di Gabriele Ottaviani
Le scuse si erano protratte per tutta la serata. I proprietari del formaggio erano stati clementi. Figuratevi. Sono solo bambini. Il padre di Kamran aveva offerto una cifra pari al triplo del valore del formaggio in tessere e contanti, e si erano spartiti la porzione rimasta spalmandola sui cracker. Bambini selvaggi. Nessuno aveva pensato a cos’altro avrebbero potuto fare là dentro, e così avevano continuato finché non avevano compiuto quattordici anni, poi quindici, e le sopracciglia di Sheila si erano assottigliate e le sue labbra erano diventate più carnose, le gambe di Kamran si erano allungate e le madri avevano cominciato a invidiare quel bel figliolo. In quegli anni nessuno parlava di sesso. I media cercavano di dirottare gli ardori dei maschi sulla guerra e di soffocare le femmine sotto strati di stoffa. Ma i giovani contrabbandavano riviste, fotografie, insegnamenti, e le cantine, le dispense e gli spacci della città fremevano dei goffi tentativi di adolescenti autodidatti.
Gli editor del New York Times Magazine il loro mestiere lo conoscono, eccome, e hanno selezionato le opere di Margaret Atwood, Mona Awad, Matthew Baker, Mia Couto, Edwidge Danticat, Esi Edugyan, Julián Fuks, Paolo Giordano, Uzodinma Iweala, Etgar Keret, Rachel Kushner, Laila Lalami, Victor LaValle, Yiyun Li, Dinaw Mengestu, David Mitchell, Liz Moore, Dina Nayeri, Téa Obreht, Andrew O’Hagan, Tommy Orange, Karen Russell, Kamila Shamsie, Leïla Slimani, Rivers Solomon, Colm Tóibín, John Wray, Charles Yu e Alejandro Zambra, ventinove formidabili voci narrative capaci, ognuna a suo modo, di raccontare l’orrore più imprevisto e luttuoso degli ultimi tempi, la pandemia: è così venuto alla luce Decameron Project, in Italia per NN, uno sguardo sul lato oscuro dell’angoscia e un cammino lungo il crinale della speranza.