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“Le straordinarie cognizioni di un gatto morente”

gattodi Gabriele Ottaviani

Da dove spuntino e come s’intrufolino nei miei pensieri tutte queste parole, e perché e come riesca a impadronirsi della mia mente tutto questo conoscere – un’enciclopedia intera! – non saprei dirlo. Da sempre capisco le comunicazioni degli esseri umani, ma ora, che cosa mi accade? Ora anch’io, come l’essere parlante assoluto, so dare un nome alle cose. Che cos’è questa esperienza strana, che nei miei pensieri associa magicamente un nome a un’entità, a un’esperienza emotiva o a un’immagine, e affiorano parole e cognizioni di cui non conoscevo l’esistenza? Ora, è mai possibile che in questo torpore mortale – disturbato da improvvisi dolori acutissimi a tutte le membra del corpo –, in questo intontimento che mi prepara alla morte, il mio cervello riesca a pensare in un modo che è incomprensibilmente sempre più simile a come riflettono gli esseri umani? Tanta è la grazia che grande è il timore di riconoscere a me stesso la sensazione di essere in procinto di una straordinaria trasformazione del felino nell’umano. Forse che la consapevolezza di ciò che sto perdendo – la vita! – mi porti ad abbandonare la mia natura? Che cosa vado a pensare? Che sia il delirio del moribondo, segno di morte imminente?

Le straordinarie cognizioni di un gatto morente,Giorgio Meneguz, Scatole parlanti. Vive – in realtà va e viene, è libero e indomito, inafferrabile come il vento, ma non perché non abbia sentimenti che non siano utilitaristici, come sostiene un assurdo luogo comune che lui stesso giustamente tiene assai a sfatare – con Niccolò, che lo chiama Rosso per il colore del suo pelo. Solo che Niccolò è daltonico, e quindi in realtà il nome vero sarebbe Miao, traslitterazione di un lemma antichissimo, usato per la prima volta dalla civiltà che – sempre secondo il suo bipede e affettuoso amico, che è un dottore ma non porta il camice, accoglie le persone nel suo studio e le ascolta, le fa parlare, e Miao, o Rosso che dir si voglia, si convince che ognuna di quelle persone racconti, non per falsità, ma perché è naturale che sia così, a Niccolò una versione della sua storia confezionata appositamente per quel tipo di incontri – venerava come divini quelli come lui, che creature speciali, filosofe e filosofiche, persino, basta incrociare una volta nella vita il loro sguardo per capirlo, lo sono per definizione. Ossia i gatti. Conosce l’amore grazie a una micetta che però un triste giorno non riesce a salvare, e man mano che la vita, perlomeno quella su questa terra, lentamente lo abbandona acquista gradualmente una sempre maggiore consapevolezza… Articolato in ventotto agilissimi capitoli che hanno ognuno per titolo le prime parole del primo paragrafo che ne compone l’inizio del testo, impreziosito da una bellissima foto in scala di grigi, Le straordinarie cognizioni di un gatto morente, splendido, commovente, simbolico ed emozionante sin dal titolo, narra la vicenda di un umanissimo, dotto, empatico gatto randagio ricoverato in una clinica veterinaria, cullato dai ricordi e sostenuto dalla grammatica degli affetti: Meneguz, psicoterapeuta e saggista di chiara fama, nonché dal curriculum impressionante, dipinge un delicatissimo ma vivido acquerello della tenerezza e della mille sfumature della comprensione. Incantevole.

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