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“Corpi magici”

di Gabriele Ottaviani

Il tema dello sguardo, o meglio, della sua problematizzazione, è centrale in pressoché tutte le narrazioni fantastiche.

Corpi magici – Scritture incarnate dal fantastico alla fantascienza, Anna Pasolini, Nicoletta Vallorani, Mimesis. Angela Carter, Jeanette Winterson, Bernardine Evaristo, James Tiptree Jr., Octavia Butler e Nora K. Jemisin: nomi straordinari, il gotha della letteratura, assieme a Margaret Atwood, Joyce Carol Oates, Anne Tyler (Se mai verrà il mattino, L’albero delle lattine, Una vita allo sbando, Ragazza in un giardino, L’amore paziente, Una donna diversa, Il tuo posto è vuoto, La moglie dell’attore, Ristorante nostalgia, Turista per caso, lezioni di respiro, Quasi un santo, Per puro caso, Le storie degli altri, Quando eravamo grandi, Un matrimonio da dilettanti, La figlia perfetta, Una spola di filo blu), Joan Didion (Prendila così, Diglielo da parte mia, Democracy, Miami, L’anno del pensiero magico, Blue nights, Run river), Annie Proulx (Cartoline, Avviso ai naviganti, I crimini della fisarmonica, Gente del Wyoming, Quel vecchio asso nella manica), Elizabeth Strout (Resta con me, Olive Kitteridge, I ragazzi Burgess, Mi chiamo Lucy Barton, Tutto è possibile), Penelope Lively (Una spirale di cenere, Un posto perfetto), Marilynne Robinson (Le cure domestiche, Gilead, Casa, Lila), Jane Urquhart (Niagara, Cieli tempestosi, Altrove, Klara, Sanctuary Line, Le fasi notturne), Catherine Dunne (La metà di niente, L’amore o quasi, Se stasera siamo qui, Donne alla finestra) ed Edna O’Brien (Ragazze di campagna, Un cuore fanatico, Lanterna magica, Le stanze dei figli, Uno splendido isolamento, Lungo il fiume, oggetto d’amore, Tante piccole sedie rosse), solo per citare le prime autrici che sovvengono alla mente. Ognuna unica e imparagonabile, ognuna col suo stile, ognuna con le sue peculiarità, tutte accomunate dai temi del fantastico – e dunque del perturbante – e del fantascientifico, che declinano ognuna a suo modo: Nicoletta Vallorani e Anna Pasolini prendono le mosse da questo punto per dare vita a un’analisi raffinata, stimolante, sorprendente.

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“Sulla fotografia”

di Gabriele Ottaviani

La verità è nel fondo di un pozzo…

Sulla fotografia, Leonardo Sciascia, Mimesis, a cura di Diego Mormorio. Politico, scrittore, intellettuale di pregio, Leonardo Sciascia, di cui ricorre il centenario della nascita, è stato anche un grande fotografo e critico fotografico, come questo volume curatissimo, ulteriormente impreziosito da una splendida galleria di oltre trenta scatti inediti realizzati dallo scrittore siciliano, testimonia in maniera limpida e definitiva: maestoso.

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“Racconti a orologeria”

di Gabriele Ottaviani

Gli uomini di città ci hanno accolti con gentilezza. Nostra madre ha ricevuto tutta l’attenzione e l’assistenza sanitaria possibile. La sua salute migliorava in fretta. Era allegra, sulle guance era tornato il rosato di una volta. Eravamo davvero felici. Soltanto un’ombra si estendeva sulle nostre teste. Impercettibile, ma pesante. Bisognava prendere una decisione. Sacrificare qualcuno di noi. Doveva accadere. Così intimavano le regole antiche che ci avevano governati per secoli. Il mio dovere in quanto scrivano era di svolgere quel duro compito, oltre a curare i fiori. Proprio come nell’impero ottomano, quando il cortigiano incaricato di incrociare tulipani di vari colori era anche il boia imperiale che uccideva col filo di seta. Le ho tolto la vita nel sonno. L’ho soffocata con un cuscino. Poi con un coltello l’ho pugnalata al cuore per essere sicuro che fosse morta. L’equilibrio sarebbe tornato di nuovo. Abbiamo allungato la vita di nostra madre con il sacrificio della creatura prescelta. Gli uomini di città amavano i nostri ducati d’oro. Ma le nostre usanze imponevano anche altri tipi di ringraziamento. Cadeva una neve pesante. Con delicatezza l’ho posata davanti alla porta del dottore che curava nostra madre; il suo corpo si stendeva parallelo all’uscio di casa. Una talpa morta avvolta in un vestito di seta con l’orlo in oro.

Racconti a orologeria – Il canto preapocalittico, Faruk Šehič, Mimesis, traduzione di Elvira Mujčić. Poeta, scrittore e giornalista bosniaco che finché non è scoppiata la carneficina della guerra nei Balcani ha studiato veterinaria, dà voce con queste prose maestose a un’anima ferita, individuale e collettiva, universale, un cuore che sanguina e che non può rimarginarsi se non tentando nel tempo fagocitatore instancabile di elaborare il lutto, in primo luogo della coscienza, che è stata costretta a fare i conti con l’abiezione: imprescindibile.

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“La vita inedita”

di Gabriele Ottaviani

Coimbra, 20 Gennaio 1955

Ogni giorno che passa mi è sempre più difficile scrivere. Davanti al foglio bianco la mia natura si rifiuta di fare il salto. Come quando nei concorsi ippici si vede un cavallo recalcitrare davanti a un ostacolo. La mia ansia di comunicare è la stessa, e so bene che solo nel supplizio della parola strappata riesco a trovare qualche momento di pace. Prendo la penna, ma la volontà si sottrae. Ancora libri, per che cosa? Per chi? Allora mi faccio violenza. Con uno sforzo pieno di rabbia pianto gli speroni nei fianchi del cavallo, gli frusto il dorso e lo costringo a vincere la paura. Avanti! Il discorso sull’incomprensione e l’assenza di necessità è solo un pretesto da fannulloni. La bellezza è sempre stata necessaria e compresa. E continuerà a esserlo. Ma non riesco a fare nulla, o molto poco. Carico di penalità e in svantaggio, perdo la corsa.

La vita inedita – Diario – Antologia 1933-1993, Miguel Torga, Mimesis, a cura e con un saggio di Massimo Rizzante. Adolfo Correia da Rocha, più noto come Miguel Torga, pseudonimo scelto per omaggiare Cervantes, de Unamuno e l’erica, pianta a lui cara, scrittore, drammaturgo, poeta, figlio di agricoltori che studiò otorinolaringoiatria e avversò la dittatura, primo vincitore del Premio Camões, il più importante riconoscimento che esista per gli autori in lingua lusitana, scomparso a ottantotto anni da compiere all’inizio del millenovecentonovantacinque, cantore, più volte candidato al Nobel, della nobiltà della condizione esistenziale degli esseri umani, nei confronti dei quali Dio si pone in modo del tutto indifferente, rivive in quest’opera semplicemente necessaria, in cui ci immergiamo nella sua realtà. Da non perdere.

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“Lezioni di psicologia filosofica”

di Gabriele Ottaviani

14 febbraio 1947

Il paradosso potrebbe sembrare (solo) moderatamente interessante, tuttavia è estremamente importante. Vogliamo scoprire l’effettiva prima persona singolare. Da quel che fa, so che egli crede. Che io credo, invece, non lo so da quel che faccio. La differenza tra i due casi potrebbe essere ovvia. Ma il vero problema è: che cosa so di quel che accade dentro di lui? Da un comportamento che è l’espressione di una credenza deduciamo qualcosa circa un altro comportamento. Perché non dovrei applicare questo a me? Perché non traggo conclusioni dal mio comportamento? Di solito non lo facciamo, ma talvolta accade. Ma anche se per un’intera giornata pratichiamo l’introspezione e traiamo conclusioni, la cosa non ha importanza. È interessante che non abbia importanza. “Dico che pioverà, perciò credo che pioverà.” “Can” [posso] in inglese non ha l’infinito; (supponete) che non ci sia nemmeno la prima persona singolare di “credere” e che, invece di “Credo che pioverà”, diciamo “Probabilmente pioverà”. Il paradosso di Moore è paradossale.

Lezioni di psicologia filosofica – Dagli appunti (1946-47) di Kanti J. Shah – Volume II, Ludwig Wittgenstein, Mimesis, traduzione di Tiziana Fracassi. Edizione italiana a cura di Luigi Perissinotto. Filosofo, ingegnere, fondatore della logica e della filosofia del linguaggio, vissuto a cavallo fra diciannovesimo e ventesimo secolo, Wittgenstein, soprattutto nel mondo anglosassone (è spirato a Cambridge), è considerato, nonostante di fatto abbia scritto – ma sappiamo dalla storia che ciò non è affatto dirimente, anzi – un’unica, ma monumentale e di capitale importanza, opera, uno dei massimi se non il massimo pensatore del Novecento: tenne numerosi corsi accademici e universitari, e dell’ultimo abbiamo a disposizione gli appunti, questi. Che brillano per la spiccata indole divulgativa, per la chiarezza, nonostante gli argomenti assai ostici e articolati, per la densità: da non farsi sfuggire.

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“Jinnistan”

di Gabriele Ottaviani

Mentre la vecchia maga raccontava ai suoi giovani ospiti questa storia meravigliosa (i due pensarono fosse una favola), fornendo loro tanti saggi insegnamenti, sopraggiunse la notte. Alboflede aprì il doppio colletto, che usava di giorno per coprire il collo, e la collana cominciò a brillare, diffondendo intorno un nuovo giorno. All’istante la vecchia si trasformò in una splendida giovane, tanto che i due innamorati per lo stupore quasi caddero a terra. “Vedete”, disse Alboflede, “non vi ho raccontato una favola, come, forse, pensavate”. I due giovani arrossirono e non essendo abbastanza dotti da pensare che il miracolo a cui stavano assistendo fosse frutto della loro immaginazione, si accontentarono di ammirare Alboflede, o meglio quella dea della bellezza che, adesso, avevano di fronte. A questo punto entrò un Adone di sedici anni, bello come un angelo dipinto da Guido Reni, che offrì delle deliziose vivande servite in coppe d’oro alla piccola compagnia. Alboflede disse loro che si trattava di un silfo, l’unico essere con cui condivideva il piacere della solitudine sull’isola. La giovane Selma ammise a se stessa che, a parte il bel Arbogast, suo fidanzato, non aveva mai visto nulla di paragonabile a quel silfo. Bisogna precisare che lei guardava Arbogast con gli occhi dell’amore, che la rendevano cieca o perlomeno le offuscavano la vista, perché, in verità, solo essendo molto innamorati era possibile fare un confronto tra i due senza risultare ridicoli. Quando il reale o immaginato silfo (non sappiamo distinguere se fosse l’uno o l’altro) si fu di nuovo allontanato, i due innamorati ripresentarono la loro istanza con tale forza che Alboflede capì di aver parlato invano.

Jinnistan – Fiabe – Edizione integrale, Christoph Martin Wieland, Mimesis. Con testi di Friedrich H. Einsiedel e August J. Liebeskind. Traduzione e prefazione di Renata Gambino. Postilla mozartiana di Grazia Pulvirenti. Poeta, editore, scrittore, traduttore, illuminista tedesco, primo critico con una moderata satira della politica del suo paese, tanto che prendendo spunto da un’opera scritta da lui, amico di Goethe, che narrava il processo incredibile celebratosi ad Abdera in merito all’ombra di un asino, è stato eretto il monumento alla stupidità, vissuto a cavallo fra il diciottesimo e il diciannovesimo secolo, nato ad Achstetten e passato a miglior vita in quella Weimar che poi cent’anni dopo sarà la sede del più fragile degli stati liberali, che aprirà la strada all’orrore abietto del nazismo, Wieland ha edificato con questa raccolta un ponte fra ovest ed est, nonché ispirato Il flauto magico. Impeccabile e imperdibile.

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“Plato amicus sed”

di Gabriele Ottaviani

Egli cerca di crearsi una mitologia da raccontare…

Plato amicus sed – Introduzione ai dialoghi platonici, Friedrich Nietzsche, Mimesis, a cura di Piero Di Giovanni. Filosofo tra i più importanti non solo della sua generazione e del suo tempo ma in senso assoluto nel corso delle vicende umane, che ha lasciato, anche a causa dei travisamenti a cui la sua speculazione è stata sottoposta, in primo luogo dal regime nazionalsocialista, una traccia indelebile, stimolando riflessioni etiche, sociali, morali, culturali, economiche e politiche, Friedrich Nietzsche è senza dubbio, come tutti i classici, a maggior ragione se si tratta di pensatori, una miniera di suggestioni sempre nuove: profondissimo conoscitore ed esegeta dell’antichità classica e della pletora di riferimenti, retaggi, corrispondenze ed eredità che se ne ritrovano nella storia moderna e contemporanea, in questo testo analizza Platone, lo strumento dialettico del dialogo come preludio, viatico e progresso per la conoscenza, la sua fortuna e la sua interpretazione. Interessante, articolato, denso, profondo, complesso, incredibilmente, a distanza di decenni e decenni, attuale e significativo.

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“La fiaba russa”

di Gabriele Ottaviani

La fiaba dei due fratelli in Urss è stata oggetto di critiche comparative.

La fiaba russa, Vladimir Propp, Mimesis. Prefazione di Gianfranco Marrone. Linguista e antropologo vissuto a cavallo fra diciannovesimo e ventesimo secolo, con la sua Morfologia della fiaba, estendendo l’approccio del formalismo russo alla struttura narrativa e definendo uno schema che ha fatto epoca ed è stato studiato, rivisto, corretto, contestato e analizzato fin nelle fibre, ha rappresentato e rappresenta il punto di svolta nell’esegesi della dimensione del racconto, espressione dell’innata e insopprimibile necessità degli uomini di comunicare, tramandare, ricordare, testimoniare, cercare di conoscere e capire: la bellissima edizione Mimesis di questo caposaldo è da non farsi sfuggire per nessuna ragione.

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“Dalla generazione all’individuo”

di Gabriele Ottaviani

I giovani libertini e la tribù omosessuale dei soldati di Pao Pao occupano un posto piuttosto anomalo rispetto ai ritratti novecenteschi di giovani eroi letterari per i quali la scoperta del sesso era stata un passaggio identitario e narrativo irreversibile in seguito al quale sarebbe avvenuta l’introduzione dei protagonisti al mondo degli adulti. Come ricorda Ariès nel già citato Centuries of Childhood, per quanto oggi possa sembrare un’osservazione consolidata, lo sviluppo sessuale, parimenti alla scoperta del sesso, non è sempre stato un elemento indicativo per determinare questo passaggio.

Dalla generazione all’individuo – Giovinezza, identità, impegno nell’opera di Pier Vittorio Tondelli, Olga Campofreda, Mimesis. Olga Campofreda è una studiosa giovane, brava, attenta, preparata, appassionata: Pier Vittorio Tondelli è una delle figure più importanti della storia letteraria italiana degli ultimi decenni. Rilevante dal punto di vista stilistico e contenutistico, ma al tempo stesso decisamente troppo poco conosciuta: Campofreda, che ci ha già accompagnato con mano sicura nella mirabile San Francisco del divino Ferlinghetti, colma la lacuna con un volume chiaro, limpido, dotto, denso, raffinato, maiuscolo, splendido sin dalla copertina à la Kerouac. Da non perdere.

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“Darsi del tu”

unnamed (2)di Gabriele Ottaviani

Papà ciabatta a passi morbidi, scarmigliato, con la sua camicia del pigiama a strisce orizzontali. Passando chiude la porta della dispensa, acconcia il cavo del telefono serpeggiante, liscia contro la parete l’angolo penzolante della carta da parati. Si china sul riccio che sbadiglia sotto il contatore del gas, raccoglie nel palmo le larve di farfalla allineate accanto al battiscopa. Senza far rumore, papà apre la porta della cucina e se la socchiude alle spalle. Non fa scattare la maniglia. Getta fuori le larve di farfalla e il grosso gatto di polvere. Papà si siede sullo sgabello, appoggia un gomito sul tavolo, appoggia il gomito dell’altro braccio sulla coscia e fissa lo sguardo davanti a sé. Posa il palmo sui fianchi dolenti, posa la mano sui polpacci dolenti e violacei, posa la mano sulle caviglie dolenti e gonfie. Sa di essere osservato attraverso la fessura della porta. Guarda davanti a sé, si dimentica di sé, il centro del suo viso sono due solchi che si allungano tra le sopracciglia. Papà è pallido. Lo sgabello traballa, papà sobbalza. Batte le palpebre, alza la testa. Il viso riprende la sua forma originale. Papà si alza. Riempie di latte un sottotazza decorato con fiori, apre la porta della cucina, il compensato scricchiola. Mette il latte sotto il contatore del gas, col polpastrello asciuga le macchioline di latte. Socchiude di nuovo dietro di sé la porta della cucina. Ciabatta verso il frigo, a malapena alza i piedi, per evitare che gli cadano le pantofole. Apre il frigo, prende un pomodoro, burro, formaggio, uova, prezzemolo. Al lavandino lava il pomodoro e le uova. Si versa del latte in un bicchiere non lavato, lo svuota d’un fiato, nel corridoio contano i sorsi. Attorno alla bocca di papà la barba diventa bianca. Partendo dalla linea che separa i baffi, con pollice e indice disegna un cerchio attorno alla bocca, e massaggia accuratamente le gocce di latte nelle radici dei peli. Papà allunga la mano nella credenza per prendere un piatto piano, tira fuori un piatto piano. Infila la mano nel cassetto per prendere un coltello, tira fuori un coltello.

Darsi del tu, Edina Szvoren, Mimesis, traduzione di Claudia Tatasciore. Scrittrice ungherese pluripremiata a livello nazionale e internazionale, nata da un ebanista e da un’ex attrice che ha poi lasciato le scene per dedicarsi alla logopedia, Edina Szvoren ha un talento cristallino e una voce pura, limpida, stentorea, ammaliante, affascinante, che indaga la storia, la vita, i sentimenti, l’anima, le emozioni, le istituzioni e le relazioni umane con originalità e finezza: dopo Non c’è e non deve esserci (Premio Letterario Europeo cinque anni fa) arriva anche in Italia la sua raccolta d’esordio. Ed è impressionante, magnetica, magnifica. Sin dalla copertina.

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