di Gabriele Ottaviani
Fa bene alla salute, essere infuriati.
Non luogo a procedere, Claudio Magris, Garzanti. Claudio Magris è uno dei più grandi scrittori e intellettuali italiani. Ormai da decenni il suo nome è fra i più importanti della cultura del nostro tempo: ha commentato i racconti ripresi, progettati, abbozzati o portati a termine da Svevo nel fervore creativo che seguì La coscienza di Zeno come il teatro del ravvisamento di un possibile scambio di ruoli fra vecchiaia, inettitudine e scrittura, poiché se l’individuo sveviano è l’inetto a vivere il vecchio è l’individuo per eccellenza, minacciato ed estromesso dalla vita, dall’ingranaggio sociale che fa di ognuno un vinto, e dunque l’invecchiamento equivale alla sopravvivenza, ne è il simbolo stesso. Di lui Giulio Ferroni ha scritto che si tratta di un germanista che si occupa in primo luogo della grande cultura mitteleuropea legata alla fine dell’Impero asburgico e in cui la letteratura si pone insieme come coscienza della crisi di una civiltà e come testimonianza di fedeltà ai suoi valori più autentici. Conoscere è ricordare, dunque, sapere per tramandare, scrivere per lasciare un’impronta, che resti, dia riferimento, resista. Professore, senatore, autore di Danubio, vincitore del Premio Strega nel millenovecentonovantasette, prima di Enzo Siciliano e Dacia Maraini, sceglie ora per titolo una formula giuridica: la scelta, ovviamente, è felicissima. Perché è proprio la giustizia, quella che si amministra nei tribunali e che dipende anche, se non soprattutto, dal buon senso e dal cuore degli uomini quella che manca, è quell’assenza che si fa voce stentorea, e grida tra un capoverso e l’altro di questo racconto potentissimo, inno emozionante contro l’ossessione e l’assurdità della guerra. Da leggere.