di Gabriele Ottaviani
Dario Pontuale è l’autore del volume La Roma di Pasolini: Convenzionali ha il piacere di intervistarlo.
Chi è Pasolini per lei?
Sembra banale, però un raro esempio di coraggio e onestà intellettuale. Coraggio e onestà portate fino in fondo, fino alle estreme conseguenze: senza alibi, senza sconti, senza accordi. Coraggio e onestà pagate a caro prezzo, punite senza alcuna pietà.
Cosa rappresentava Roma per Pasolini?
Un punto di arrivo, un luogo affascinante nel quale, almeno all’inizio, cercò una fuga assieme alla madre, un lavoro, ma rapidamente divenne altro. La città dove “perdersi” e scoprire un certo tipo di umanità che viveva in borgata, cresciuta secondo leggi e costumi ben lontani dalla logica comune. Scoperta che, ben presto, si dimostrò epifanica.
Com’è cambiata Roma nel tempo, in particolare negli ultimi decenni?
Roma è la mia città, qui sono nato e vivo nonostante tutto; nonostante l’infinito affetto e la crescente delusione. I segni del cambiamento sono evidenti e definirlo degrado sarebbe qualunquistico. Roma è cambiata perché sono cambiate, in peggio, le persone che la vivono. È aumentata esponenzialmente la loro indifferenza e il resto è tutto tristemente consequenziale. Serve cura per città simili e la cura, assieme all’attenzione, sono ormai introvabili.
Quali sono i principali problemi della città?
Lo ripeto: la mentalità di chi la vive. Chi sente le “cose” come proprie le salvaguardia spontaneamente dall’incuria, chi invece le “sfrutta” poco si interessa di cosa verrà dopo o se degenereranno.
Roma è compresa meglio da un romano di nascita o d’adozione?
Credo possa essere compresa da chiunque la voglia davvero comprendere, non è una città che si nasconde o non si “offre”. Un romano di nascita forse possiede una connaturale abitudine al “ritmo”, alle distanze, alle dinamiche millenariamente inspiegabili. Ciò non è una forma di accettazione, soltanto una tacita forma di ossequio.
Qual è la peculiarità prima di Roma?
La luce.
Le storie romane di Pasolini avrebbero potuto essere ambientate altrove?
Dubito. Ciò che Pasolini racconta è qualcosa di strettamente legato alla città, ai suoi costumi, gusti, modi di dire. Sottrarre anche uno di questi fattori dai visi, voci, gesti dei personaggi pasoliniani, corrisponderebbe a privarli dell’anima, sarebbe come privare attori di teatro di un fondale necessario.
Roma, Pasolini e il cinema: che connubio è?
Indispensabile quanto essenziale, un palcoscenico naturale. È il risultato diretto di come l’idea si trasformi in immagine, di quanto un linguaggio artistico si sviluppi in altro linguaggio senza perdere l’essenziale concetto di partenza.
Esistono eredi di Pasolini?
Sfortunatamente non credo di intravedere così spiccate qualità di analisi, soprattutto nessuna coraggiosa e onesta visione del futuro. Mancano sguardi che sappiano arrivare in profondità.
Esiste ancora una tradizione romana in qualche ambito?
Vorrei rispondere sì, ma non sono così sicuro. Esistono micro realtà che non chiamerei però tradizioni, certamente esiste, anzi resiste ancora una “cultura romana” intesa come approccio all’esistenza. Purtroppo la tradizione necessita di memoria e la memoria questa città la via via svendendo.