di Gabriele Ottaviani
Questa volta mi girai nella direzione opposta e contemporaneamente allungai entrambe le mani. Per un brevissimo istante sentii carne sotto le dita, ma lei era troppo rapida, fuori dalla mia portata prima ancora che riuscissi a vederla. «Mi hai quasi preso! Caspita se sei svelto!» La sua pelle era viscida, come se avessi sfiorato un cadavere. Mi corse un brivido lungo la schiena, e mi sfregai la mano sulla camicia, per liberarmi di quella sensazione macabra. «Com’è stato, essere ricoperto di sanguisughe? Le sentivi, quelle creaturine schifose che ti aspiravano il sangue dai pori? Avevi la febbre così alta che scommetto non hai neppure avvertito quei loro dentini che ti segavano la pelle, vero? Sembravano tante pere mature quando tuo zio Edward te le ha staccate di dosso e le ha rimesse nel vaso. Giurava e spergiurava che ti avevano tolto il male dal corpo, e immagino avesse ragione; guardati ora!» «Non è stato lo zio a curarmi», dissi a voce così bassa che temetti non mi avesse udito. «No? E chi, allora? Non sei mai stato così bene. Non mi azzarderei a dire che sei guarito, ma stai sicuramente molto, molto meglio.» «Tu mi hai chiesto se mi fidassi di te, e io ho detto di sì.» «Ah, davvero?» «E poi mi hai fatto qualcosa.» Rise, di nuovo. «Qualcosa, sì. Forse. Forse l’ho fatto.» Ripresi a camminare per la stanza, scrutando ogni ombra, in cerca di tata Ellen. La sua voce pareva raggiungermi da ogni direzione anziché da un punto in particolare. Non era lontana, però; la sentivo vicina. Il filo che ci teneva legati era tesissimo. Chiusi gli occhi e mi concentrai su quell’immagine, tirando il filo come una lenza, con la pura forza della volontà, fino a colmare la distanza che ci separava. Tata Ellen proruppe in un’altra risata, così forte che fui certo si sarebbero svegliati tutti.
Dracul – Come tutto ebbe inizio…, Dacre Stoker, J. D. Barker, Nord, traduzione di Francesco Graziosi. Il cognome è lo stesso, e non si tratta di omonimia: Dacre Stoker è discendente di quel Bram a cui si deve il ritratto di una delle figure più inquietanti e al tempo stesso fortunate, data la persistenza nell’immaginario collettivo, della storia della letteratura e non solo, un personaggio leggendario descritto in un testo per cui forse la definizione di romanzo non è del tutto adeguata. Temendo di non arrivare vivo al sorgere del sole, quando sarebbe stato al sicuro perché la creatura della notte per eccellenza non avrebbe più potuto fargli alcun male, Bram infatti si barrica, almeno così ci raccontano i due autori, che con prosa monumentale danno vista a un testo riuscitissimo, solenne e coinvolgente, e inizia a scrivere, perché non se ne perda memoria né testimonianza, tutto quello che è stato: ogni cosa prende le mosse dall’epoca in cui Bram è un bambino di cinque anni di salute cagionevole il cui unico conforto è assieme alla sorella la compagnia della tata. Dublino però è infestata da omicidi terribili, e la governante sovente esce di soppiatto dalla loro magione: poi d’un tratto svanisce nel nulla, e con lei la serie di delitti. Dopo anni Bram, ormai guarito, la vede e la riconosce: non le è cresciuto un giorno. Impossibile, si ripete. E infatti è solo il principio di un vero e proprio incubo… Ottimo.