di Gabriele Ottaviani
E così anche il lettore scopre di poter affrontare la propria ombra grazie al gesto rituale della lettura che, come ogni cerimonia, prevede la consegna di sé e la rinuncia a comprendere.
Giorgio Manganelli o l’inutile necessità della letteratura, Anna Longoni, Carocci. Nella longlist del premio Comisso. Giorgio Manganelli, milanese ma con origini di Parma, docente, scrittore, giornalista, traduttore, critico letterario, teorico della neoavanguardia (Sanguineti, Giuliani, Porta, Balestrini, Pagliarani, Eco, Arbasino…), certo assai diversa dall’avanguardia storica e tesa alla sperimentazione formale (il romanzo in quanto tale è morto, e se Arbasino con Fratelli d’Italia dà vita all’opera che non finisce mai – dunque viva e mutevole, mai ferma, fissata: anche, se non soprattutto, quando è stampata, perché c’è sempre la possibilità di una nuova e diversa edizione – e in cui la narrativa si fa anche espressione di saggistica e vero e proprio manifesto poetico e programmatico, Manganelli nelle sue complesse e parodiche prose dà forma dal canto suo all’ideale della scrittura come visionario gioco mistificatorio), scopritore di Alda Merini, collaboratore in RAI, consulente editoriale, poeta e molto altro, è stato uno degli intellettuali più importanti del Novecento italiano. Il ritratto che qui ne emerge è variegato, raffinato, accurato, brillante, appassionante, interessante, stimolante, niente affatto agiografico bensì attentissimo nel mettere in risalto tutte quelle caratteristiche poetiche nella più ampia accezione del termine che testimoniano come l’eredità di Manganelli sia ancora oggi un patrimonio preziosissimo per tutta la collettività.