di Gabriele Ottaviani
Alexis scrisse a lungo su Manet ma confessò di non essere entusiasta di Le Bon Bock, ripetendo così dei giudizi che certamente aveva colto tra gli habitué del Café Guerbois. Un’altra eco di tali giudizi è la sua affermazione che il ritratto di Berthe Morisot «non ha incontrato affatto lo stesso favore. La folla davanti a quest’opera si mostra riluttante e sospettosa; eppure a mio avviso vi si rivela assai più chiaramente la nota personale e originale dell’artista». Alexis annunciava inoltre un saggio dedicato agli artisti respinti, che tuttavia non apparve perché il giornale ebbe delle difficoltà legali e fu sospeso per settimane, con il risultato che la serie di Alexis non andò oltre i tre articoli. Egli riuscì però a scrivere in favore di Manet e degli amici almeno queste parole: «Senza considerarmi un profeta, prevedo l’affermazione nell’arte di una generazione di radicali (non voglio usare il termine non ben definito di “realisti”), figli della scienza contemporanea, amanti della verità e della precisione sperimentale, che ripudiano la “bellezza” convenzionale, l’ideale classico, le pose romantiche, e non portano altra bandiera che la sincerità e la vita».
La storia dell’Impressionismo, John Rewald, Johan and Levi. Traduzione di Margherita Leardi. Prefazione di Flaminio Gualdoni. Studioso di chiarissima fama a livello internazionale, accademico, autore, storico dell’arte morto a ottantadue anni ancora da compiere ventisei anni fa, la massima autorità mondiale sull’arte degli ultimi decenni del diciannovesimo secolo: questo e molto altro ancora è stato ed è tuttora John Rewald. Tagore l’ha detto: scrivere un libro è uno dei tre passi per essere immortali, come piantare un albero e dare alla luce un figlio. E Rewald accompagnerà sempre e per sempre, con la sua prosa straordinaria, dottissima, densa, semplice, limpida, chiara, appassionante, elegante, raffinata, sorprendente, significativa, evocativa, istruttiva in ogni singolo passaggio, critica, rigorosa, scientifica, mai retorica, ridondante, enfatica, ostica o cattedratica le avventure nel mondo mirabile dell’arte di tutti gli appassionati del genio umano. Le macerie fumano ancora nel millenovecentoqarantasei (ma, con spirito tucidideo, di storico certosino che si avvale di documenti, citazioni e testimonianze sempre impeccabili e verificate, e al tempo stesso in ossequio all’idea per cui un libro non è un’opera finita solo perché edita, l’autore continuerà ad arricchire e aggiornare il testo per quasi sei lustri) quando per la prima volta compare negli scaffali delle librerie questo monumentale volume: la guerra è finita da pochissimo, il bisogno di bellezza, salvifica per antonomasia, è urgente e necessario. Attraversando lo spazio e il tempo, con il corredo di immagini che fanno sì che il lettore possa immergersi pienamente nelle vicende umane e artistiche, contestualizzate con pienezza, di artisti che hanno saputo esprimere l’inconoscibile e l’altrimenti indicibile mediante una policromia di figure, Rewald racconta la strenua battaglia contro il pregiudizio di una società in cui, come l’albatro della celebre poesia, sensibilità particolarmente raffinate e lungimiranti non riuscivano a riconoscersi: Monet, Bazille, Manet, Degas, Pissarro, Sisley, Gauguin, Morisot, Redon, Seurat e Signac sono solo alcuni dei protagonisti, che grazie a quest’opera diventano veri e propri tasselli dell’immaginario. Imprescindibile.