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“La libertà all’improvviso”

di Gabriele Ottaviani

Era questo, allora, l’amore? Un dolore lancinante che ti attraversa il corpo…

La libertà all’improvviso, Évelyne Pisier, Carolin Laurent, Paginauno. Traduzione di Sabrina Campolongo. Scrittrice e politologa dall’infanzia à la Duras, nata a Hanoi, insignita con la legion d’onore, commendatrice delle arti e delle lettere, docente nelle più prestigiose università, scomparsa a settantasei anni da compiere nel duemiladiciassette, moglie di Bernard Kouchner, cofondatore tra l’altro di Medici senza frontiere, e dell’accademico Olivier Duhamel, amante di Fidel Castro, sorella di Marie-France, la Colette di Truffaut, l’amore di Antonine Doinel, Évelyne Pisier è un monumento all’autodeterminazione femminile, e non solo: questo testo magnifico e pluripremiato che arriva finalmente in Italia è il racconto della sua incredibile esistenza. Sublime.

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“Questo è domani”

di Gabriele Ottaviani

A ben guardare, nessuno dei personaggi di Penny Lane è “normale”: sono tutti almeno un po’ strani, dal banchiere che non porta mai l’impermeabile quando piove al pompiere che lucida a specchio la propria macchina; dall’infermiera che vende papaveri al barbiere che conserva foto di tutte le teste che ha servito. È un sogno infantile e surreale: forse, come osserva Mellers, “il senso di allucinazione riguarda questioni di identità piuttosto che non specificatamente di droga; ci si domanda che cosa, nelle memoria d’infanzia, sia reale e che cosa illusorio”. E tuttavia, Paul ripete che Penny Lane è nelle sue orecchie e nei suoi occhi, una sensazione uditiva che ritorna, una visione della mente, il sogno di un Eden che si può raggiungere, magari, con l’aiuto di qualche sostanza psicotropa. In maniera molto più evidente, Strawberry Fields Forever rimanda a un “trip”, dal fulminante inizio (“Let me take you down”) in cui, ancora una volta, John invita chi lo ascolta a una discesa nel profondo di sé, alla descrizione di Strawberry Fields come un luogo dove “niente è reale” e “non c’è nulla per cui stare in ansia”. Ma non basta: “la vita è facile con gli occhi chiusi, fraintendendo quel che vedi”, canta John, e se non fosse ancora chiaro che sta parlando di una visione della mente, prende le distanze dalle nevrosi del quotidiano e dalle ansie piccolo borghesi per la carriera e la realizzazione sociale con questi versi: “It’s getting hard to be someone / But it all works out / It doesn’t matter much to me” (“Diventa difficile essere qualcuno / Ma poi tutto si risolve / e a me non importa molto”). Da qui in avanti, il dettato si fa sempre più confuso, i versi diventano meno chiari, la musica crea un’atmosfera allucinatoria che suggerisce la discesa nell’inconscio, o meglio, lo sprofondamento oltre i limiti del conscio.

Questo è domani – Gioventù, cultura e rabbia nel Regno Unito 1956-1967, Silvia Albertazzi, Paginauno. Silvia Albertazzi, docente di Letteratura inglese a Bologna e autrice di numerosi saggi, dopo aver fra l’altro anche indagato con maestria e profondità la figura intensa e appassionante di Leonard Cohen, prende nuovamente per mano, in modo saldo e sicuro, con l’agile abilità che si deve alla sua chiara indole divulgativa, il lettore per portarlo in giro per quell’Inghilterra swinging che da un lato sarà poi per esempio raccontata da Ken Loach a partire dal suo esordio sul grande schermo con lo splendido Poor Cow e dall’altro si incaglierà nel liberismo sfrenato e inumano del thatcherismo, che frustrerà ideali e speranze: da non perdere.

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“La seconda occasione”

di Gabriele Ottaviani

Se vi domandassero un’opinione penso che dovreste essere preparata…

La seconda occasione, Edith Wharton, Paginauno. Traduzione di Daniela Marangoni, Rossella Venturi e Sabrina Campolongo, cui si debbono anche la cura del volume e la postfazione. Martin Scorsese lo ha detto e ribadito anche di recente, quando gli è stato fatto notare in maniera piuttosto improvvida, nella penultima edizione della festa del cinema di Roma, che lui realizzasse film esclusivamente imperniati su personaggi maschili: la sardonica e giustamente tagliente risposta del cineasta americano di chiare origini italiane è stata Beh, certo, perché L’età dell’innocenza non se lo ricorda nessuno… In realtà quello che lui ha definito il suo film più violento – cos’è un pugno dinnanzi allo strazio dei sentimenti? – e che è senza dubbio non solo il suo migliore ma anche quello in cui la sua mano è ancora più evidente nonostante le apparenze paiano ingannare e dire esattamente il contrario è tratto dal romanzo di una delle più grandi scrittrici non solo occidentali ma di tutta la storia della letteratura, Edith Wharton, che con la sua prosa chirurgica indaga l’umanità come nessun’altra mai e come testimonia questa raccolta di tre racconti che è una straordinaria occasione di conoscerla, scoprirla, riscoprirla e imbattersi nell’affresco vivido, implacabile e indimenticabile di tre protagoniste maiuscole, che rispondono, ognuna a modo loro, alla domanda delle domande: cosa accadrebbe se si fosse davvero liberi di essere quel che si è? Monumentale.

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“Scritti dal carcere”

di Gabriele Ottaviani

Mi devo calmare. Affrontali con dignità. Questa sì che è una parola: dignità. Non possono togliermi anche quella. Nudo come sono, trattato peggio di un animale.

Guidando uno dei più celebri scioperi della fame della storia contemporanea è morto – il cinque maggio, ei fu, del millenovecentoottantuno – ventisettenne, e davvero viene per certi versi da pensare a lui come a una star del rock: la sua figura si staglia ancora oggi monumentale, anche grazie allo splendido film di Steve McQueen di dodici anni fa in cui gli dona corpo e anima uno straordinario Michael Fassbender. Discriminato da sempre, nato in una famiglia operaia e cattolica di Belfast, entrato nell’IRA a diciott’anni e arrestato a ventidue senza prove a suo carico, Bobby Sands è l’autore di questi scritti per lo più inediti, per la prima volta tradotti in italiano, vergati di suo pugno sulla carta igienica e sulle cartine delle sigarette, introdotti in questa bellissima edizione di Paginauno curata da Riccardo Michelucci ed Enrico Terrinoni da Gerry Adams: Scritti dal carcere – Poesie e prose non solo si inseriscono a pieno titolo nel canone del genere della letteratura scritta pensando alla libertà quando di essa si è privi, ma hanno l’autorevolezza di una dichiarazione di poetica che abbraccia l’intero scibile e, soprattutto, l’umanità, con le sue istanze più nobili ed elevate.

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“Come la sabbia”

sabbiadi Gabriele Ottaviani

Quando si tratta di noi, e non degli altri, non sappiamo prevedere mai nulla.

Come la sabbia, Alice Rivaz, Paginauno. Traduzione e cura di Grazia Regoli. Amata da Annie Ernaux e Lea Melandri, all’anagrafe Maddalena Melandri, giornalista, attivista, saggista, insegnante e vero e proprio nume tutelare del femminismo, Alice Rivaz, splendida autrice elvetica che ha attraversato, avendo vissuto tra il millenovecentouno e il millenovecentonovantotto, pressoché tutto il secolo breve, preconizzando tempi e istanze, in questo suo volume, comparso per la prima volta sugli scaffali delle librerie nel millenovecentoquarantasei, narra dell’esistenza di una piccola élite di funzionari di un organismo internazionale a Ginevra nel millenovecentoventotto: fuori, al di là delle ampie vetrate della loro privilegiata enclave, la storia incombe e scorre, dentro ribolle un crogiuolo di speranze, passioni, attese, ansie, frustrazioni. Hélène Blum e André Chateney, personaggi formidabili e caleidoscopici, sono solo, se così si può dire, la punta di diamante: ottimo.

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“Il figlio”

Il-Figlio_SabrinaCampolongo_COPERTINAdi Gabriele Ottaviani

Quando si sveglia, la mattina dopo, è solo. È nudo. La testa gli pulsa di un dolore sordo che riconosce, la luce dalla finestra gli ferisce gli occhi. La bottiglia del whisky è appoggiata sul comodino accanto a lui, ne sono rimaste due dita. «Cazzo.» Si solleva su un gomito, dà uno sguardo al letto vuoto accanto a lui mentre si mette a sedere, si prende la testa tra le mani. «Cazzo.» Il bagno è vuoto, naturalmente. Mentre svuota la vescica a occhi chiusi alcune immagini della notte precedente si compongono dietro le palpebre. La consistenza dei piccoli capezzoli bruni di Alba nella bocca, il volto di lei chinato sopra il suo, i capelli che gli solleticavano il naso mentre lei si muoveva sopra di lui, ondeggiando avanti e indietro con il bacino contro il suo ventre. Alba. Dov’è finita? Quando se ne è andata? Non ricorda molto della nottata nel suo complesso. Spera di non essersi addormentato mentre stavano ancora scopando. Ricorda di aver fumato alla finestra, bevendo whisky. Era già solo, o lei stava dormendo? Aggrotta la fronte, cercando di concentrarsi. Un’ondata di nausea lo assale. Si appoggia con un braccio contro le piastrelle della parete di fronte, fissa dall’alto la sua urina schiumosa nella tazza del cesso, ma malgrado questo i conati non arrivano. Il capogiro passa. Tira l’acqua e va a sciacquarsi la faccia. Torna in camera, si guarda attorno. I vestiti gettati a terra, il portafoglio aperto sul pavimento. Si china a prenderlo scuotendo la testa. Già si dà del coglione sapendo cosa troverà. Invece i soldi sono tutti al loro posto, per quanto può ricordare, le carte di credito anche. Però qualcosa manca. Ricontrolla tutto, per sicurezza, svuota tutti gli scomparti. Lascia uscire una risata secca che si trasforma in una smorfia. L’odore del suo respiro gli dà un brivido di nausea.

Il figlio, Sabrina Campolongo, Paginauno. Sabrina Campolongo, che conosce a menadito l’arte della parola, e ne sa fare prezioso dono a tutti, torna in libreria proseguendo l’esegesi iniziata nelle sue precedenti e riuscitissime prove letterarie su temi che con ogni evidenza le stanno molto a cuore, che padroneggia con abilità e attraverso i quali sa comporre e tessere un dialogo fecondo con i suoi lettori: l’identità, la famiglia, le cose che restano e quelle che invece volano, i retaggi, le eredità, il talento, che non si sa da dove venga, ma ognuno ha il suo, ed è la radice del suo fascino, l’autodeterminazione. Tommaso è il classico figlio d’arte cui generalmente si guarda un po’ con invidia, un po’ con sufficienza, un po’ con disprezzo: perché è un privilegiato, perché non raggiunge il livello di eccellenza del padre di successo, perché non ha le idee chiare, non sa chi sia e non sa come relazionarsi con il resto del mondo, e in particolare con quell’uomo e con quell’idea di essere uomo che quest’ultimo rappresenta. Imparando a conoscerlo, però, Tommaso regala a tutti i lettori una formidabile esperienza: li porta infatti a conoscere meglio sé stessi. Da non perdere.

 

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“Il figlio perfetto”

71hTsvHMO0L._AC_UL320_ML3_.jpgdi Gabriele Ottaviani

Mama era brava a dare una spiegazione alle cose che facevano paura…

Il figlio perfetto, Catherine Chidgey, Paginauno, traduzione di Alessandra Patriarca. Due bambini si incontrano, in un tempo di morte, dolore, guerra e disperazione, hanno esistenze, riferimenti, radici differenti, eppure si trovano di fronte allo stesso panorama, che guardano ognuno coi propri occhi: le immagini della Germania del millenovecentotrentanove, già avviata verso la catastrofe, che si riflettono nei loro sguardi sono il punto di partenza per la costruzione della loro identità. A loro volta i due, Sieglinde ed Erich, sono però osservati: è un altro misterioso bambino, infatti, che ne racconta la vicenda, e la sua voce, cristallina, pare venire da molto lontano… Magistrale e magnetico.

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“Con la paura ci mangiamo la notte”

61KWSmvlMbL._AC_UY218_ML3_.jpgdi Gabriele Ottaviani

C’era un pensiero di dolore che non ne voleva sapere di restare confinato nei ricordi e che quel giorno era tornato per tormentarla. Era l’immagine di un uomo, capelli brizzolati e un lungo pizzetto, il fratello minore di suo padre: l’immagine del suo sorriso, che non era mai riuscito a tranquillizzarla, men che meno mentre le sollevava la gonna della divisa della scuola e le tirava giù le mutandine, fino alle ginocchia. L’aveva scoperta tutta, le aveva aperto le gambe, si era messo a guardarla. Erano soli in casa, lui avrebbe dovuto aiutarla a studiare. Yumiko non riusciva mai a ricordare dove fosse andata sua madre, che solo in casi eccezionali usciva, lasciandola sola. I libri aperti sui tatami le sfioravano una caviglia, lui stava inginocchiato di fronte a lei, con le mani ben salde sulle sue ginocchia e sorrideva. Yumiko sentiva chiaramente il rumore del suo cuore martellarle in gola. Le braccia intorno alla testa, i capelli davanti agli occhi, uno spiraglio aperto che le consentiva di vedere quella faccia, l’espressione eccitata. Il corpo, cui lei chiedeva di muoversi, imprigionato in uno stampo di pietra. Sentiva freddo in mezzo alle gambe, la sensazione del tatami sulla pelle nuda era strana, si ricordava di aver pensato che le ninfe dei boschi dovevano sentirsi così. «Hai ancora pochi peli, lì» le aveva detto in un sussurro e lei aveva fatto in tempo a vedere un brillio di saliva sul labbro inferiore di lui. «Mi piacciono le ragazze che hanno pochi peli, anche se neri neri. Apri ancora un po’ le gambe, voglio guardare mentre si apre.» Ma lei non ci era riuscita, non riusciva a comandare nessuna parte del suo corpo, provava, voleva obbedirgli, sapeva che sarebbe stato meglio farlo, ma non c’era niente da fare. «Allora te le apro io, sei una bambina cattiva e devo insegnarti che devi fare quello che ti viene chiesto.» Non sono una bambina, aveva pensato Yumiko, sono grande. Così aveva fatto forza sulle ginocchia e il sesso di lei si era dischiuso, lui aveva sorriso ancora e poi aveva mosso una mano e l’aveva toccata. «Ecco, vedi come si apre, lo senti? È bello, sono sicuro che ti piace.» Mentre parlava le aveva messo due dita dentro, spingendosi verso di lei, e lei aveva serrato ancora di più le braccia intorno alla testa, aveva chiuso gli occhi stretti ricacciando indietro le lacrime…

Con la paura ci mangiamo la notte, Raffaella Musicò, Paginauno. La metropoli tentacolare e spersonalizzante sembra non lasciare più spazio alla possibilità della costruzione di qualcosa di meno effimero di relazioni superficiali, il senso di comunità, rete salvifica di connessioni, appare come una chimera, nonostante i bisogni degli uomini e delle donne, in fondo, siano sempre i medesimi: amare, essere amati, venire stimati, lasciare un segno, non essere trasparenti, dati per scontati, soffocare il senso di frustrazione che dà un’esistenza che non somiglia a quella che si vorrebbe vivere ma che spesso e malvolentieri non si sa come riuscire a realizzare. Amedeo, Giulia, Yumiko, Elena e Roberta paiono non avere alternative alla solitudine, finché un giorno un accadimento imprevisto non incrocia i loro destini, e… Scritto con precisione chirurgica, il romanzo indaga le profondità dell’animo umano con perizia in ogni aspetto: da leggere.

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“Farley”

Farley-COPERTINAdi Gabriele Ottaviani

Farley appende il cappotto sull’attaccapanni, si liscia il vestito, appoggia accanto al muro il sacchetto con i regali che ha comprato. Il primo ad arrivare. Gli viene in mente che questa potrebbe essere la prima volta che è completamente solo, non solo nell’ufficio, ma di sicuro nell’intero stabile. Persino ai tempi in cui lavorava di notte o tornava qui dopo che il pub aveva chiuso perché non riusciva a tollerare l’idea di tornare a casa… c’era sempre qualcuno. In una stanza da qualche parte. Le sorelle nell’appartamento all’ultimo piano. Il sarto pazzo. Il pappagallo. O quella volta il giovane Slowey. Si sente quasi spaventato. Il buio palazzo silente attorno a lui. Il lungo corridoio. La sensazione di qualcosa che si aggira nelle stanze vuote dell’appartamento al piano di sopra. Quasi si aspetta di vedere il volto truccato di Jane che si affaccia come una maschera veneziana al di sopra della ringhiera: “Oh, eccola qua, signor Slowey, mi chiedevo proprio se potessi chiederle una mano…” Nessuna offesa per il fatto che l’abbia chiamato Slowey: che si trattasse di sistemare una presa di corrente o spostare un mobile, per Jane erano tutti il signor Slowey. Ora gli torna in mente il giorno in cui è andata in pensione – quanto gli era parsa vecchia allora – insegnava teatro in una scuola secondaria. Le due sorelle più anziane erano già morte e Chrissy era in una casa di riposo nel Meath. La solitudine di Jane dopo quel giorno. Si poteva vederla trascinarsi sulle scale dietro di lei, avvertirla nel modo in cui rispondeva al telefono al primo squillo…

Farley, Christine Dwyer Hickey, Paginauno, traduzione di Sabrina Campolongo. In libreria da oggi questo travolgente ed emozionante romanzo di una pluripremiata autrice irlandese dalla voce stentorea e unica il cui Tatty, ispirato alla sua difficile infanzia, è stato appena scelto come Unesco Dublin One City One Book 2020, il che significa che per un anno il libro sarà al centro di una campagna di promozione alla lettura che coinvolgerà l’intera città di Dublino (tra gli autori che negli anni sono stati scelti compaiono nientedimeno che Edna O’Brien, Roddy Doyle, Oscar Wilde, Flann O’Brien, Joseph O’Connor), conduce il lettore con mano sicura per le strade della capitale dell’Eire, mescolando con sapienza tutti i vari gusti che condiscono l’esistenza di ognuno, un filo sottile teso fra la lirica e il disincanto. Farley ha settantacinque anni, la mente è vispa ma il corpo è fragile. In una gelida notte di gennaio si sveglia ritrovandosi paralizzato riverso sul pavimento del bagno. Pensa dunque a come salvarsi, e nel frattempo ripercorre la sua normalissima, e dunque straordinaria, quotidianità. E… Da non perdere per nessuna ragione.

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“La nuova destra in Europa”

NuovaDestra_Copertinadi Gabriele Ottaviani

Con Dugin quindi, la Nuova destra in Europa – quella metapolitica, ovviamente – fa un salto di qualità, trovando un faro geopolitico, un modello statuale, e non tanto nei populismi al potere qua e là – che si barcamenano fra anime liberali e anime antiliberali – ma nella Federazione Russa. Ed è qui la differenza basilare fra de Benoist e Dugin: la metodologia. La Nouvelle droite francese ha da sempre incentrato la sua azione sulla prospettiva metapolitica. “Abbiamo sempre situato la nostra azione sul piano metapolitico o transpolitico, culturale e teorico allo stesso tempo; e questa è una vocazione alla quale non sapremmo rinunciare” spiegava de Benoist negli anni ’80, riconoscendo in Gramsci la qualifica di “teorico dell’egemonia culturale”: “Gramsci ha dimostrato che la conquista del potere politico passa attraverso la conquista del potere culturale”. Una prospettiva di lunghissimo corso – visto che inizia nel ‘68 – che verte nella costruzione di un contropotere culturale a quello imperante, da scardinare gradualmente – ieri marxista e positivista, oggi liberale, entrambi imbevuti di un economicismo radicale – senza entrare concretamente nell’arena politica e non prendendo posizione a favore di alcun partito, essendo i partiti strumenti ormai superati. Adesso dominano i mezzi di comunicazione, i giornali e le principali emittenti televisive e radiofoniche o addirittura intere piattaforme network, che non sono neutrali ma esprimono interessi di poteri economici più o meno velati, i quali stanno trasformando il mondo in un campo di battaglie ideologiche; dunque, se i media fanno una martellante campagna culturale in senso neoliberale ed economicista, è qui che bisogna intraprendere la battaglia delle idee per mezzo di un nuovo atteggiamento intellettuale.

La Nuova destra in Europa – Il populismo e il pensiero di Alain de Benoist, Matteo Luca Andriola, Paginauno. Il malcontento è sempre più diffuso. Sentendosi come corridori costretti a forsennati sforzi per restare nello stesso punto e non ruzzolare rovinosamente all’indietro, persa ormai del tutto ogni speranza di avanzamento e miglioramento, i popoli si affidano, anche perché dimentichi della storia, e dunque condannati alla ripetizione, al mito dell’uomo forte, che identifica un capro espiatorio a cui dare la colpa delle proprie manchevolezze: ecco il motivo per cui, anche se forse amplificato dalla grancassa mediatica, comunque avanza senza remore il populismo. In questo testo denso, ampio, dotto, ricco e divulgativo Andriola realizza un’esegesi importante. Da leggere.

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