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“Dove credi di andare”

Pecoraro - Dove credi di andare coverdi Gabriele Ottaviani

Avete presente quel tipo di racconto di casi personali in cui il narratore si mette in buona luce? Che lui gli ha detto così e così, e non ti pare? Eccerto. Quelli che si danno ragione da soli all’atto stesso del riferire: si vede benissimo che stanno mettendo le cose – che a te già non te ne può fregare di meno – come pare a loro. Che vuoi che ti dica, eh? E poi che tipo di cose raccontano all’amico-fidato? Cose che capitano assolutamente a tutti, tipo tradimenti compiuti o subiti, problemi di inculate sul lavoro, prese e inferte, qualche erezione mancata, un ‘Che dici, le telefono subito o aspetto domani?’ Roba così. Non veri cazzi loro, tipo ho fatto una rapina in banca, ho ucciso una prostituta sul raccordo, vengo da un altro pianeta, sai, ho preso le sembianze di Asdrubale, ma non sono Asdrubale e adesso te lo provo e giù la maschera, tentacoli eccetera. Affettano grande segretezza e supreme confidenze su cose del tutto ordinarie, noiosissime. I cazzi loro veri, che forse sarebbero pure interessanti, se li tengono per sé. Ma, cazzi miei a parte, sono perplesso perché da un po’ di tempo ogni persona che incontro sembra che non mi consideri più. Mi pare ormai di essere diventato un nulla per tutti. Anche per quegli sconosciuti dai quali uno compra, che so, una guarnizione da mezzo pollice, una presa stagna, una mezza forma di pane, un etto di prosciutto. Entro in un negozio di ferramenta e c’è gente lungo il bancone che parla fitto coi commessi e i commessi hanno l’aria di prestare la massima attenzione. Finché non arriva il mio turno: allora improvvisamente si distraggono, rispondono controvoglia, diventano scortesi e sembra che stia chiedendo loro oggetti assurdi, fuori produzione, obsoleti e stupidi. Questo accade praticamente ovunque vada. Entro dal panettiere, guardo il pane e faccio a mezza bocca: «Che pane prendo?». Il panettiere, che con tutti è gentile, subito mi dice: «Aaah, se non lo sa lei…» Vaffanculo stronzo, penso io. Insomma, sto slittando progressivamente verso una specie di non-esistenza. È come fossi decolorato, invisibile. E poi stasera spunta questo Alessandro… Boh, ma chi è? Passa un po’ di tempo e i miei piedi bagnati gelano. Non fa freddo, anzi. Però tira una brezza leggera che li fa ghiacciare nelle scarpe fradicie…

Funzionari, intellettuali, manager, artisti, avvocati, ingegneri: non sono né giovani né vecchi, sono uomini e si trovano dinnanzi a un punto di svolta, interpretabile da molteplici angolazioni, della loro esistenza, in una realtà quotidiana, spersonalizzante e del tutto priva di punti di riferimento che li costringe a indagini, sfide, necessarie prese di coscienza e di consapevolezza. Silver, Egidio e tanti altri si muovono fra Camere e stanze, Happy hour, Vivi nascosto, Il match, Farsi un Rolex, Rosso Mafai e Uno bravo, i titoli dei racconti, riusciti, intensi, limpidi, profondi, emozionanti, articolati, ricchi di livelli di lettura e chiavi d’interpretazione, affreschi efficaci della nostra società sempre più social e sempre meno solidale, dell’antologia, insignita del premio Napoli e del premio Berto e finalista al premio Chiara, che torna ora a disposizione di tutti coloro che vorranno leggerla in formato elettronico e che ha dato il la alla carriera letteraria di una delle voci più particolari della narrativa italiana, quella di Francesco Pecoraro, cui si debbono anche, per esempio, La vita in tempo di pace, Lo stradone, Questa e altre preistorie e Primordio vertebrale: Dove credi di andare, per Ponte alle Grazie, è da non perdere.

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“Lo stradone”

91GszYP6iLL._AC_UL436_.jpgdi Gabriele Ottaviani

Ho sempre cercato di immaginare la tortura…

Lo stradone, Francesco Pecoraro, Ponte alle grazie. Magnifico sin dall’illustrazione di copertina, di rara suggestione, ricca di riferimenti, livelli di lettura, chiavi d’interpretazione pure simboliche, valicando i confini dello spazio, del tempo e soprattutto del genere, per il tramite di una scrittura totale, ampia, densa, profonda, elegante, lirica, che ricorda, benché originalissima, certi passaggi di Zeichen e di Nucci, e che riesce a riprodurre sia il sublime che l’abietto con la stessa icastica e iconica forza rappresentativa, oltremodo vivida, il volume di Francesco Pecoraro è un disarmante e necessario ritratto del nostro tempo marcescente e marcio, della decadenza che come un rampicante avvelenato soffoca la bellezza attaccandosene alle carni un tempo turgide alla stessa stregua della veste mortale fatta recare come dono esiziale di nozze al nuovo amore di Giasone dall’ingiustamente ripudiata Medea. La nostra realtà è sempre più rabbiosa, violenta, invidiosa, meschina, cattiva, disperata, dalla crisi non ha saputo trarre opportunità, ha costruito nuovi muri, edificato nuovi fascismi. Eppure non c’è solo cupio dissolvi in questa prosa monumentale, c’è anche e soprattutto la consapevolezza delle basi da cui si deve ripartire: la storia, l’istruzione, l’umanità. Da non perdere.

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“Romanzo disumano”

romanzo disumanodi Gabriele Ottaviani

Potrei cominciare a eliminare lui, ad esempio.

Romanzo disumano, Alessio Pecoraro, Nulla die. Tutto è reale, e tutto al tempo stesso è assurdo. Dov’è la finzione? Dove risiede il vero? Cosa sta succedendo sul serio? Chi è, nel profondo, la voce che narra la storia, che mantiene viva e salda l’attenzione del lettore? Più che un romanzo, il libro di Alessio Pecoraro, quarantenne catanese dalla fervida inventiva e dalla felice vena, che si esprime in uno scrivere limpido e immediato, è un viaggio in una dimensione onirica e aspramente ironica, l’inseguimento di un acrobata che si muove sul filo tra farsa e dramma, attraverso incontri surreali e rocamboleschi. Interessante e originale.

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