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“In Sicilia con Leonardo Sciascia”

di Gabriele Ottaviani

Anche se muore nella sua casa di Palermo, Sciascia non ha dubbi: vuole essere sepolto a Racalmuto. I funerali del 22 novembre 1989, celebrati, per fedeltà alle origini e alle tradizioni, nella chiesa di Santa Maria del Monte, sono il riassunto perfetto di una vita che ha saputo conciliare l’invincibile attaccamento al paese, alle sue persone e alle sue abitudini, con il protagonismo nel dibattito pubblico nazionale e con l’apertura al mondo: nel giorno delle esequie, per lo scrittore che vorrà essere ricordato sempre come «maestro con la emme minuscola», sfilano i bambini della scuola elementare di Racalmuto, ma in quel piccolo centro della provincia di Agrigento arrivano anche, fra gli altri, i ministri dell’Istruzione e dell’Agricoltura, il segretario del PSI, i direttori di Adelphi, Bompiani e de “La Stampa”. Come dichiara lui stesso nella Notizia che precede Occhio di capra, Sciascia non si allontana mai da Racalmuto, se non per «periodi più o meno lunghi (lunghi non più di tre mesi)»: qualche soggiorno romano – obbligato ora dal distacco al provveditorato ora dall’elezione alla Camera –, qualche mese a Parigi, solo viaggi ma nessuna permanenza nella pur amatissima Spagna, un’estate in Friuli quando la malattia incalza.

In Sicilia con Leonardo Sciascia, Antonio Di Grado, Barbara Di Stefano, Giulio Perrone editore. Morto trentuno anni fa, autore dalla penna formidabile, capace di indagare l’animo umano in tutte le sue più recondite sfaccettature, impegnato politicamente fin sui seggi del parlamento italiano ed europeo, combattente mai domo contro la corruzione e la mafia, Sciascia è figura poliedrica e interessantissima, oggetto di numerosi studi: Antonio Di Grado e Barbara Di Stefano, con mano sicura e dovizia di particolari, ci conducono per la sua terra natia, che ha saputo raccontare come nessun altro facendola assurgere a simbolo della natura umana. Da non farsi sfuggire per nessuna ragione.

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“La forza delle donne”

di Gabriele Ottaviani

«Non credere che una condanna cancelli il dolore… All’inizio pensi che sia così ma poi ti resta il vuoto». Eravamo sedute sempre l’una davanti all’altra in cucina, con la spremuta d’arancia e il ciambellone. Ormai ero davvero in grado di capire dal suo modo di muoversi nella stanza quale fosse il livello di sofferenza della signora Veronica. Che era sempre immenso, ovviamente, ma qualche volta si affievoliva forse semplicemente per stanchezza. Allora rallentava il passo e poggiava i gomiti sul tavolo mentre le belle mani nervose e affusolate trovavano riposo per qualche minuto

La forza delle donne, Adriana Pannitteri, Giulio Perrone editore. Giornalista e saggista che col suo racconto della vicenda di Eluana Englaro ha ispirato anche Marco Bellocchio per il suo Bella addormentata, Adriana Pannitteri narra con stile potente, vibrante, emozionante e senza retorica una vicenda necessaria che prende le mosse da un tema di tragica attualità, quello della violenza nei confronti delle donne, una strage continua, una guerra quotidiana che non si riesce a vincere: Maria Grazia è un’adolescente. Sogna di diventare giornalista e scrittrice. Un giorno incontra Veronica, la mamma di Giulietta, assassinata dal suo compagno. E… Da non farsi sfuggire per nessuna ragione.

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“Come una storia d’amore”

71ykfUW7EmL._AC_UL320_di Gabriele Ottaviani

“Che schifo”, aveva scritto la Sconosciuta al politico, mostrando uno spregio di paese reale che impastava snobismo e sconoscenza insieme, e volontà di mettere le mani avanti ma non troppo avanti per non sporcarsele, perché guai a toccare i problemi, sui social network i problemi vanno osservati e giudicati, di qua o di là, che schifo o che meraviglia, di qua il politico e di là la Sconosciuta, su linee gotiche opposte ma uniti a tradimento dallo stesso linguaggio. “Che schifo”, aveva scritto la Sconosciuta, dietro una foto profilo che già diceva di cagnolini e nipoti lustrati a lucido, di tazze da tè e scritte inappuntabili, di piccole sofferenze mai così grandi da divorare il mondo intero, di analgesici che non diventavano mai ansiolitici. Beata lei, aveva pensato Paola. “Che schifo”, ed era sensato per la Sconosciuta essere antirazzista, era ovvio e giusto che quelle banali due parole, parcheggiabili ovunque nel deserto di Facebook, sulla pagina incandescente di un politico misero e provocatore avessero raccattato ventidue like. Sarebbero stati ventitré fino al giorno prima, perché la Paola che spiava le vite degli altri era pur sempre la stessa che aveva sempre votato a sinistra, antirazzista, antifascista, magari più capace di argomentare rispetto a “che schifo”, e dunque avrebbe forse aggiunto volentieri anche il suo pollice in su. Fino a che non aveva preso coscienza, sotto il cielo ceruleo della Laurentina, che nessun politico di nessuno schieramento, né buono né cattivo, si sarebbe preso carico della sua matassa aggrovigliata…

Come una storia d’amore, Nadia Terranova, Giulio Perrone editore. Roma, a rovesciarla, si legge amor, e già questo vuol dire, se non tutto, molto. Spesso infatti la vita, e tutto quel che la riguarda e ne consegue, è solo una mera questione di punti di vista, di angolazioni, di prospettive: Nadia Terranova, che non ha bisogno di presentazioni, poiché la sua prosa, nota e dal riconosciuto pregio, è cristallina, efficace, curata e originale, conduce con mano sicura, senza retorica o ridondanze, il lettore attraverso luoghi che manifestano pienamente un’innata duplice valenza, quella fisica e quella spirituale. La città, luogo di confine, conflitto, confronto e contatto, una, nessuna, centomila, non solo non è un mero sfondo, ma non è neanche un personaggio, è la vicenda stessa, una storia d’amore, che fa piangere, ridere, soffrire, godere, emozionare: del resto, che l’amore sia tutto, si sa, è tutto ciò che ne sappiamo. Da leggere.

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“Brama”

Perrone_Brama2di Gabriele Ottaviani

Adesso sono frantumata dal reale. Senza amore si cresce vuoti come piante secche e si muore, si continua a vivere morti; alimento quotidianamente l’esistenza di questa vita morta che mi cresce dentro. Più raffino la maschera della seduttrice sadica e irraggiungibile più mi frantumo, più scopo a caso con chiunque più smetto di provare piacere. Sento di non sentire nulla, forse non ho mai sentito nulla. Cosa darei per essere ancora capace di piangere.

Brama, Ilaria Palomba, Giulio Perrone editore. Bianca ha trent’anni, ma nonostante l’età non è così forte da affrontare la vita: ha tentato più volte di ammazzarsi, ed è stata ricoverata in diverse occasioni in psichiatria. Vorrebbe svincolarsi dal legame morboso con la madre, ricevere le attenzioni di un padre che è un paragone irraggiungibile, imporsi sul prossimo allo stesso modo in cui l’esistenza fa con lei, soffocandola, facendole desiderare il riscatto, la rivalsa, la vendetta. Fragilissima, incontra la persona più sbagliata di tutte, o forse no, Carlo Brama, che già nel cognome incarna un anelito bruciante e frustrante, un filosofo che la fa precipitare ancora di più nell’oscuro pozzo del suo passato, nella terra nera in cui affondano le sue radici, gravide di misteri, in una relazione feroce che non ha nulla di fiabesco: è l’autopsia della sua natura. Ilaria Palomba, che sa come si scrive e che ha una prosa colta e bella, che le deriva dalla sua formazione filosofica, continua la sua esegesi del disagio e la personale indagine dell’animo umano, specie nei suoi recessi più oscuri e vulnerabili, inducendo a una profonda riflessione. Da leggere.

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“A Napoli con Totò”

41uWE1C47-L._AC_US218_.jpgdi Gabriele Ottaviani

La casa, per me, è una fortezza, quasi una persona.

A Napoli con Totò – Dalla Sanità alla luna, Loretta Cavaricci, Elena Anticoli De Curtis, Giulio Perrone editore. Una è una giornalista di chiara fama e dalla lunga carriera, l’altra promuove attività umanitarie e culturali ispirate alla figura del nonno (di cui è la terza nipote), che era nato centoventi anni fa, ha fatto ridere e riflettere l’Italia e non solo, è stato un principe, un attore straordinario, un uomo generosissimo che tornava spesso e volentieri nella sua città natale per aiutare, senza fanfare, i poveri e i bisognosi. Ed è proprio per le strade di Napoli che questa guida che guida non è, questa biografia che biografia non è, semplicemente perché queste definizioni suonerebbero riduttive per questo viaggio dell’anima, questa passeggiata emozionale, conduce tutti i lettori, con estrema piacevolezza, tra aneddoti, curiosità, rimembranze. Da leggere.

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“Avrei voluto un’altra vita”

51adWZ4zzsL._AC_US218_.jpgdi Gabriele Ottaviani

Cadde il gelo fra loro. Anche se aveva ragione, nessuno lo avrebbe mai ammesso che avevano organizzato quella serata proprio nel caso fosse andato storto qualcosa. Finirono in una casa d’appuntamento, e pure l’ultima scopata era stata fatta. La mattina successiva arrivarono alla posta verso le 8.45. L’ufficio era aperto da poco. All’interno c’erano poche persone, tre o quattro vecchiette che erano lì per pagare qualche bolletta o per ritirare la pensione, visto che era quasi fine mese. Arrivarono in quattro su due moto. Luca e Sandro dovevano compiere la rapina dentro la posta, mentre Ale e Lele avrebbero aspettato fuori sulle moto, pronti per fuggire. Una volta dentro, tutto si svolse come si vede nei film: passamontagna, pistole (a salve) spianate verso clienti e dipendenti e la solita frase: «Fermi tutti e mani in alto, questa è una rapina». Sandro cercava di tenere tutti sotto tiro, mentre Luca saltò dietro le casse che contenevano i contanti e cominciò a ripulirle. Quando ebbe finito, Sandro lo avvisò che la cassaforte era aperta e, oltre ad altra grana, c’erano ancora due sacchi chiusi. Erano alti circa un metro, di colore grigio chiaro con delle strisce verticali e sopra la scritta Poste Italiane. Erano stati chiusi con uno spago doppio e sigillati con la ceralacca. Luca prese tutto il restante denaro che era dentro la cassaforte e per ultimo i due sacchi, che passò a Sandro.

Avrei voluto un’altra vita – Racconti dal carcere, Giulio Perrone editore, a cura di Antonella Bolelli Ferrara. Gesuele Ventrice con Si prontu?, Edmond con Sette pazzi, Patrizia Durantini con Ti ho ucciso, Gianluca Landonio con Caccia all’infame, Salvatore Torre con Cose che capitano a Palermo, Giorgia Cianfoni con Dama, qualcosa di bello, Daniele Pomilio con 419403 – Tu sei l’aggiornamento, Giuseppe Rampello con Cuori randagi, Eugenio Deidda con Non chiamatemi Guendalina, Arizona con Allegoria di un’espiazione senza attenuanti, Cristian Canò con Con occhi rabbiosi la fissava, Filomena Lorusso con Frecciamore oltre oltre…, Giuseppe Ciotola con Gli occhi tristi di Aisha, Antonio Giannone con I babygang del Bronx e Sergio Serangeli con Kif: sono questi i racconti, intensi, ben scritti, avvincenti, che inducono alla riflessione, potenti e vividi, finalisti della settima edizione del premio Goliarda Sapienza, che come ogni anno concretamente rappresenta una delle più importanti necessità della società, la rieducazione di coloro che si sono macchiati di colpe attraverso l’opportunità della cultura. Da leggere e rileggere, per cercare di immergersi nelle vite degli altri e costruire un futuro migliore.

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“La teoria di Camila”

download.jpgdi Gabriele Ottaviani

Il titolare dell’immobiliare sotto casa tua guardava la scena dal marciapiede, fumando e ridacchiando tra una boccata e l’altra. Poi accadde un fatto. Ho la scena davanti a me anche adesso. Come quella di un pessimo film. Lui le offre di parcheggiare al suo posto. Lei esce dall’abitacolo, aspira la sigaretta ancora a metà che il tizio le infila tra le labbra. Ride, gli soffia il fumo in faccia. Lui sistema la macchina, esce, le porge le chiavi facendole dondolare davanti al suo viso. Tua moglie atteggia le labbra come per un bacio. Ho la nebbia davanti agli occhi. Sento freddo, le gambe non si muovono più. Li seguo con lo sguardo. Carlotta entra nel portone, si guarda intorno, lo accosta piano. Lui gira il cartellino dietro il vetro, chiude l’agenzia e la segue dopo pochi minuti. Sono rimasto ad aspettare, cronometrando il tempo fino a quando il giovanotto è tornato al suo posto. Dopo quarantatré minuti di adulterio distratto in pausa caffè. Un uomo comune sai. Un venditore impomatato con il cravattone blu elettrico, il fazzoletto nel taschino e le scarpe lucide con il mezzo tacco. Eppure aveva buttato all’aria ogni mio piano, e molto altro. La scena si ripeté nei giorni a seguire. Tua moglie e quell’uomo avevano una relazione, non c’erano dubbi.

La teoria di Camila, Gabriella Genisi, Giulio Perrone editore. Normale è che avvenga. Innaturale è il contrario. Tant’è che non si può definire. Se un genitore perde un figlio non è. Non c’è la parola. Non si chiama. Non si dice. Se un figlio perde un genitore è un orfano. E rientra nell’ordine pietosamente spietato delle cose. Ed è, per inciso, il momento nel quale definitivamente la crescita si completa. La spinta, l’ultima, giù nello strapiombo della vita vera, quella il cui volto è connotato dalle lentiggini delle responsabilità. Marco, un ingegnere romano, preso dalla sua esistenza, una sera dopo una partita di calcetto riceve da Camila, la badante di suo padre, la notizia che quel genitore di cui ha ancora bisogno e che non è pronto a lasciare andare, benché se ne occupi praticamente più un’estranea, non parente, non affine, non consanguinea, ma tenera compagna e compagnia, di lui, se n’è andato. E sarà proprio quella donna, tramite necessario ma al tempo stesso simbolo del distacco, ad aiutarlo ad affrontare quella lunga notte, il tempo dell’elaborazione. Intenso.

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“Siamo tutte delle gran bugiarde”

51CQONeDLxL._AC_US218_.jpgdi Gabriele Ottaviani

Una volta in scena come capisce se lo spettacolo funziona, se interessa il pubblico? “Sto molto attento ai pompieri”. Cioè? “Savinio, il più giovane dei fratelli De Chirico, nel libro Palchetti romani, un volume che riunisce le critiche teatrali degli anni ’30-35, scrive: Quando si vede una gamba di pompiere fra le quinte, vuol dire che lo spettacolo va bene. Altrimenti i pompieri si stufano a vedere tre o quattro volte lo stesso spettacolo. Invece quando li vedo in quinta che ridono, dico: vedi, piaccio al popolo. Io poi ci gioco molto coi pompieri. Mi ricordo a Rovereto. Dico a un pompiere: ‘Ho freddo alle mani, me le fai mettere nei coglioni?’ E quello: ‘Ma cosa dice?’. ‘E certo’ faccio io, ‘guarda che dopo di me viene Claudia Koll. Vedrai che lei una cosa del genere non te la dice. Ti fa una pernacchia, volta il culo e va via’. Il giorno dopo sono venuti a prendermi e mi hanno portato al loro museino di questo grande futurista che si chiama Fortunato Depero, che faceva i mobili intarsiati e poi è andato in America e ha fatto le copertine di Life. Bravo, faceva tutte robe geometriche…”. Vedete? È un attimo. Stai parlando di teatro e subito dopo ti ritrovi a ragionare di pompieri e mobili intarsiati…

Siamo tutte delle gran bugiarde, conversazioni di Paolo Poli con Giovanni Pannacci, Giulio Perrone editore. Nuova edizione. Oggi, venticinque di marzo, cade il secondo anniversario della morte di un grande artista. Rigoroso. Libero. Fantasmagorico. Ironico. Garrulo. Allegro. Affascinante. Malinconico. Gioioso. Alieno a ogni convenzione. A ogni compromesso. A ogni meschina miseria. A ogni ipocrisia. Grande Ufficiale della Repubblica nato e cresciuto a Firenze, laureato in lettere, figlio di una maestra montessoriana che gli permetteva di leggere libri pornografici perché la lettura è importante, quale che sia, ha rubato giacche a Zeffirelli e frequentato Fellini e Pasolini. Era, o meglio è, perché sarà sempre con noi, Paolo Poli. Qui raccontato dal suo stesso raccontarsi insieme a Giovanni Pannacci: da non perdere.

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“La Dora dei miei sogni”

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Non ci avevo fatto caso finché non è sopraggiunta l’oscurità. Nel carcere della Trasparenza non esiste illuminazione artificiale. Il ritmo del giorno e della notte è scandito esclusivamente dal ciclo naturale imposto dal sole.

La Dora dei miei sogni, Massimo Torre, Giulio Perrone editore. Mauro Sardonico è un agente assicurativo di successo. A lui si deve la geniale polizza Vitanaturaldurante. Ma d’improvviso alcuni suoi clienti muoiono. I sospetti ricadono su di lui. Ma lui non è stato. O almeno così dice. Ma allora chi è che lo odia al punto tale da farlo piombare nel Carcere Trasparente? Solo Dora lo aiuta. Dora. Che è buona. Severa. Attraente. Bellissima. Un sogno. E dei sogni di Mauro si fa interprete. E per lui è tutto ciò che conta. Sempre. E per sempre. Ma… Allegorico. Distopico. Disturbante. Che evidenzia il nichilismo dei nostri tempi. Ma anche il bisogno che abbiamo di valori, riferimenti, speranze. Da leggere.

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“Tutti a bordo!”

Perrone-Tani MCdi Gabriele Ottaviani

Giada continua la sua inchiesta sull’amore e va a parlare con il capitano Achab che in salotto ha acceso la televisione e sta guardando un documentario sulle balene. «Caro capitano, mi racconta qualcosa della sua vita?». «Certo. Sono nato a Nantucket, nel Masschusetts. Mia madre, vedova, morì quando avevo solo dodici mesi. Mi sono imbarcato presto e a diciotto anni ho ucciso la mia prima balena. Poi sono diventato capitano e un giorno ho visto LEI!». «La donna di cui si è innamorato?». «Ma che donna! Lei era Moby Dick, la balena che mi ha mozzato la gamba mentre provavo a ucciderla. Da allora il mio unico obiettivo è stato trovarla…».

Tutti a bordo!, Cinzia Tani, Giulio Perrone editore. Giada, Luca e Lalla sono i tre nipoti del capitano Giovanni. La cui casa è decisamente particolare. Pare sempre sul punto di mollare gli ormeggi e salpare verso nuovi orizzonti e mirabolanti avventure. Al posto delle finestre ha degli oblò, del resto, sicché… Ma ancora più stravaganti sono gli ospiti che bussano alla porta ogni due per tre: Noè, il corsaro verde, il corsaro rosso, Magellano, il corsaro nero, Robinson Crusoe, Ulisse… Una vera e propria folla di lupi di mare, insomma… Cinzia Tani è avvezza alla scrittura, ma di norma sono altri i temi che tratta: eppure la sua vena appare comunque più che solida. La prosa è limpida, frizzante, lineare, divertente, semplice, chiara, immaginifica, varia, mai banale, accurata, adatta a tutte le età, pluristratificata: un piacevolissimo tuffo dove l’acqua è più blu.

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