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“Romanzo selvaggio”

41ylJDMxQGL._AC_US218_.jpgdi Gabriele Ottaviani

E infatti eravamo usciti sul terrazzo che era il paradiso del kamikaze islamico.

Romanzo selvaggio, Macello, Aliberti. Nulla è lasciato al caso, nulla è pudicamente nascosto, nemmeno la protervia, la blasfemia, lo sconcio squallore. La foto è impietosa. Simbolica. Allegorica. Ma al tempo stesso tragicamente schietta e realistica. Si chiamano ALT, CANC, CTRL, ESC. Sono i quattro cavalieri di un’apocalisse che già c’è. Squadernata in tutta la sua corrompente meschinità che inonda ogni luogo. Studiano. In facoltà pornografiche e con un unico scopo. Creare nuovi disoccupati. Parlano di teologia con un angelo, si fanno di tutto, gestiscono affari con i clan e vivono senza esistere davvero in una Milano che è madre e meretrice, sfondo e protagonista. Il nostro mondo è alla deriva, è un cumulo di macerie, è una notte in cui non si vede la luce. Se appare una luna, in realtà, a ben guardare, può essere al massimo un lampione. O un’insegna artificiale. Eppure appare certo che il controcanto di questo grido di dolore sia una disperata speranza. Il collettivo Macello scrive un baedeker tossico à la Trainspotting naïf, feroce, dolce, destabilizzante.

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