di Gabriele Ottaviani
Poco dopo tornò suo marito. Simone provò ad avvicinarsi, ma non ebbe il coraggio di rivolgergli la parola. A cena rimasero in silenzio, con la tv spenta. Si sentiva il rumore delle forchette sui piatti. Suo marito annusò l’aria. «Ma cos’è questo schifo di profumo?» Lei disse che aveva comprato un nuovo arbre magique alla vaniglia per la cucina. Simone sorrise. La tensione delle spalle di suo marito sembrò sciogliersi un po’. La sera Simone non uscì: prima rimase in camera ad ascoltare musica, poi si sedette nella poltrona piccola accanto al divano dove lei e suo marito guardavano Ballarò. Erano tutti e tre in pigiama – non succedeva da anni. Verso le dieci e mezza, lei andò in cucina e, mentre preparava tre tisane, sentì che Simone e suo marito stavano scambiando qualche parola. Quando tornò in salotto con le tazze fumanti, stavano sorridendo imbarazzati. Si augurarono la buonanotte e andarono a dormire. In camera da letto, dove avevano concepito il loro unico figlio, entrava l’aria tiepida della primavera. Suo maritò si lamentò ancora un po’, quindi si girò su un lato e provò a dormire. Respirava rumorosamente. Lei rimase con gli occhi aperti, a guardargli la schiena. Simone aveva qualcosa di lui – la linea slanciata, le mani, la forma delle orecchie, il naso piccolo, l’andatura, e quel particolare modo di guardare le persone di sghembo, con gli occhi socchiusi – e aveva qualcosa di lei – gli occhi, il sorriso, il colore dei capelli, l’umorismo un po’ naif. L’avevano fatto loro: tutto quello che lui possedeva, ogni singolo cromosoma, gliel’avevano regalato lei e suo marito – metà lui e metà lei. Cosa avevano in comune l’irruente virilità di suo marito, l’ostinazione di lei, e la dolcezza caparbiamente arresa di Simone? E cosa stavano negando, tutti e tre, con tanta forza?
La gente non esiste, Paolo Zardi, Neo. Sei minuti, Non del tutto, non per sempre, Futuro anteriore, È di nuovo famiglia, Il giardino incantato, Non accade per amore, Ai tempi del nulla, L’urlo, In metropolitana, linea verde, Milano, La lotta, Un silenzio che non è assoluto, Parlami dei finali, Per Grazia Ricevuta, Cellule, Sesto Stato, Il resto del corpo: l’antropometria è lo studio statistico dei caratteri misurabili del corpo umano. Ma qui in realtà è, come la filosofia insegna, l’uomo in quanto tale a essere misura di tutte le cose. Dei sentimenti. Delle azioni. Del bene. Del male. Ogni vita è un caleidoscopio di punti di vista, di prospettive che si intrecciano, si intersecano, si incrociano, si elidono, confliggono, si feriscono e demoliscono per poi ricostruire, forse, quando possono, una realtà e migliore. Uomini e donne caratterizzati nel dettaglio sono i protagonisti di questi travolgenti, dolorosi, intimi, avvincenti ed eleganti racconti da non perdere. […] La storia della filosofia, specie da quando i pensatori hanno abbandonato la natura come centro della propria indagine per intraprendere un viaggio di esplorazione che non senza difficoltà li ha portati col passare del tempo via via più vicini alle viscere dell’anima dell’uomo, di quella sua immateriale eppure concretissima facoltà ancora non del tutto spiegata o spiegabile ma che è alla base delle azioni che compie quotidianamente, è piena di esempi attraverso i quali chiunque si sia cimentato con l’argomento ha tentato di spiegare quale sia, a suo dire, e soprattutto perché, l’esigenza che muove il mondo. Perché facciamo ciò che facciamo? Perché sembriamo sempre in cerca di qualcosa di irraggiungibile, se non addirittura di inesistente? Secondo Paolo Zardi, che scrive un’opera densa, profonda, complessa, articolata, variegata, leggibilissima e piena di chiavi di lettura, pare di poter dire che alla base di tanti comportamenti, che sul primo scalino dell’ascesa da percorrere per raggiungere la consapevolezza, ottenibile solo guardandosi dentro, ci sia la coscienza dell’imperfezione. Ammettere la possibilità dell’errore per andare avanti, ma non semplicemente – ammesso che si possa dire che sia facile – perdonando e perdonandosi. Quanto male inutile fanno il senso di colpa e il rancore, quanta debolezza c’è nella passione? Matteo è in vacanza con la famiglia. D’un tratto, improvviso, squilla il telefono. È la voce di un padre che in tutta la sua vita ha visto un numero di volte per cui non serve nemmeno che la mano che le conta abbia tutte le dita, è la voce di un uomo che gli chiede di fare una cosa, è l’inizio di un viaggio che lo porterà lontano, ma molto più all’interno di sé che non geograficamente parlando… Maestoso. […] Candidato al Premio Strega, è un libro semplice, asciutto e potente. Bello, in una parola. Soprattutto per l’equilibrio e la qualità della scrittura, che non dimentica l’antica lezione dell’ironia. Chi ama leggere vi vedrà molti riferimenti, in primis a quel McCarthy che è diventato il nume tutelare di quel genere di volumi che affondano le proprie radici nel futuro. Un avvenire non troppo lontano, ancora riconoscibile anche se indefinito, che parla di noi contemporanei, mette nero su bianco tormenti e paure. Una catastrofe privata che si rispecchia nell’ambiente circostante, costringendo a un repentino cambio di prospettiva e visione. Il protagonista ha una moglie, che cade in coma, e dunque non si può spiegare. Non può argomentare il perché avesse una relazione clandestina. Il dovere dell’assistenza, l’amore, lo squallore, la crisi, della materia e dello spirito, e le opportunità che essa può regalare. Ma non senza un prezzo, caro. La difficoltà di andare avanti, mentre ti sembra che ogni passo che fai ti inchiodi due metri indietro. Così scrivevamo rispettivamente in merito ad Antropometria, La passione secondo Matteo e XXI secolo, alcune fra le significative e precedenti prove narrative per Neo di Paolo Zardi, eccellente scrittore apprezzato sia dal pubblico che dalla critica e dai colleghi (basti pensare a Giancarlo De Cataldo e Valeria Parrella, quest’ultima autrice di una perfetta definizione della prosa di Zardi, antidoto contro la grettezza, che lo nominarono per l’edizione di quattro anni fa del più prestigioso premio letterario italiano, nato dalla volontà di Maria Bellonci e vinto in quell’occasione da Nicola Lagioia), caso non frequente in un ambiente frequentato per lo più da addetti ai livori (e no, non è un refuso…), che torna in libreria raccontando con potenza icastica e magistrale la caleidoscopica molteplicità delle sorti umane, in una tragicommedia corale che sin dall’efficace copertina pare rievocare suggestioni di certi film di Daves e Zinnemann. Il passato è sbiadito, il presente liquido e precario, il futuro un’incognita: come naufraghi a un miserrimo relitto, uomini e donne – individui soli ma immersi nel contesto della società, entità collettiva che sovrasta le persone ma non ne annulla l’unicità, perché La gente non esiste, la gente, come la storia, siamo noi, nessuno si senta escluso, quando attribuiamo ad altri colpe non possiamo dimenticarci che per gli altri gli stranieri siamo noi, che talvolta siamo estranei finanche a noi stessi – si aggrappano a parvenze di reale in cerca di sicurezza. Nella neghittosa e torpida quiete di corpi sulla spiaggia Zardi si muove agile e travolgente, di racconto in racconto, di ombrellone in ombrellone, descrivendo chiacchiericci, aneliti, delusioni, frustrazioni, meschinità, lievemente, così tanto da riuscire a raggiungere le viscere (del resto, nulla, si sa, è più profondo della superficie…), con una prosa che sa di un dettaglio in apparenza insignificante fare la chiave di volta che squarcia il velo dell’ipocrisia: da non lasciarsi assolutamente sfuggire.