Libri

“Mente glocale”

Layout 1di Gabriele Ottaviani

Sono stato un frutto

oscillante da un ramo più alto di un acero

e quell’immagine, dicevano, aveva il potere di nutrirli.

Mente glocale, Gianni Piu, Città del sole. La glocalizzazione in realtà nasce in Giappone con un altro nome, poi passando anche attraverso Zygmunt Bauman è diventata un concetto di uso abbastanza comune per mezzo del quale le istanze della globalizzazione, che è forse ormai la vera e propria ossatura portante della nostra contemporaneità, sono messe in relazione con le realtà locali. Si verifica quindi una interazione tra più livelli tematici e gnoseologici, una commistione di generi e linguaggi: che è quello che avviene, mutatis mutandis, a livello sia contenutistico che formale nella bella raccolta di vari e multiformi componimenti (trenta) di Gianni Piu, la cui esperienza politica ed esistenziale è trasferita con nitore scintillante all’interno della cornice dei versi, i quali, classici e insieme modernissimi, inducono alla riflessione sulle storture del mondo e per antifrasi sulla sua incomparabile beltà.

Standard
Libri

“Mente glocale”

mente-glocale-piu-cop-imp.jpgRecensione a cura di Giacomo De Marzi, già professore di Storia Moderna all’Università di Urbino, autore di saggi su Piero Gobetti e Benedetto Croce, su Adolfo Omodeo, sulla Restaurazione in Francia, sulla cultura nel periodo fascista.

Ma non è un libro “ermetico”! Anzi, mostra la sua natura di libro aperto, chiarissimo e se non proprio di facile lettura, certo di lettura piacevole per chiunque ami rendersi conto di speciali problemi sulla storia della cultura  e della poesia …. oppure è un libro “ermetico”? Sono versi, quelli di Piu, legati alla tradizione poetica, per evidenti legami con Fortini, con Montale, con Pasolini, con il carissimo “compagno di passeggiate viareggine” Giorgio Caproni,  ma anche versi che «se ne distaccano e vanno oltre ….  Il linguaggio a volte è da decifrare». Difficile (e non so quanto utile), trovare norme fisse e stabili per  reperire una collocazione che sia definitiva, o andare alla ricerca di una definizione …. anche se a qualcuno si potrebbero confondere le carte in tavola. In effetti l’“ermetismo” è «la tendenza della letteratura italiana contemporanea, che intende la poesia come esercizio assoluto di linguaggio che tanto vale in quanto riesce ad esprimere l’intuizione lirica nella sua originaria purezza, senza l’intervento di preoccupazioni razionalistiche, strutturali, tecniche, metriche, senza l’introduzione di motivi logici, narrativi, esplicativi, senza alcun nesso di socialità, di tradizione, di cultura, e affidandosi interamente alla suggestione fonica della materia verbale…»: quasi … quasi …

     Per cui ancora una volta si rendono necessari l’intervento di Croce e la sua critica della dottrina dei generi letterari, della loro produzione ed evoluzione, delle  storie e delle storture, dell’uso e della impossibilità di determinarli: «Basta accennare, in esempio, al continuo impaccio da essa posto ai poeti e agli scrittori con l’inibire l’uso di certe parole perché forestiere, dialettali, di nuovo conio e insomma non registrate nei vocabolari e di certe flessioni di parole, perché non accolte nelle morfologie e nelle sintassi e di certe forme di dramma e di commedia o di lirica perché contrastanti coi generi ammessi e con le forme a questi assegnate. Né con ciò si veniva soltanto a calunniare e a screditare opere belle, ma si affliggevano le coscienze degli stessi scrittori e poeti…».

     In questo caso si tratta di un libro che soggiorna fuori da ogni classificazione ufficiale, libro dalla vera ispirazione nel quale persino l’ironia gioca su motivi profondamente umani. Difficile anche per un lettore esperto riuscire a discernere il vivo e, se c’è,  il men vivo … che non c’è! La Prefazione di Tripodi, di fronte al dilagare di una eccessiva specializzazione delle produzioni, che solo raramente divengono cultura poetica, mostra come «2000 versi allineati a sinistra e articolati a destra negli ondeggiamenti frattali del verso libero», acquisiscano un valore di rottura, offrendo inoltre un piacevole quadro d’insieme. Mano a mano che si prosegue nella lettura, si viene scoprendo  il difficile gusto elitario dell’Autore, raro poeta di istinto, pronto al continuo richiamo che gli viene dall’intimo. In questo caso una maggiore ricchezza giunge non solo dal riferimento critico, ma anche da un approfondimento linguistico.

     L’evidenza di questo lavoro nasce proprio dalla singolarità del suo linguaggio, così come le immagini hanno buona riuscita per l’effetto della sorpresa causata dal contenuto originale, originalissimo, laddove l’incanto nasce dalla materia, inaudita, e dalla qualità dell’espressione. Sono immagini sorprendenti e di indubbia ricchezza, conversazioni forse ingrandite dalla preoccupazione di rinnovare il linguaggio poetico e dalla necessità di dargli un contenuto non banale (Mi accorgo di fare ricorso troppo spesso ai puntini di sospensione. Ora non è che si vogliano bandire; molti  scrittori li sanno adoperare benissimo con fare allusivo, intelligente e furbesco, per altri sono solo segni grafici piuttosto inconcludenti; sarà sufficiente, allora, armarsi di una buona educazione letteraria che ne giustifichi la presenza ed il buon uso).

     Gianni Piu: liceo prestigioso a Sassari, laurea in filosofia, insegnante, sindaco, amministratore comunale; Tripodi parla di un suo «sardismo filtrato attraverso l’esperienza gramsciana». L’isolamento insulare potrebbe aver contribuito a proteggere Piu da tentazioni di sbandamenti e di avventure. Può darsi. Basta, però, che non si parli di «folclorismo», brutta parola che in arte e in antropologia culturale è venuta assumendo significato ancora più brutto. L’ambiente, i costumi, le usanze del popolo sardo non sono un pretesto, ma un sentimento assai vasto e profondo. È indiscutibile il profondo interesse che presenta, in materia, l’opera di Piu, che tenta, felicemente, una via ben diversa da quella seguita dalla poesia paludata, ma pur non avvantaggiandosi della presenza dei larghi, malinconici, gioiosi, sorridenti ritmi, dei dolci e usuali versi amorosi e facendo mostra, piuttosto, di una forma costante di dolore e di malinconia, intenerisce e dona una ebbrezza all’anima del lettore.

     «Gianni, poeta di lotta e di governo»: a volte gli ossimori sono utili! Ora tengo d’occhio il nome di Piu con maggiore attenzione, operazione necessaria per il sottoscritto che non avanza di un solo metro senza aver avuto il necessario consenso di Croce e senza aver consultato il pensiero del filosofo sulla poesia …. Ma questo libro mi ha catturato in toto, ha superato la lezione di don Benedetto, per cui  mi si perdonerà se non insisto con la sua presenza risolutrice, oltre tutto gli sarebbe sicuramente piaciuto … Tutto ciò per mettere in chiaro la reale difficoltà che il  sottoscritto, sostenitore della concretezza  del fatto storico, ha trovato nell’addentrarsi nel bellissimo pandemonio poetico di Piu … qualche illuminata invenzione vocabolariesca si è resa necessaria e quasi sempre è giunta ad ingioiellare il testo, ad operare abbellimenti intorno alle parole.

     In questi versi non si porge orecchio alla tradizionale poesia d’amore, all’attrattiva verso la natura vergine e men che meno alla rima convenzionale. Insomma il poeta non è interessato al lembo di cielo che si scopre levando l’occhio dalla pagina, non lo rallegra un’apertura di verde campagna. Le sue sono rime varie d’interesse e di valore, ma prive dei lieti abbandoni comuni al formalismo poetico: chiunque cercasse riferimenti all’avvicendarsi delle stagioni, ai pleniluni, alle albe e ai tramonti, alle montagne, all’arcadia, all’ebbrezza della leggera felicità della natura, resterebbe deluso: non li si cerchi in questo libro, dove piuttosto si trova l’insolito accostamento Moana Pozzi/Popper  che entrano ambedue a far parte di una galleria di mostri/morali.

     Ma qui trovo anche l’haiku e con saccenteria tutta professorale, recito la definizione di componimento poetico giapponese di 17 sillabe, di tono lirico e contemplativo, ed allora inserisco Piu in un elenco virtuale, insieme con Calvino (… se sapessi il giapponese mi basterebbe descrivere questa scena in tre versi di 17 sillabe in tutto e avrei fatto un haiku….) con Arbasino (…. Le 17 sillabe della composizione poetica più illustre, l’haiku …..) con la Cederna ( …. Gli ospiti saranno appassionate declamatrici di haiku, poesie di 17 sillabe, non una di più, non una di meno ….) in opere da smontare e quindi rimontare con lo stesso materiale del medesimo autore, ma con un significato diverso …

     Di fronte a composizioni dal verso libero, ancora non è stata abbastanza avvertita la vanità della odierna critica sillabica della poesia, intesa a rendere difficile il facile, arcano e oscuro  il chiarissimo. E risultato n’è l’inaridimento. Se scende dalla sua cattedra il dotto ad offrirci endecasillabi, settenari talora sdruccioli, novenari, ottonari, sonetti, strutture, regole, tensioni, non ci resta che scacciarlo lontano … non lo si lascerà svolazzare entro le nostre sillabe … C’è chi coltiva in ombra la propria poesia, a conforto della sua vita raccolta, dei suoi studi e pur frequentando il presente, vive spiritualmente accanto ad alcuna gente del passato, da cui trae incitamento ed esempio all’opera propria. Di siffatti  poeti,  si va riducendo sempre più il numero, ma ve ne sono ancora … Palazzeschi dà molta importanza al verso libero, dal quale trae estensione che diviene gioco ed ironia, che acquisisce pieghevolezza, levità e rapidità esemplari. Il suo uso è diventato, in pochi anni, se non generale, molto diffuso, sferrando uno scossone alla metrica delle forme chiuse. Già da una prima lettura dei versi di Piu, lo si può riconoscere come esempio di modernismo pensante e certo uno dei più raffinati: in effetti tutto il filo del suo discorso, è tenuto su un piano di pura melodia, pur se non si lascia andare laddove le forme del suo lirismo sono tenute molto a freno.  La traccia  degli anni apocalittici che ritroviamo nel libro, si viene svolgendo come in certi diari, come in un intreccio musicale, ma senza la crudezza esacerbata di una ferita. Sono poeti che si collocano tra la memoria e l’invenzione, che dal fantastico scendono al ricordo e quindi dal ricordo risalgono al fantastico.

     Delle narrazioni poetiche presenti nel libro, quella che serve a svelare l’Autore ed il suo legittimo estro poetico, il suo mondo e il suo tempo, si deve cercare certamente tra le Dediche. La notazione diaristica si avvicenda alla rievocazione, all’ironia, in un intreccio di bizzarrie nel quale Piu è felice di trovarsi.  Il suo nitore, la simmetria, la pacatezza hanno molto della presenza del pittoresco: ogni sentimento è dominato, ogni parola è ben disposta, la penna avvolge e riavvolge vite a volte decorose, a volte nascoste  da un certo velo di fiabesco. Curiose dediche, piene di semplici analisi complicate, di abbandoni, di affetti, sempre colme di propositi e di ricordi, senza la presenza fuorviante delle reticenze: a volte sembra quasi che siano le persone a lui più vicine a portare turbamenti. E Piu, avendo vasta esperienza d’arte e  pratica diretta della letteratura, propone, con grande originalità, dediche in versi. Dopo la lettura, si recepisce un’impressione forte che resta in noi; ecco Peppe calze lunghe …  Una cugina squadrata …  Angelino …. La scuola elementare … La preside …  Piero, storico d’archivio …. Lucia … Salvatore ….. l’amicizia è vista sotto l’aspetto della sensibilità, celebrata calorosamente e posta al centro degli interessi e degli affetti del poeta; sono pagine che rispondono ad una esigenza profonda e che svelano molto del suo atteggiamento verso questo sentimento. Nobiltà e delicatezza suscitano felici pensieri in una lingua schietta, il cui vigore non esclude una certa leggerezza del tocco ed una fresca grazia di innegabile  eleganza.

     Ma, per caso, Peppe calze lunghe non avrà anche un nome e un cognome? Non sarà colui che «ha ispirato e ispira pensieri ed emozioni»? Avrei dovuto capirlo dal benevolo intento del poeta! Peppe: «umanista multivalente … abbarbicato nelle tradizioni … amico di cultura editore … nell’onestà cristallina del suo fare … nella terra piena di vento di Condofuri … che incendia con la fiamma pura …. portiere in erba …. dagli stracci impreziositi…»: Mi sento di apprezzare anche «Graziana, sempre più impelagata in pedagogiche scaramucce» oppure la «preside Porcu, piccola pensionata, Penelope pervicace…», che pure non conosco. Sta di fatto che mi si para dinanzi una bibliografia di citazioni, purtroppo non goduta pienamente per la non conoscenza degli «eroi», cosa che in nessun modo mi toglierà di mano gli elogi alla perfezione stilistica del poeta.  Qui il vero valore di quegli argomenti avanza da solo … senza il bisogno della presenza di un qualche tedioso ammonitore degli errori e delle colpe degli uomini …!

     In mezzo a tanta umanità, non è raro il caso di ritrovarsi sorpresi davanti a espressioni nuove, a parole rivelatrici, ad aggettivi per niente dettati dall’abitudine letteraria, ma obbedienti a determinare una persona, una istituzione, un amico, una scuola che così espressi, acquistano il diritto alla presenza poetica. In questa rassegna mi sembra di poter affermare  che Piu distingua perfettamente tra l’ingegnosità dell’invenzione letteraria e la potenza della fantasia creatrice: non per niente riesce a dominare i materiali che la sua assai vasta “erudizione” gli offre.

     Che cosa significa questo? Che, leggendo Piu, bisogna tener conto di quel complesso di voci che, sicuramente sbagliando e facendo di tutta l’erba un fascio, definisco “minori”. Ed è proprio nell’accostarsi a queste figure “minori”, che si trovano i segni lasciati dalle intenzioni, dalle inclinazioni, arrivando così quietamente al giudizio con quelle forme allusive, a volte piene di finissima malizia. L’arte di Piu è arte raffinata per la varietà d’invenzione con cui rappresenta il suo tema sotto nuovi scorci colti nel vivo, per i personaggi bel delineati, per la leggerezza  e insieme per la precisione del tocco, per lo stile per niente semplice ma sempre saporito ed esatto. Fin dall’inizio ci si trova davanti a personaggi aggruppati in atteggiamento tragico, eppure, la tragedia non arriva mai, personaggi senza un terreno sul quale incontrarsi ed urtarsi, la loro tragicità è soltanto lirica. Bisogna riconoscere che Piu presenta dei versi che a volte somigliano ad un gioco di evocazioni, presenti uno spirito ed una vivacità veramente singolari, per non dire preziosi. Egli vuole essere scanzonato e le cose più belle  ce le dà dissodando la terra di Sardegna, disseppellendone le memorie.

     La seconda parte del libro ci porta verso alcunché di affine, ad un tempo, e di diverso.  Ma ora ho imparato a leggere questi versi, quindi ho il piacere di camminare più svelto e così incontro A Zanzotto, i versi onomatopeici  del Vecchio pastore, una sorta di delicatezza  nelle forti espressioni di Vedove, ed ancora L’insalata di riso sardonico, fino ad un titolo che è un grido di vittoria: Se ne vanno! Gli americani andreottiani se ne vanno! Per lasciare il posto a Sbalestrati, a Messaggio cardiaco (…. Il cuore di Cuccu come cuculo pigola in altro petto ….), verso le poche parole di Emerite, utilizzate per descrivere Cossiga,  oppure il dolore che non riposa mai de la Plaza de Mayo fino alla disperazione che si prova per le bombe naziste che nel 1940 “coventrizzarono” la città, risorta in Biblioclastia. È una poesia, quella di Piu, di pura intelligenza, non ci si deve  lasciare trarre  in inganno da criteri apparentemente difficoltosi (Osanna Bin Leghen). Amori e delusioni, bellezza e sacrifici, affetti domestici, gioie, pene e dolori, amicizia, gratitudine e pietà, lavoro, studio e pensiero, virtù confortatrici e rasserenanti  della poesia, senza  le angosce del dubbio, del gelo, dello smarrimento, del rimpianto, dello scoramento, ma bellezze della vita e del mondo nei vari tempi, e luoghi, gaudiosi e belli, ritmi sorridenti, perennemente sorretti e percorsi da una magica ironia, da un inconsueto acume di osservazione di ambienti, di cose, di anime, di fatti, di colloqui, presentati al ritmo di una sorridente (scanzonata) poesia.

     Tale potrebbe essere una delle diagnosi del poeta che è Piu. Da molte delle sue poesie, apparentemente di una psicologia intellettualistica, balzano personaggi  scultorei che, malgrado l’uso di un linguaggio d’avanguardia, si possono racchiudere  in una cornice classica, con un vigore e con un rigore storici. Si notano sovranità e necessità dello stile, anzi, del culto dello stile. Qui il poeta sente il bisogno di fermare un poco  le sue inquietudini, spogliarle del tempo e dell’ansia, vederle così nel loro segreto. Mi sembra di poter dire che l’animo di Piu sia consegnato in queste pagine che sono la sua ricchezza e la perennità della sua vena. Certo, qualche volta c’è la compiacenza  della bella forma, ma un respiro suo c’è e si caratterizza per una continua aura di sogno.

     Ho dunque letto un’opera nuova, dettata dal ricordo di occasioni, di incontri, di personaggi che hanno lasciato il segno nell’essere di Piu. Ho riassunto un poco sommariamente, ma penso che pur da questo rapido volo, sia possibile scovare i termini di una interpretazione della poesia  e dei suoi aspetti spesso trascurati. Non spetta a me offrire novità, prendo solo nota di una inquietudine che ha travagliato la sensibilità creatrice di Piu. In queste sue felici sollecitazioni della memoria, il lirismo raggiunge timbri di assoluto rilievo, coadiuvato da una vitalità che confligge  con l’aridità dei tempi presenti. Ho cercato il segno più alto della poesia di Piu isolando alcune delle sue pagine, distaccandole dal contesto; l’operazione non mi è riuscita, in quanto tutti i suoi messaggi sono in grado di dire e di dare qualcosa all’animo del lettore. L’universo di Piu è fantastico e surrealistico, ma sempre verosimile e vicino ad una realtà accettabile; in quelle pagine è presente una lezione, nemmeno tanto sottintesa, del professore Piu, impartita  attraverso una ironia sottile e insinuante, mai amara e grave.

     Volendo riassumere, ho incontrato una storia un po’ pensosa, un po’ crepuscolare, dai toni per niente smorzati, dalle aperture intimistiche non sempre velate, nelle quali l’Autore descrive in versi le svolte essenziali di una vita. In presenza delle poesie paludate, quelle che ricevono tanti premi letterari, quelle in cui la rima è sempre perfetta, ebbene, in loro aiuto si possono invocare le stelle brillanti, la primavera col suo tepido risveglio, l’intervento stagionale  che risolve ogni problema, che incamera la loro persuasione di appartenere  ad una civiltà letteraria che evita di rimettersi in discussione tutti i giorni, che non si nutre di diversità, ma di certezze nel pensiero come nella vita sociale, che segue schemi, regole e quant’altro ecc. … ecc. … ma tutto ciò non risiede qui, non in questo lavoro, come ho già avuto modo di anticipare!  Quella di Piu è una storia dei tempi nostri, di un mondo solo apparentemente lontano dalle ingannevoli tentazioni. È presente una ossimorica tecnica audacemente tradizionale con la quale Piu affronta descrizioni e introspezioni.

Standard
Libri

Gianni, poeta di lotta e di governo

Layout 1di Giuseppe Mario Tripodi

Gianni Piu presenta il più limpido dei ‘cursus honorum’ intellettuali: il diploma di maturità nell’esclusivo liceo-ginnasio Domenico Alberto Azuni di Sassari [allievi illustri: Sebastiano Satta (18671914), poeta e scrittore, Attilio Deffenu (18901918), intellettuale e giornalista, Antonio Segni (18911972), presidente della Repubblica, Mario Berlinguer (18911969), politico e avvocato, Camillo Bellieni (18931975), politico e storico, Palmiro Togliatti (18931964), segretario del Partito Comunista Italiano, Stefano Siglienti (18981971), politico e banchiere, Giacomo Delitala (19021972), giurista, Salvatore Satta (19021975), giurista e scrittore, Enrico Berlinguer (19221984), segretario del Partito Comunista Italiano], laurea in filosofia a Cagliari, insegnamento per un buon quarantennio nelle scuole secondarie del suo paese, Pozzomaggiore, di cui, per un decennio, è stato anche sindaco e amministratore comunale.

L’insegnamento dunque è stato il ‘mestiere’ in cui Gianni è vissuto ma della della sua profonda vocazione pedagogica hanno beneficiato, e beneficiano ancora, tutti coloro che hanno avuto la fortuna di incrociare i suoi passi.

Una estesa e profonda cultura, la paziente capacità di ascoltare le ragioni degli altri, la duttilità antropologica nel rapporto con il prossimo, il rigore di idee chiare e messianiche a lungo coltivate e non ancora dismesse (la sete di giustizia, il sostegno agli ultimi, la lotta illuministica contro le ‘prigioni dell’oscurantismo e del pregiudizio’, il sardismo filtrato attraverso l’esperienza gramsciana), la paziente tessitura dell’amministratore mai immemore del mandato popolare: queste sono le qualità fondamentale di Gianni che ricorrono piacevolmente ad ogni incontro e si ritrovano in ogni suo verso.

Il corollario di questa poliedrica tempra umana è la piena sintonia con la ‘Madreterra sarda’ e i suoi abitanti nonché la condivisione con essi di sogni realizzati e di cocenti sconfitte.

Sicché le esperienze comunitarie (vita e morte, lavoro e tempo libero, lotte e ripiegamenti, malattie e sofferenze) sono le occasioni in cui, da sempre, l’ispirazione di Gianni si attiva e fa tracimare versi tornitissimi e a lungo rimuginati.

Una poesia umana, troppo umana, ci vien da dire ripensando al profeta di Röcken; anch’essa, come la filosofia nietzschiana, satura della tradizione canonica che si incontra nei manuali di letteratura, italiana e occidentale, con l’aggiunta del background poetico isolano (in lingua sarda e in lingua nazionale) che Gianni ha profondamente metabolizzato anche attraverso la dimestichezza con le voci primordiali del canto popolare a tenores e degli agoni in ottava rima.

Versi dunque che, pur legati alla tradizione poetica, ne distaccano e vanno oltre; non vi si trova la poesia d’amore, capitolo rilevante di ogni antologia che si rispetti, non il legame ancestrale con la natura (le piante, il paesaggio, gli animali con le conseguenti, e spesso abusate, metafore); l’uso della rima è non convenzionale e risulta a volte  parsimonioso, a volte insistito,  a volte carsico e da decifrare; ma, oltre la rima e le assonanze, c’è una musicalità ricercata che percorre  e governa ogni verso.

Questa sonorità pervasiva era stata sottolineata da Ricardo Herrera che, antologizzando Gianni insieme ad altri due autori italiani del calibro di … aveva parlato di “escritura de Piu toda penetrada de una ininterrumpida conmociòn ritmica (prueba fehaciente del caracter genuino del dictado poetico)” (“Hablar de poesia”, Anno III, n. 5, Junio 2001)  

Le assenze e le anomalie di cui sopra sono forse dovute ad una sorta di ritrosia verso ogni forma di soggettivismo; o, detto altrimenti, a una deviazione, intenzionale o profonda che si voglia, della pulsione narcisistica verso ‘l’altro da sé’, verso il ‘noi’, cui la generazione di Gianni è stata variamente educata dalla più rilevante e denigrata ideologia della cultura novecentesca: quella umanistico-comunitaria, o più precisamente comunista, che ha fatto da basso continuo a diverse stagioni della vita, sua e di tanti altri compagni di viaggio.

Esiti a stampa

Psicologia della deriva. Poesie 1970-1994 (Tivoli, 1995, tradotto nel 2003 per le edizioni Melusina di Mar del Plata) ed Epigrammelot in punta di cronaca (Cagliari, 2006) sono gli antecedenti a stampa di Mente glocale e ne possono essere considerati studi preparatori.

I temi per lo più ‘privati’ del 1995 (poesie per pensionamenti, nascite, epitalami) sopravvivono nella prima sezione di questo volume, Dediche, allargandosi in ampi quadri rammemorativi in cui il poeta riassume le sue ‘esperienze dell’altro’, spesso diramate attraverso familiarità antiche e consolidate per più generazioni; con l’aggiunta, questa veramente inusuale, della recensione libraria in versi.

E il verso assume a volte le forme dell’epicedio accorato come in Pietro Maestro, in Ninna nanna e in Piante officinali, veri e propri canti di Orfeo che paiono evocare dagli inferi, sia pure per il solo tempo della lettura, i viatores scomparsi e fungono da ambrosia e unguento per le ferite insanate dei sopravvissuti.

Moana Popper è anch’esso epicedio cumulativo dedicato alla regina del porno Moana Pozzi e al filosofo falsificazionista Karl Raimund Popper: vite asimmetriche accomunati da cognomi assonanti e dalla morte, ossimorica e quasi contestuale, poco più che trentenne la prima ultranovantenne il secondo, nel settembre del 1994: sicché il “Timore del caos, la polifonia/   …  / il dogma o il mito come / cammino artificiale per penetrare / l’ignota esplorazione del mondo / alla ricerca delle regolarità” del primo fanno da controcanto alla “filosofica antica utopia / delle case dell’amore / la democrazia dei rapporti / pansessuali e civili piaceri / del rispettarsi sano” dell’altra: la tabula rasa è piena / la tabula piena è rasa.

La vocazione epigrammatica torna in questo libro nelle venti pagine dell’Insalata di riso sardonico, in cui la cronaca micro-criminale si mescola a quella macro-politica in grumi di versi ricolmi di ironia dolorosa, da centellinare a mente serena e disposta all’impegno.

Haiku Lunghi

I versi di Gianni risultano tanto pregni della tradizione poetica che, ad un certo punto sembrano, traboccarne: legami evidenti con Franco Fortini, Eugenio Montale, Pier Paolo Pasolini, Attilio Bertolucci, Vittorio Sereni, Giorgio Caproni, Giovanni Giudici nonché, dal lato della letteratura europea, Bertold Brecht e Wislawa Szymborska.

I nomi indicano gli ‘ascendenti’ più rilevanti di una poesia molto sedimentata, ma le conoscenze di Gianni sono veramente enciclopediche; sicché può capitare che in un conversare pomeridiano (e quanti se ne fanno e di che qualità nell’ampia casa avita di via Grande a Pozzomaggiore, spesso dopo convivi multiformi in cui Gianni è instancabile factotum di robusti menù, complicanze di cibi e complicanze di verbi!) qualche commensale menzioni un poeta locale di una qualsiasi regione italiana; ed ecco che il signore del luogo va nella stanza della sua poderosa biblioteca e cava fuori cinque o sei volumi contenenti i versi dell’ignoto de cuius.

Questo cibarsi dei versi altrui, selettivo e universale ad un tempo, traspare nella sezione di questo volume intitolata Specie di Haiku Lunghi.

Gli ‘haiku’ di Gianni, sei in tutto, esclusa già nel titolo la ‘brevitas’ canonica, rappresentano ognuno l’approccio simbiotico ad un altro poeta (l’altra ‘autocoscienza fenomenologica’, verrebbe da dire parafrasando Hegel!), una sorta di ribaltamento critico, una ‘rivoluzione copernicana’ ermeneutica in cui il testo di un’opera altrui viene ‘smontato’ e ‘rimontato’ in una sintesi costituita dai materiali, i versi, dello stesso autore diversamente assemblati.

Il tetto s’è bruciato / ora / posso vedere la luna!, verrebbe da dire con Mizuta Masahide (1657-1723), dove ‘luna’ sono i versi degli altri, meditati e metabolizzati negli haiku lunghi di Gianni. E ‘gli altri’ sono, in questo caso e tanto per continuare con genealogie e fratellanze, tre poeti isolani stravaganti rispetto al canone (Antonello Zanda, Lina Unali e Marcello Fois) e due ‘continentali’ ‘canonici e laureati’ come Sandro Penna e Andrea Zanzotto che vi compare con Sovrimpressioni (Mondadori, 2001) e Conglomerati (Mondadori 2009).

Locale e Globale

Le ultime due parti di questo libro, Piuttosto locale e Piuttosto globale, sono solo nominalmente antitetiche: in realtà in entrambe c’è un tentativo di ridurre in versi il Kaos del mondo il cui il locale, l’isola, la Sardegna, si è ritrovata il mondo nelle sue strade (non solo gli odierni cinesi e rumeni ma, molto tempo prima, la flotta americana a La Maddalena  e “… 35.000 ettari sono servitù militari / Frasca Teulada Chirra installazioni /poligoni acquartieramenti stazioni …”) e il mondo (l’Argentina soprattutto), cui il poeta guarda con animo di viaggiatore profondo non da turista, si scopre affetto e rigonfio di particolari (italiani metà dei cognomi bairensi).

Nell’impossibilità di rendere conto di ognuno dei componimenti scegliamo di soffermarci sui due, Paese mondo cane? e Magro, El Querandi, Cano,  che rappresentano veri e propri Cantos generales in cui prevale l’epicità della vita quotidiana, la lotta contro la non trattenuta entropia che annichilisce nel tempo le persone e il loro comune sentire, le lingue e le case ( … pietre geologicamente / rastremate e inventariate nelle case / antiche a presidiare i passi / o imbellettate da tecniche aggiornate …), gli ecosistemi e i paesaggi; entropia contro la quale, purtroppo,  anche il verso del poeta risulta solo medicina palliativa.

Quasi duemila versi, allineati a sinistra e articolati a destra negli ondeggianti frattali del verso libero, interpunzione ridotta al solo ‘punto fermo’ per fare riprendere ossigeno al lettore, l’intermittenza della lingua sarda in Paese mondo cane? e di quella argentina in Magro, El Querandi, Cano, citazioni essenziali ed esplicite incastonate nel testo (De Martino e Pavese) ed altre solamente accennate o criptate, l’allitterazione parsimoniosa per descrivere il disordine belluino globale (BruxellesBataclanCiadTurchiaPakistan, quasi una raffica di mitragliatrice glottologica), la fraternità della lingua castigliana ( … voces superpuestas, incomprensibiles retumbantes / Da ese momento una parte / del todo una parte del arte / una entre muchas cabezas / una entre muchas munecas), il disagio antropologico [ … paisà di paesi (Paesi) spaesati …], l’assemblaggio di ascendenti per  un artista ( -Eluard Segovia, Edith Piaf Tenco Neruda), lo scherno di incivili steccati civilistici ( … la proprietà privata provata / dalle accuratissime staccionate/) o, ancora e chiudiamo (ma il lettore saprà scoprire molti degli altri tesori stilistici nascosti tra i versi), l’abbondanza di morfemi dentali per esprimere … la ricchezza dell’offerta gastronomica nella città di Cordoba :

Città retroversa, artigianale familiare

Europa dell’est anni sessanta

attenta ad impettite cerimonie del patriota

Josè San Martin rigurgitanti ristoranti

mentre spande profumo accattivante

il capretto immolato negli spiedi confitti.

Migranti, immigrati, emigranti // Volkswanderungen, invasioni, solitudines //, Öffnungen, mediterraneità, maltitudini: il Chaos globale che Gianni, raffinato Creso di versi e platonicamente refrattario ad ogni oro, ha trasformato in poesia.

Standard