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“L’isola dei senza memoria”

41uxNBRJqoL._AC_US218_ (1).jpgdi Gabriele Ottaviani

«Il nostro primo compito è fare in modo che le sparizioni si diffondano ovunque senza impedimenti e che i ricordi divenuti inutili scompaiano rapidamente. Non è bene continuare a serbare ricordi inutili. Non è vero, forse? Quando un alluce incancrenisce bisogna amputarlo subito: se lo si lascia lì, sarà la gamba intera ad andare perduta. È la stessa cosa. L’unico problema è che né i ricordi né il cuore hanno una forma concreta. Dunque ogni essere umano può nasconderli relegandoli tra i propri segreti personali. Combattiamo contro qualcosa di invisibile: è per questo che siamo molto concentrati. Si tratta di un’attività molto delicata. Per far venire alla luce segreti privi di forma apparente, analizzarli, farne una cernita e liberarcene, è chiaro che noi stessi dobbiamo proteggerci con il segreto. Mah! Questo è quanto.»

L’isola dei senza memoria, Yoko Ogawa, Il saggiatore, traduzione di Laura Testaverde. L’isola non ha nome. L’epoca non è precisata. La popolazione progressivamente perde la sua storia. Perché non ha più ricordi. Non sa più cosa fare di oggetti che prima le erano assolutamente familiari, non è più in grado di utilizzare parti di sé, man mano che l’epidemia prende il sopravvento e allarga i suoi tentacoli su ogni cosa è l’abulia, la stasi, la paralisi totale. Tutto è smarrito. Solo una cosa rimane. La facoltà di raccontare. La letteratura, alternativa salvifica a ogni dittatoriale oblio… Yoko Ogawa scrive una fiaba nera, allegorica, solenne, tragica, distopica e purtroppo attualissima. Da leggere.

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