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“Rosso americano”

31SbmX66KKL._SX322_BO1,204,203,200_.jpgdi Gabriele Ottaviani

Quel paradiso infantile avrebbe ceduto il posto al paradiso degli uomini, cioè il paradiso delle ghiandole endocrine, dei brufoli e delle creme antibrufoli, il paradiso dell’oggettizzazione delle donne, il paradiso delle seghe circolari e della pubertà e degli esplosivi fatti in casa, il paradiso dei fucili ad aria compressa e dei giornaletti porno e degli improvvisi cambiamenti d’umore e degli alcolici bevuti di nascosto. Sua madre propendeva sì per ridipingere la stanza, però color lavanda, con grande irritazione di Dexter, il quale (stando alla rievocazione di Mavis Elsworth dopo il fatto) sosteneva che il lavanda fosse il colore dei f-f-f-finocchi, M-m-mamma, delle c-checche. Se la madre gliel’avesse fatta ridipingere color lavanda, lui si sarebbe trasferito in cantina! Sarebbe scappato di casa! Protestò, piagnucolò, sua madre non capiva, non capiva – e come poteva capire ciò che durante quelle cene surgelate restava inespresso, ossia che lì alla scuola privata Hex apparteneva a un manipolo di giovanotti decisamente singolari ed eletti, come poteva capire che Hex era un giovane patriota, un difensore della Costituzione, in particolare un sostenitore del Secondo Emendamento…

Rosso americano, Rick Moody, La nave di Teseo. Traduzione di Sergio Claudio Perroni. Hex ha una mamma. Che sta male. Molto. E quindi lui deve tornare a casa. Quel luogo da cui si è allontanato. Da cui è uscito. E non è rientrato. Perché lei, che la vita gli ha dato, ha bisogno di lui. Che in merito alla propria esistenza non ha affatto le idee chiare, e invece è obbligato dalla furia degli eventi che nell’arco di due giorni lo assalgono come fiere avide e bramose, assetate di sangue, a prendere decisioni strazianti. La nostalgia è il dolore del ritorno, e questo libro ne è intriso fin nella più intima fibra: devastantemente magnifico.

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“Racconti di demonologia”

31Hi3ErSQaL._AC_US218_.jpgdi Gabriele Ottaviani

No, all’operatore non interessa e riaggancia, e Lily si volta a guardare dentro la macchina, dove Thea gioca con la sua bambola, dove Thea fischietta placidamente e amabilmente. Il traffico è intenso. Riprova col 911, e s’imbatte nella medesima trafila, nella stessa conversazione; e l’operatore rinnova la domanda, Come fa a sapere che si trattava di un’arma automatica? e le chiede anche come può identificare l’autore del reato se in quel momento era rannicchiata sul sedile posteriore e usava il corpo come scudo per la figlia e le chiede anche per quale motivo poi si era fermata al McDonald’s per prendere il succo, quando è risaputo che lì ci trovi solo Coca Cola, Coca Light e Sprite. Come se la storia di Lily fosse un questionario e l’operatore del pronto intervento uno di quei ragazzini sfaccendati che cercano il pelo nell’uovo della trama e che però sono molto più interessati a scambiarsi occhiate d’intesa con l’amichetta dell’ultima fila. Quando capisce che il colloquio è diventato una sfida, Lily riaggancia, e allora non le resta che rimettersi in macchina per andare da Evan a scuola, sebbene il modo in cui il suo piede trema sull’acceleratore lasci intendere che non sia un bel momento per guidare. “Thea, mi farebbe molto piacere se venissi a sederti qui davanti con me.” Come per incanto, il tono ansioso della sua voce finalmente compie il miracolo, e Thea, docile e ubbidiente, si alza facendo leva sul bracciolo tra i sedili e ruzzola su quello davanti. Si appoggia a Lily mentre si dirigono verso Melrose. Per un attimo Lily ripensa, per l’ennesima volta, alle valigie. Dove sarà adesso suo marito? Era il caso di chiamarlo? Aveva fatto tutto il possibile, lei, per rendere suo marito felice e per metterlo a suo agio? Una volta, lei, si era fatta sparare il silicone nelle labbra. Una volta, lei, se l’era scopato in un androne. Dovrebbe magari rifarsi le tette? Dovrebbe forse mollare il cinema una volta per tutte? Dovrebbe forse crescere i suoi bambini in un’altra città e condurre una vita tranquilla? Dovrebbe forse smetterla di usare i suoi latinismi da avvocato? Dovrebbe sussurrare l’ultima delle formule coniate per promuovere i suoi fi lm? Dovrebbe forse scendere da quel nastro trasportatore, dove ha passato anni imprigionata in una lotta metafisica e puramente immaginaria con una bionda, una docile bambolina snodabile, una bambola con tanti vestiti sintetici? Dovrebbe magari farsi una passeggiata tra queste strade? Dovrebbe magari uscire dalla macchina, uscire dalla città dove le corsie preferenziali riservate alle macchine per il trasporto collettivo sono sempre vuote, dove in ogni veicolo c’è una radio che strilla a tutto volume e automobilisti solitari intonano lagne e arie sulle cadaveriche melodie delle stazioni rock, arie che raccontano di una città in cui la vita delle persone è influenzata dai kolossal fatti su misura per ogni fascia di pubblico? Sono equamente ridicole tutte queste domande?

Racconti di demonologia, Rick Moody, La nave di Teseo. Traduzione di Licia Vighi e di Sergio Claudio Perroni. Prefazione di Simone Barillari. I turbamenti degli uomini e delle donne sono anche turbamenti della società in cui vivono, del contesto nel quale si muovono e cercano disperatamente di raggiungere quel benessere che prima ancora che materiale, anche se quella è la più pervia, e dunque la più sbagliata, a percorrersi delle strade, deve essere dell’animo, per mettere a tacere la voce dell’inadeguatezza e dell’insoddisfazione, e viceversa, il riverbero è reciproco: in questa antologia formidabile Moody indaga con un acume che ha davvero pochi eguali la crisi della borghesia e dei suoi membri. Emozionante, coinvolgente, commovente, induce alla riflessione e alla meditazione.

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“Tempesta di ghiaccio”

4115+YjmW7L._AC_US218_.jpgdi Gabriele Ottaviani

Così com’erano arrivati, gli Hood sparirono. Rannicchiati sui sedili anteriori della Firebird, parabrezza appannato, sbrinatore al massimo, in silenzio. Parcheggiati sul vialetto. Circondati dalle auto del vicinato, Cadillac, Eldorado, BMW 2002, una AMC Matador e una Plymouth Duster. Maggiolini, Maggiolini e ancora Maggiolini, quella linea creata col lavoro di schiavi. Auto che giravano lentamente sulla piazzola di manovra degli Halford, poi ci ripensavano, temendo di restare impantanati per via del maltempo, e proseguivano pian piano nella fanghiglia fin sulla Valley Road per parcheggiare sul ciglio della strada. Il chiocciolio basso di auto costose che girellavano oziosamente. Un pizzico di storia. Il key party era nato parecchi anni prima, in un ambiente un po’ più permissivo. È un’ipotesi, s’intende. Era diventato di moda sull’onda dell’erotismo hippy e delle orge di intellettuali francesi in appartamenti striminziti di professorini malvestiti. O tra tipi pericolosamente promiscui, che non facevano distinzione tra i sessi o non badavano a chi scivolava nelle acque tiepide di paludi e grotte dell’amore fi ocamente illuminate. Ma come tante idee ragionevoli che sembrano meno brillanti alla luce cruda della diffusione generale, il key party venne ben presto esportato nella terra degli arbusti ordinati e della Junior League, vale a dire negli Stati Uniti.

Tempesta di ghiaccio, Rick Moody, La nave di Teseo. Traduzione di Tilde Arcelli Riva. La famiglia Hood è apparentemente perfetta. E dunque basta un niente per mandarla al tappeto: una crepa nella superficie, e si affoga nel lago ghiacciato. L’ondata di gelo del millenovecentosettantatré sferza l’America con inusitata violenza: New Canaan, Connecticut, è la quintessenza della serenità, ma, come tutte le Peyton Place che si rispettino, è un coacervo di squallori, miserie, dolori e, a vario titolo, infedeltà. La tempesta più deflagrante è quella dell’anima, che si irradia dalle imperfezioni di Benjamin, Elena, Wendy e Paul fino a coinvolgere e sconvolgere tutta la sorniona e puritana comunità: potentissimo e altrettanto raffinato.

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“Il velo nero”

31oNtQtrBFL._AC_US218_.jpgdi Gabriele Ottaviani

Non mi ero mai reso conto che sarei potuto diventare di nuovo felice semplicemente tagliando cartoncino Bristol, per poi incollarlo. Ma era bello tornare a essere felici per qualcosa. Alcuni di noi risposero alla cura, altri no. Diana, il fantasma, col passare delle settimane divenne sempre più volubile e ai nostri occhi cominciò a ingigantirsi un lato nascosto del suo carattere: era una scatenata fan degli Yankees. Era da un sacco di tempo che ascoltava le radiocronache delle partite degli Yankees, fin da quando era bambina, e conosceva la media dei punteggi e delle basi conquistate da ciascun giocatore della squadra. Di solito gridava quando in televisione c’era la partita e gli Yankees passavano in vantaggio. Era forse stato il gruppo di terapia comportamentale a causare tale cambiamento in lei?

Il velo nero – Memoir con digressioni, Rick Moody, La nave di Teseo. Traduzione di Licia Vighi. Postfazione di Simone Barillari. Uno dei più importanti scrittori nati sotto l’ombra e l’egida della bandiera a stelle e strisce in quel secolo che la storiografia ha chiamato breve ma che in realtà non è stato affatto per quel motivo privo di accadimenti e di ribalderie, anzi, viene alla luce cinquantasette anni fa nel New York Hospital di Manhattan, si trasferisce con i suoi da piccolissimo nel Connecticut, laddove ambienta moltissime storie, fra cui la cronaca bruciante del completo disfacimento di due nuclei familiari suburbani nel corso della fine di settimana della sentitissima – con buona pace dei poveri tacchini – festa del Ringraziamento del millenovecentosettantatré che prende il nome di Tempesta di ghiaccio, che l’ha imposto definitivamente all’attenzione degli appassionati e dei critici della letteratura, è stato allievo di John Hawkes, Robert Coover e Angela Carter, alcolista, drogato, docente, compila il Futuro dizionario d’America, ha vinto il Premio Fernanda Pivano e non solo, è stato definito cronista dell’angoscia suburbana ma in realtà nella sua prosa splendida e scintillante, caleidoscopica e labirintica c’è molto di più, in una stessa frase sa cogliere la solennità del tragico e l’immarcescibile esuberanza del comico, è bello e dannato come un personaggio di Gus Van Sant e si chiama Rick Moody. E in questa autobiografia parla di sé. E dunque della sua personale battaglia contro l’inesorabile fragilità della condizione umana che tutti universalmente coinvolge e attanaglia, risalendo la china del passato della propria famiglia, antica come il paese in cui vive e affonda le radici, a partire dalla vicenda dell’avo che uccise senza volere un amico e dunque trascorse il resto intero dell’esistenza velandosi il volto. Da non perdere per nessuna ragione.

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“Hotel del Nord America”

KctohKQdi Gabriele Ottaviani

Ti sei mai svegliato nel cuore della notte in un hotel sprovvisto di orologio avvertendo la desolazione dell’essere senza tempo, del vivere fuori dal tempo, dell’espiatoria stazione di sosta fuori dal tempo? Ti sei mai svegliato in questo stato rendendoti conto di essere nel bel mezzo di una sequela infinita di albergacci e che, sebbene avessi la possibilità di approdare a un appartamento – nell’area metropolitana di New York, mettiamo –, la tua vita, in soldoni, era diventata una successione di hotel, e che tu eri diventato così perché eri uno dei più apprezzati recensori di un sito di valutazione di hotel con zero sicurezza del posto, pochissimi soldi e prospettive incerte? Ti sei mai svegliato nel cuore della notte in un hotel senza orologio dove eri arrivato direttamente dall’aeroporto, all’alba, con alle spalle non più di un’ora o due di sonno, con addosso il puzzo acido del volo notturno, solo per scoprire che l’albergo era gravemente allagato dopo giorni di piogge abbondanti, e che quando hai dovuto spingere con la mano la porta automatica rotta dell’hotel ti sei ritrovato a sguazzare in un lago fino alla reception dove una sorridente danese bionda ti ha rivolto un cenno con la mano dicendo (hai ipotizzato) qualcosa in danese sull’inondazione, finché non le hai fatto presente che non parlavi il danese, al che hai baldanzosamente proseguito perché il tuo vero amore e compagna di vita, con il nome di Tanagra in questo viaggio, era già in camera, dal momento che aveva preso un volo precedente, dalla Germania, dove aveva fornito una consulenza a un gruppo di investitori nel settore nuovi media, con i quali l’avevi messa in contatto tu? Ti sei mai svegliato con il fresco trauma ancora in mente, in una camera che non era proprio una camera, più una specie di fasciatoio per adulti che pareva potersi ripiegare – due tavolacci pieghevoli, in realtà, uno sopra e uno sotto, con quello di sotto che diventava la poltrona per la scrivania –, con il lavandino subito a fianco, attorno al quale poteva essere tirata una tenda ammuffita in modo da ottenere un minimo di privacy quando ti sedevi sul water incastrato nell’angolo vicino alla doccia per evacuare dopo un movimento dell’intestino, con pure qualche perdita di sangue, prima di sciacquarti con una di quelle doccette che spruzzava acqua per tutta la camera e che aveva lo scolo nel pavimento accanto al letto, tanto che volendo fare la doccia direttamente dal letto avresti potuto davvero? Ti sei mai svegliato in un hotel di questo tipo, sbalordito dal fatto che addirittura pagavi per soggiornarci?

Reginald Edward Morse è praticamente Margherita Buy in Viaggio sola, mutatis mutandis. Ovvero che lavoro fa? Gira per alberghi. Sempre disperato. Sempre insoddisfatto. Totalmente inventato. E ne valuta le condizioni. Insomma, un recensore. E non si ferma davanti a niente, dal più squallido dei motel al più lussuoso dei resort: lui c’è. Ed esprime la sua opinione. È per questo che il sito per cui lavora, o meglio, di cui è una delle punte di diamante (ValutaIlTuoSoggiorno.com), va così bene. Perché lui parla chiaro. Di lui ci si può fidare. Almeno sul lavoro. Non si limita però solo a criticare, a dire se la trapunta è soffice o il pavimento pulito. Già che c’è approfitta anche per raccontare la sua vita. Procedendo per frammenti. Matrimonio. Paternità. Tradimento. Nuovo amore. Finché un giorno non scompare. Rick Moody è incaricato di fare la postfazione alle sue opere complete, che finiranno nei cassetti degli hotel insieme alla Bibbia, introdotte da uno scritto di Greenway Davies, presidente dell’Associazione nordamericana albergatori, e si mette sulle sue tracce. Hotel del Nord America, Rick Moody, Bompiani, traduzione di Licia Vighi. Geniale come Updike, potente, dolente ed esilarante.

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