eccellente e producendo interessanti e originali spunti di riflessione e suggestioni.

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“Incubi e sogni che giocano a fare l’amore”

di Gabriele Ottaviani

Quale sarà il tuo motivo per essere felice?

Incubi e sogni che giocano a fare l’amore, Rab, Robin. Rab, al secolo Gabriele Schettino, come gli autori alessandrini sa con poche parole fotografare con ineguagliabile nitidezza il mondo che c’è in ognuno di noi, preda di paure, inganni, disincanti, sentimenti, speranze, frustrazioni, tenerezze e passioni: dei contrari si può aver contezza solo perché sono inestricabilmente connessi l’uno all’altro, e ciascuno è un crogiuolo di contraddizioni. Così, icastica e policroma, la prosa di Rab immortala la commedia della vita: delizioso.

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“Ritorno a Villa Blu”

61YgrwlgNfL._AC_UL320_di Gabriele Ottaviani

In pace Ginetta, grata alla vita.

Ritorno a Villa Blu, Gianni Verdoliva, Robin. Alessio, Francesco e Tommaso sono tre fratelli che d’abitudine hanno a lungo trascorso ogni estate della loro vita nella villa di famiglia. Vi tornano anche in quest’occasione, per la prima volta, però, da soli, senza il nonno Ascanio, che ha lasciato loro in eredità la magione, senza i genitori, senza nessuna rete di protezione, senza nessuno schermo che li separi e difenda da intrighi, passioni, segreti e misteri che come foschia in un giorno umido paiono addensarsi attorno alla villa, avvinti come rampicanti che veloci si inerpicano sui solidi muri e desiderosi solo di mostrarsi in tutta la loro inquietante e malefica presenza in un giorno ben preciso, dopo il quale nulla sarà più come prima, e il definitivo passaggio alla vita adulta sarà ufficialmente sancito… Intenso e trascinante.

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“La falce”

Calandra cover Idi Gabriele Ottaviani

Durante l’estate, la corrente della Baraschia si riduce quasi sempre così umile e bassa, che i barconi posano sul fondo, il tavolato congiunge le rive, e la chiatta fa semplicemente da ponte. La strada vi corre diritta, ma tanto o quanto in pendenza. Roberto ritenne le redini e guardò attorno: così al barlume, vide là a destra un poco di rialto, e su quello, circondata da un riparo fatto con fascine e prunami, una scura casupola, con la scaletta di fuori e tutta addobbata di pampani. Il chiattaiuolo si avvicinava lentamente, portando una lanterna. Era sulla sessantina, alquanto curvo dalle fatiche e dagli anni, ma vegeto, franco e robusto; aveva gli occhi fortemente incassati, sopracciglia folte e aggrottate, lunghi mustacchi pendenti: una fisonomia austera, ma nel tempo stesso piacente e affettuosa. – Lei vuol passare? – diss’egli. – Naturalmente – rispose Roberto. – Hm!… – Non si può? – Altro. – E dunque? – Passi, ma stia all’erta. – Cosa c’è? – Non ha mai sentito nominare il Calabrese? Roberto saltò a terra. – L’avete visto? – Mezz’ora fa era lì, proprio dove lei mette i piedi. – E adesso? – E adesso… adesso… Chi sa? forse si sarà rintanato nel macchione…

La falce, Edoardo Calandra, Robin. A cura di Leonardo Lattarulo. Vissuto a cavallo tra il diciannovesimo e il ventesimo secolo, Calandra, nato da un’agiata famiglia borghese di Torino e morto a Murello, nel cuneese, pittore, illustratore, amico e corrispondente di Verga, Giacosa, De Roberto e altri intellettuali coevi, autore di romanzi storici – di cui il già nominato Lattarulo, tra l’altro, è chiarissimo e assai fine esegeta – e non solo, sovente caratterizzati da un approfondimento psicologico davvero all’avanguardia per l’epoca, è voce troppo poco nota, ora come ora, ma assai significativa nel panorama ricchissimo della letteratura italiana: quest’opera, mai più ristampata da ben centodiciassette anni, è uno scrigno preziosissimo, un regalo imprescindibile, una summa dei temi a lui cari. Da non farsi sfuggire per nessuna occasione.

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“Compromesso con l’assassino”

619AzunxHNL._AC_UL436_.jpgdi Gabriele Ottaviani

Questo Lara non voleva capire, o forse non poteva capire, opponendo la sua dolce ostinazione, amandolo testardamente. Ma anche quando si incontravano per fare l’amore, consumato il sesso, restavano spesso ore vuote, che le loro parole non potevano riempire di sogni e progetti. Un amore che non ha parole è senza futuro. Un amore senza futuro è già finito. Questo aveva detto a Lara, chiedendole di porre fine alla loro storia. Questo le aveva detto con durezza, qualche giorno prima che Marina sparisse.

Compromesso con l’assassino, Mauro Colajacomo, Robin. Che l’amore è tutto è tutto ciò che ne sappiamo, recita un adagio ormai abusato tante volte, nei più vari contesti, è stato adoperato: eppure è sempre attuale, preciso, autentico, puntuale, veridico, azzeccato, anche in questo caso. Perché due sono le voci narranti in questa storia, e due, opposte, contrapposte, diverse ma simili in più di qualche tratto, le storie d’amore, niente affatto prive d’inquietanti zone d’ombra, che compongono il mosaico di questa vicenda intessuta con perizia: da un lato un veterinario oberato dal lavoro e da mille pressioni, dall’altro un uomo accusato d’aver ucciso e fatto svanire nel nulla il cadavere della moglie. E… Da leggere.

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“True legends”

71EqhosN0WL._AC_UL320_.jpgdi Gabriele Ottaviani

Moon continuava a fissare fuori con occhi spenti. «Tutto bene?» Si accorse che stava tremando. Le cinse le spalle. «Sono solo i disinfestatori. Per i ratti, fanno molto casino ma sono innocui.» Lei non sembrò calmarsi. Guardava fuori mentre il rombo cresceva. Le facce grigie continuavano a moltiplicarsi in tv, una dentro l’altra, come orrende scatole cinesi. «Che razza di porcheria è questa?» Si attaccò alla manopola dell’ol.dom. nel tentativo di spegnerlo. «Devo decidermi a buttarlo questo rottame…» Una scossa elettrica gli allontanò di scatto le dita. «Cazzo, vaffanculo bastardo!» Ora una faccia tridimensionale e crepitante aveva oscurato del tutto la sagoma lardosa di Ghosty sullo schermo. Sembrava fissarlo. «Andatevene da qui,» parlò. Laz sobbalzò all’indietro, atterrito. «Che?» Cosa diavolo era, uno scherzo? «Dico a te, Lazarus Doyle. Non è uno scherzo. Prendi la ragazza e vattene da questa casa!» Stava sognando? Non aveva mai visto niente del genere. Da quando in qua gli ol.dom. sfrattavano i loro padroni? «Chi sei? Un hacker? Un test del Network? Chi cazzo sei tu?» «Ora hai tre minuti,» replicò la voce elettrica, «scappate.» La faccia scomparve in un lampo blu. Sullo schermo l’omino dei marshmallows era tornato a ballare tra i grattacieli della vecchia New York. Il frastuono fuori la finestra era quasi insopportabile, troppo per delle normali macchine da disinfestazione. Un muggito costante, disarticolato. E altro. Una voce. Urla. Moon tremava come una bestiolina in gabbia. In preda alla strizza, Laz aprì le imposte e si sporse. Le urla si avvicinavano con il rombo. Un uomo che correva. Dopo un po’ lo videro sbucare da dietro un palazzo. «Pogrom!» urlava, correndo all’impazzata. «Pogrom, pogrom, po…»

True legends – Reclutamento, Cristian Gaito, Sergio Mastrillo, Riccardo Vezza, Salvatore Vita, Robin Edizioni. Non si combatte più armi in pugno nel futuro distopico che questi giovani autori, chi archivista, chi insegnante, chi guardia giurata, tutti nati fra Formia e Minturno, con stile ironico, accattivante, divertito e divertente, appassionante e appassionato, tratteggiano con dovizia di dettagli: nell’universo per lo più colonizzato dai terrestri, benché il pianeta sia sempre più ai margini del potere, le disfide si risolvono sul campo di pallone, giocando a calcio. Ogni quattro anni, su un satellite artificiale che risponde al nome di Cittadella, ha luogo il torneo interplanetario detto True Legends: buona parte delle postazioni di comando galattiche sono in mano al Network, un’organizzazione monopolistica che dispone della tecnologia più avanzata e il cui fine è orientare le masse attraverso l’informazione mediatica. La sua filiale terrestre è la FIFA, ma è evidente che tutti cerchino il proprio posto al sole, e così una ex stella del calcio del pianeta che abitiamo reinventatasi magnate del settore alimentare, per lo più in ambito ittico, Johnny Fresco, lascia il guanto di sfida e inizia a definire la propria compagine… Intrigante.

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“Non so dirti ti amo”

41bgSTNC3XL._AC_US218_.jpgdi Gabriele Ottaviani

Ma chi sono quelle persone che non possono fare a meno di fare battute sugli omosessuali? Ma ce l’hanno una vita? Degli hobby? Dei neuroni ben ossigenati?

Non so dirti ti amo, Nicolas Robin, Gremese. Traduzione di Diana Di Costanzo. Parigi è la città dell’amore. Ma non per questo vuol dire che lì sia più facile volersi bene. Che l’amore si manifesti inatteso e improvviso come una gemma su una pianta in piena età dell’oro, quando la terra dà frutto senza che vi sia per l’uomo la necessità di coltivarla. Che si riesca a essere felici con minor sforzo. Anzi. Quando tutto parla d’amore, che è il tutto che ogni cosa e ogni persona governa, la sua assenza si fa ancora più presente, il suo silenzio è un bronzo che risuona, un cembalo che tintinna. Joachim è diventato celebre perché la sua ragazza l’ha mollato in diretta tv, Juliette fa la commessa ma sogna da diva, Francine è un’impiegata malinconica e Ben è terrorizzato all’idea che un giorno come la neve cada la tristezza sulla sua storia. Nicolas Robin ha il dono della grazia, della sensibilità, della delicatezza: questo bouquet di voci è un balsamo per l’esistenza. Un romanzo delizioso e imperdibile, incantevole sopra ogni cosa.

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“E invece io”

2033.jpgdi Gabriele Ottaviani

Sarà l’euforia dell’arrivo, la pressione della cabina, l’emozione della destinazione, il brivido della modesta impresa compiuta in solitario, ma mi sembra già di avere meno dubbi e di pensare a Ivana con minore ossessione, a conferma del fatto che i viaggi servono soprattutto a questo: a spostare il baricentro della vita, da quello che crediamo non si possa lasciare a quello che non sospettiamo si possa incontrare. Chissà che vorrà significare, sognare in volo un deserto di cioccolata e un gendarme che impartisce lezioni di filosofia. Chissà cosa sta cercando di suggerirmi la neurobiologia delle mie emozioni, quale sintesi avrà elaborato attraverso percorsi che a me sembrano impraticabili ma che invece sono più logici della realtà. Ad esempio di tutto il casino che m’è successo. Chissà che vorrà significare, svegliarsi e trovarla davvero questa montagna. Chissà che vorrà significare, tutto questo, mentre sto mettendo piede sull’equatore della vita. E di sognare ho smesso già da un po’.

E invece io, Davide Grittani, Robin. Alberto ha ormai raggiunto un’età tale per cui non se la sente più di badare alla forma, preferisce la sostanza. Solo che, essendo un giornalista, e svolgendo la professione in Italia, dove il Partito dei Demiurghi e la Federazione Illuminata si danno battaglia o presunta tale in ambito politico a colpi di ipocrisie e calunnie incrociate, il suo fine non risulta di facile raggiungimento. Per questo emigra. Ma non sconfina. Va dal nord verso il sud, dalla Lombardia alla Puglia. Rinuncia a cose che in fondo per lui non hanno importanza. Ne cerca delle altre. Per il momento però si mette alle spalle più che altro noia e banalità e cerca di riannodare i fili della sua esistenza scombiccherata. Il compleanno del mezzo secolo si avvicina, e vuole concedersi un viaggio di un mese in America del Sud: ovviamente il percorso più importante che svolgerà non potrà che essere quello interiore. Con un’ironia cristallina e una prosa affilatissima, credibile in ogni momento, divertente e caleidoscopica, lieve, raffinata, amara, disillusa e priva di luoghi comuni e retorica, in cui il realismo magico si amalgama perfettamente allo squallore dell’attualità, Grittani tratteggia più che vividamente un ritratto del nostro tempo che non solo appare riuscito, ma necessario.

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“La nuova sortita del cavaliere errante”

Antonio-Benedetti-La-nuova-sortita-del-cavaliere-errante.jpgdi Gabriele Ottaviani

Don Chisciotte aprì gli occhi sul sorriso di Sancio, più largo che mai sulla sua faccia pienotta. “Signor don Chisciotte, si è svegliato finalmente!” Il cavaliere si stropicciò gli occhi e si guardò intorno, intontito. Giaceva sotto una coperta ricamata, in un letto a baldacchino, di fronte a un grande specchio di forma bizzarra incastonato nella parete, che gli rinviava un volto giallognolo. Sancio prevenne le sue domande, raccomandandogli di non affaticarsi. Erano ospiti di un pezzo molto grosso, un nobile politico della capitale, nella sua casa di campagna, che era una villa più grande di quella del dottor Molina, e anche più ricca. Tutti lì lo chiamavano il duca, ma con lui gli davano dell’Eccellenza e gli ubbidivano come al generale di un esercito. Aveva una tenuta, tra terre e boschi, che l’occhio non arrivava neanche a coprirla tutta. Quel politicone si era interessato alla loro storia nel bosco coi briganti; l’aveva ascoltata anche suo figlio, il signor Paulito, un bambino di poco più di dieci anni, che tutti gli davano del lei come se fosse in età da andare a donne, e si era impuntato che voleva conoscere il cavaliere errante, e suo padre lo aveva accontentato. Quel politicone non doveva essere un cattivo diavolo, perché aveva fatto visitare il signor don Chisciotte dal suo medico che si era portato in quella villa e lo aveva fatto curare che neanche un re. Lui era restato due giorni come un vitellino appena nato che non si decideva a aprire gli occhi, e la fronte scottava che si poteva cuocerci sopra una bistecca. Quella mattina però il dottore aveva detto che ormai era fuori pericolo, e difatti prima aveva cominciato a lamentarsi e adesso si era svegliato.

Antonio Benedetti, La nuova sortita del cavaliere errante, Robin. Un classico è un libro che non finisce mai di dire quel che hai da dire. Perché ogni volta che ci ripensi ti viene in mente qualcosa di nuovo. Perché ogni volta che lo rileggi ti fa rinfocolare l’emozione che hai provato nel petto la prima volta. O magari no. Magari è diversa. Magari un libro che ti è piaciuto tanto a quattordici anni a trenta ti fa orrore. Magari uno che ti ha annoiato da adolescente parla al tuo nuovo te più anziano in un modo che sa convincerti. Potenza della letteratura. E quale libro può avere più cose da dire di quello che ha fondato il genere letterario del romanzo così come lo intendiamo oggi, ossia il Don Chisciotte di Cervantes? Che qui rivive. Sì, perché Don Chisciotte scopre che Cervantes è imprigionato, e quindi parte col fido Sancio Panza per liberarlo. Ovviamente il viaggio sarà a dir poco picaresco… Un lampo di genio, un atto d’amore per la materia di cui sono fatti i sogni, un’opera frizzante e divertente.

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